Omelia dell’Anniversario della morte di Don Angelo Lolli – 17 aprile

11-07-2013
Omelia dell’Anniversario della morte del servo di Dio Don Angelo Lolli (17 aprile 1958 – 17 aprile 2013)
 
Ravenna, 17 aprile 2013
 
 
E’ la prima volta che celebro insieme con voi l’anniversario della morte di don Angelo Lolli ed è stata per me l’occasione per leggere qualcosa su di lui, visto che non l’ho conosciuto direttamente.
Sono debitore, nella mia riflessione, anche al libretto scritto da E. Tramontani su questo personaggio grande e importante della nostra Chiesa ed anche alla Introduzione scritta dal Cardinal Tonini. Qui infatti mi sembra che il Cardinale riesca a raccogliere l’essenziale di questa opera, per quello che ho capito io. Voi mi direte se ho visto giusto o sbagliato, prendendo spunto da questi due autori ‘
 
La prima cosa che vorrei dire è che nella nostra Diocesi di Ravenna’Cervia, ci sono stati nel passato ‘ e ci sono ancora ‘ dei preti santi. Quello che noi oggi ricordiamo, è uno di loro. Uno dei più grandi, sia per l’efficacia che ha avuto la sua opera e soprattutto per la sua disponibilità a lasciarsi guidare dal Signore in questa iniziativa ecclesiale.
Ho incontrato l’Opera di Santa Teresa, fin dal primo giorno che sono arrivato qui a Ravenna (anche se ero già stato una volta a celebrare un po’ di anni fa) e mi sono reso conto che essa è e dovrà rimanere soprattutto la casa dei poveri, dei più piccoli, dei più deboli, dei sofferenti, di ogni categoria sociale e di ogni stato di vita, di ogni vocazione, nessuna esclusa, laici, sacerdoti, religiosi.
 
Una casa aperta a tutte le condizioni sociali, ma soprattutto a quelli che sono più poveri, più bisognosi e meno capaci di provvedere a se stessi. Quello che mi sembra di dover sottolineare è che l’Opera Santa Teresa non dovrebbe essere considerata come opera umana, ma un’opera che Dio ha voluto, attraverso delle persone. Sarà sempre Lui a farla vivere e stare in piedi. È ancora Lui che continua a gestire, a governare, a promuovere l’Opera attraverso quelli che ci sono adesso: i sacerdoti, le religiose, i fratelli; tutti quelli che sono qui a svolgere il loro lavoro e servizio quotidiano, insieme con i volontari, gli amici, i sostenitori, i benefattori. E’ Dio che lavora dentro al cuore di tutte queste persone, che hanno ruoli diversi, per far crescere l’Opera secondo lo spirito iniziale. Del resto, se all’inizio, la nascita di quest’opera fu un tutt’uno con lo sviluppo, la crescita spirituale e vocazionale di don Angelo Lolli, col tempo essa si rivelò sempre più una realtà di cui aveva bisogno la Chiesa di Ravenna’Cervia, per continuare ad annunciare un messaggio evangelico credibile per le popolazioni di queste terre, che spesso sono lontane o sono state allontanate dal Signore.
 
Questa azione di Dio nell’Opera di Santa Teresa deve essere vista dunque come un’azione a favore di tutta la Chiesa diocesana, non semplicemente a favore degli ospiti, perché essa offre a tutti l’occasione di vivere la carità, concretamente, con le opere, con i gesti. È un’occasione che permette a tutta la Chiesa di crescere mettendo al centro le opere di misericordia corporali e spirituali, che qui si possono esercitare.
 
Opere di misericordia, che non sono semplicemente opere di solidarietà, di assistenza sociale o di intervento sanitario: cose tutte che sempre più la società attuale, provvede e si affretta a compiere. Essa invece è nata ‘ e deve rimanere ‘, non come attività di supplenza a ciò che manca nella società ravennate, ma piuttosto come espressione di un’iniziativa di Dio alla quale tutti noi siamo tenuti in qualche modo ad obbedire. Un’opera che siamo chiamati ad accogliere perché, con tutte le diramazioni cresciute negli anni, manifesta l’attenzione che noi cristiani, seguendo il vangelo, abbiamo per un annuncio che sia sempre accompagnato dalla promozione della vita dell’uomo. È Gesù stesso che manda i suoi dicendo loro di annunciare il Vangelo e curare i malati; di liberare le persone dal male, dai demoni.
 
Del resto ancor più oggi è necessaria una testimonianza autentica, coerente con ciò che si annuncia. E al centro del Vangelo c’è il ‘comandamento nuovo’: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso‘ o, ancor meglio, quello che Gesù lascia come suo testamento spirituale nell’ultima cena: ‘ Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi ‘ e poi lava i piedi ai suoi apostoli per far capire che cosa significa amare come lui fino in fondo, fino al dono totale di sé.
Se è questo il centro del Vangelo, va accompagnato da azioni coerenti con le quali i cristiani possano mostrare agli altri che è la carità che li spinge e che per loro, la carità verso tutti, ma soprattutto verso i più deboli, i più fragili, deve manifestarsi pienamente insieme con l’annuncio della parola.
 
Diceva il Cardinal Tonini, nell’introduzione al libretto sulla vita di don Angelo Lolli: ‘Nell’incarnazione, si è manifestata tutta la paternità di Dio, verso gli uomini, assumendo la loro vita, volendo viverla in pienezza come ha fatto suo figlio e in modo particolare, tutta l’attenzione paterna di Dio verso i suoi figli più deboli, a cominciare dagli ultimi. E questa è anche la ragione d’essere della Chiesa che proprio in questo, si distingue dal mondo‘.
Naturalmente, noi siamo chiamati a non smarrire questo obiettivo della missione generale della Chiesa e l’obiettivo particolare dell’Opera di Santa Teresa  che ha animato la vita di don Lolli, e in modo particolare nella seconda parte dei suoi anni, è diventata la sua creatura più significativa, per la quale ha deciso di spendere tutto se stesso.
 
Non dobbiamo smarrire questa missione. Non possiamo nemmeno pensare di metterci in competizione con l’organizzazione civile, con la sanità pubblica o con l’assistenza sociale benché anch’esse facciano fatica a svolgere i loro compiti. Non tanto per la questione dei mezzi che non avremmo, ma proprio per lo stile, lo spirito, le caratteristiche. Noi non possiamo e non vogliamo agire secondo le logiche del mondo, non ne accettiamo i compromessi, i calcoli.
Cerchiamo invece che sia lo Spirito Santo ad avere spazio in noi, nelle nostre valutazioni e nelle nostre scelte, in modo che si possa mantenere il dono originale.
 
Dobbiamo continuare a mantenere aperti gli occhi e il cuore sui poveri, sui più poveri, sulle nuove categorie di povertà che vengono via via fuori con il passare degli anni e riservare un posto privilegiato ai più deboli nella nostra comunità, nella nostra Chiesa. Ci va di mezzo il Vangelo!
 
Ripensandoci, di don Lolli, in modo particolare mi hanno colpito tre cose:
La prima riguarda la sua vocazione. Quando rilegge tutta la sua storia personale come un poema di amore scritto da Dio, scrive, rivolto al Padre: ‘Voi avete tratto il vostro piccolo monello dalla strada, lo avete adottato come un figlio, portato nella vostra casa. Dovrei impazzire di riconoscenza’.
 
E’ un punto importante questo della sua vocazione e di ogni vocazione. Quando si riconosce prima di tutto di aver ricevuto tanto, di essere stati amati in un modo particolare lungo il corso della propria vita e da questo riconoscimento della grazia di Dio che ha fecondato la propria vita, lasciar sgorgare dal proprio cuore la riconoscenza. È fondandosi su questa riconoscenza, che si riesce a dire il proprio sì a Dio, alla sua chiamata, qualunque essa sia. Anche a spendersi con totalità per gli altri, come avviene nella vita sacerdotale o nella vita consacrata. In questo intreccio tra il riconoscimento dell’amore ricevuto, la gratitudine e la risposta con la disponibilità ad amare gratuitamente, lì è il centro della vocazione, e della vocazione di speciale consacrazione in modo particolare.
 
Una vocazione che non nasca dalla gratitudine, sarà sempre segnata da qualche ombra, da qualche interesse, da qualche bisogno umano: motivazioni inconsistenti, non robuste, che prima o poi si spegneranno. In don Lolli invece c’è la gratitudine e la disponibilità grande ad amare ed in modo chiaro.
 
Il secondo aspetto che mi ha colpito è quello che rende abbastanza simile la chiamata di don Angelo Lolli alla descrizione che fa Santa Teresa di Lisieux del suo percorso vocazionale non prima di entrare, ma dopo, quando è già monaca carmelitana. Ella sentiva che il Signore continuava ad inquietarla e che non aveva ancora trovato la pienezza della sua vocazione. La scoprirà poi nell’essere l’amore al centro della Chiesa, nel cuore della Chiesa, per poter così alimentare e sostenere tutte le altre vocazioni.
 
Anche don Lolli rivela di vivere una personale inquietudine, un’insoddisfazione davanti al Signore: ‘Mi sembra poco o nulla quello che faccio di fronte a quello che vorrei fare, ho troppi desideri che non vedo soddisfatti e la vita fugge con una rapidità che mi impressiona, soffro acutamente, insofferente della quiete. Signore non posso andare avanti così ‘.
Anche per don Angelo, come per Santa Teresa, arriva però la risposta del Signore attraverso un dono particolare che gli apre gli occhi sulla sua vera missione, quando lo fa incontrare ripetutamente con dei poveri. Essi pian piano lo convincono che la pienezza del suo cammino vocazionale è dedicarsi a loro, totalmente. E dietro i vari incontri, riconosce dei segni che Dio gli da perché si decida ‘ lo dice lui stesso ‘  a spendere la vita nell’oscurità e nell’amarezza, pur di poter asciugare le lacrime di queste anime sofferenti.
 
‘E’ ora che mi decida una buona volta Signore. Per quanto sia sublime questa missione, io non l’avrei mai abbracciata se voi, a viva forza, non mi ci aveste attirato. Mio Dio, invoco la forza del vostro aiuto per corrispondere pienamente a questa vocazione’. E così decide di dedicarsi totalmente ai poveri, dopo aver dato vita a una serie di altre iniziative: la diffusione della cultura, la coltivazione della musica, l’insegnamento’ poiché aveva sposato in pieno la causa sociale del cristianesimo secondo gli orientamenti dell’enciclica  Rerum Novarum di Leone XIII.Tutte attività che l’avevano anche coinvolto e appassionato, ma nessuna in modo definitivo. E’ così che incomincia a dar vita ad una serie di piccole opere, che all’inizio sono rivolte ai poveri abbandonati, agli infermi cronici che sono senza un abitazione sana. Da qui anche l’idea di creare un ospizio, una casa per ospitare coloro che non hanno né assistenza, né cura, né casa.
E da questi inizi si sviluppa tutta l’Opera.
 
Ma l’ultimo, il terzo elemento che mi ha colpito del suo cammino e delle sue scelte è  la sua umiltà. Don Angelo ha sempre avuto questa percezione : ‘Là dove non possiamo camminare, Dio ci porta’.
L’esperienza interiore attraverso la quale era passato e che lo aveva portato a donarsi totalmente alla carità, non gli aveva tolto la coscienza di essere uno strumento nelle mani del buon Dio.
 
Proprio lui che era stato chiamato a trasmettere la tenerezza di Dio ‘ non la propria misericordia o il proprio amore per i poveri, ma quello che veniva da Dio ‘ era abituato, anche con qualche gesto abbastanza clamoroso, a tirarsi indietro, a non mettersi in prima fila, a non attribuirsi meriti e a ritenersi l’ultimo dei preti.
Il desiderio di non apparire, la fuga dalle lodi, sono i modi concreti con i quali si rivela la sua umiltà e del resto con una bella riflessione, scrive: ‘ Per essere umile non ho bisogno di fare troppi ragionamenti, basta che io guardi in me stesso, che sia sincero con me e vedrò tutta la mia profonda nullità’.
 
Dunque un’umiltà davvero significativa perché è stata il grande strumento attraverso il quale Dio ha potuto agire: un messaggio importante per noi oggi. Non dovremo aver paura del presente e del futuro di questa Opera se manteniamo questa stessa umiltà, perché se siamo umili, Dio opera, ha lo spazio in noi per operare.
Se ci mettiamo nelle sue mani, con piena disponibilità e lo lasciamo agire, lui ci ispirerà le scelte giuste, concrete, quotidiane. Ci permetterà di discernere il meglio in ognuna delle azioni.
 
Ringraziamo il Signore per averci dato allora, l’Opera di Santa Teresa che è al centro della nostra chiesa di Ravenna-Cervia. Lo ringraziamo per l’umiltà di don Lolli, la sua scelta definitiva di consacrarsi alla sofferenza dei poveri. Lo ringraziamo per la sua umiltà e chiediamo a lui di intercedere per noi perché quegli stessi doni che Dio ha fatto, e il suo atteggiamento di umiltà, sia ancora oggi presente in tutti noi.
 
 
+Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo