Omelia Ordinazioni Presbiterali – 22 giugno: “Preti per la nostra Chiesa”

24-06-2013
Omelia Ordinazioni Presbiterali
Ravenna, 22 giugno 2013
 
Preti per la nostra Chiesa
Carissimi Alain e Pietro,
siete giunti al giorno desiderato dell’Ordinazione e dell’ingresso nella vostra nuova famiglia del presbiterio diocesano. Giorno di gioia, ma credo anche di qualche timore. Il cammino che si apre davanti a voi nella nostra Chiesa diocesana, è pieno di attese da parte di tanti: parroci che immaginano di avere subito un nuovo cappellano, fedeli che pensano ad un prete giovane per i loro ragazzi o giovani, gli organismi e le associazioni diocesane che si fanno avanti, e così via!
La nostra Chiesa che ha sofferto di una carenza di vocazioni e di presbiteri, oggi può gioire delle vostre vite consacrate al suo servizio e giustamente sogna di poter condividere la ricchezza di grazia che voi rappresentate. Per me in particolare è un grande motivo di gioia, ancora all’inizio del ministero episcopale a Ravenna-Cervia, poter celebrare qui le mie prime ordinazioni sacerdotali. Rendiamo grazie a Dio!
‘ Vorrei prendere spunto da qualcuna delle frasi che avete detto raccontando la vostra vocazione, quelle che si riferiscono al cammino che vi ha portati in questa terra e in questa città, dove non siete nati e cresciuti. Qui però, avete detto, si è storicamente realizzata la vostra risposta alla chiamata, qui vi siete inseriti nelle parrocchie, qui avete trovato dei testimoni e dei maestri che vi hanno accompagnato, qui vi state inserendo in un presbiterio e vi state legando ad un Vescovo di una diocesi dalla quale riconoscete di aver ricevuto molto. E quindi siete contenti di restituirle molto.
Potremmo dire qualcosa di più.
Qui il Signore vi ha modellato perché il vostro ministero non sia solo una presenza sacramentale ma ‘generica’ del Cristo, un ministero che andrebbe bene ovunque. Il Signore invece vi ha dato una configurazione a questa Chiesa. Ne portate la somiglianza: come fisicamente un figlio porta sempre qualche tratto della madre, così voi, rispetto alla Chiesa che vi ha accolto, formato e nutrito con le sue testimonianze, le sue scelte pastorali e spirituali, con le sue opere di carità e i suoi monumenti sintesi di bellezza e fede, con i suoi santi da Sant’Apollinare ad oggi, e ricordo qui solo don Lolli, don Minzoni, don Perin, ma ce ne sono diversi altri’
‘ Siccome la somiglianza del presbitero a Cristo è più nota e ben riflessa nella coscienza dei fedeli, vorrei sottolineare piuttosto il vostro legame con la Chiesa particolare, quella somiglianza ecclesiale che vi connota e vi fa nostri, vi fa presbiteri diocesani pienamente.
Voi sapete bene che è nella Chiesa locale che la Chiesa universale si fa ‘evento’; è lì che si incontra concretamente Cristo Sacerdote, Re e Profeta; che si entra a far parte del suo corpo e si collabora alla sua edificazione. Si dice che è l’Eucaristia che ‘fa’ la Chiesa Corpo di Cristo, ed è sicuramente vero. Ma si deve dire anche che è lo stesso Cristo che si rende presente, nell’Eucaristia, in tutte le Chiese locali presiedute dai loro vescovi. E che la principale manifestazione della Chiesa si ha dunque non in altre azioni, ma là dove il vescovo, il presbiterio e il popolo di Dio si radunano attorno all’Eucaristia (cf. SC 41).
Quindi il ministero presbiterale è essenzialmente ‘ecclesiale’, ed è segnato anche dalla forma locale della Chiesa. Non avrebbe senso, una specie di ordinazione svincolata da una porzione del popolo di Dio. È la natura di questo sacramento: si è ordinati per servire la Chiesa, sì, ma in una Chiesa locale.
‘ Il dono che ricevete non è un accrescimento della dignità personale, un titolo di onore, un grado nella carriera ecclesiastica. Nella Chiesa i carismi gerarchici sono dati per scendere e mettersi a servizio di altri, all’ultimo posto, non al primo; per diventare piccoli, non grandi. Ma non basta. Si è ancor più legati che in altre vocazioni laicali, si è incardinati ad una Chiesa particolare per dedicare ad essa tutta la vita. Come uno che si sposa per rimanere unito e fedele sempre, nella buona e nella cattiva sorte, con totalità, fino alla morte.
L’incardinazione è un legame teologico, prima che giuridico. È una figliolanza; e in ogni caso genera una familiarità; è appartenenza oggettiva, non determinata da simpatie umane o spirituali, non da interessi o calcoli, non da aspettative individuali. E se alcune di queste motivazioni spurie ci fossero, occorre una purificazione, per poter crescere nella unità con il Vescovo, il presbiterio, i diaconi e tutto il popolo di Dio della diocesi, con costanza e con verità.
 
‘ Voi potreste ribattermi: ma se la mia spiritualità di prete diocesano ha come sorgente e modello Cristo Capo’Servo, Pastore e Sposo, e ha come espressione (e alimento) la triplice diaconia dell’evangelizzazione, della celebrazione sacramentale e della guida pastorale, non è sufficiente? Non è questa la mia nuova identità come presbitero? Sì e no. Perché tutte le espressioni che ho appena citato hanno senso solo se tu come presbitero rimani in relazione con la Chiesa e in concreto con una Chiesa storica particolare, che sia per te il vero e reale Corpo di Cristo da servire ed edificare, che sia una precisa Chiesa da pascere, una bella Chiesa con nome e cognome, da amare fino alla fine. Sei prete e agisci ‘in Cristo’, ma sempre ‘per’ qualcuno: per i fedeli, per i lontani, per gli atei, per i poveri, per i ricchi, per i peccatori, per chi ti ascolterà e per chi non ti ascolterà’ Una cosa è sicura: non sei prete per te stesso, ma per la tua Chiesa.
Io sono poi dell’idea che puoi anche per vicende storiche molto particolari, essere costretto ad entrare in una nuova Chiesa diocesana. Però una volta che sei stato adottato, vivi la tua famiglia in pace, ama la tua Chiesa così come è, senza guardarne un’altra.
‘ Può succedere che uno sia mandato in missione in un’altra Chiesa locale, (come i preti cosiddetti ‘fidei donum’), ma anche questa non deve essere una scelta di autonomia o una ricerca di chissà quale migliore realizzazione di se stessi. Deve essere un mandato motivato con l’impegno alla trasmissione della fede da parte di una Chiesa locale ad una Chiesa sorella. Qui è l’intera Chiesa locale che si coinvolge nella trasmissione del Vangelo inviando anche alcuni suoi presbiteri (come altre vocazioni laicali o religiose). Così il presbitero, che resta incardinato, compie una parte della missione che la sua Chiesa locale esercita nel mondo, partecipando alla missione della Chiesa universale.
‘ In concreto credo che la prova del fuoco di questa appartenenza ecclesiale che segna carne e sangue del ministro ordinato (prete e diacono) sia la pienezza delle relazioni, che con il proprio Vescovo devono essere relazioni filiali, con gli altri presbiteri relazioni fraterne, con i fedeli relazioni paterne. Questa triplice relazione ‘familiare’, è essenziale, non è facoltativa.
E lasciatemi dire che c’è forse un ordine (un ‘ordo amoris’) di queste relazioni che andrebbe rispettato. Potrà un ministro ordinato essere fratello degli altri se non vive positivamente la figliolanza col suo Vescovo, che è padre e fratello di tutti i ministri? Potrà esercitare la paternità verso i fedeli se non ha vissuto bene la sua dipendenza filiale dal Vescovo e la comunione alla pari con tutti gli altri fratelli ordinati, che non si è scelto, semplicemente perché i fratelli non si scelgono?
‘ E vorrei mettere in guardia me stesso e tutti noi ministri ordinati rispetto ad alcuni pericoli. Il primo: che non ci succeda di occuparci e preoccuparci, almeno a parole, di ciò che accade nella Chiesa universale per evadere il problema del come affrontare le debolezze della comunione tra noi o le difficoltà della missione sul nostro territorio!
Un altro pericolo: che non ci succeda, per la vita spirituale, di cercare come punto di riferimento primario qualche autorità o fonte extra-diocesana, magari disincarnata dalla pastorale, per allentare la tensione che ci crea l’esercizio quotidiano della carità pastorale, fondamento di tutto il nostro cammino di santificazione sacerdotale, ma anche spogliazione e croce quotidiana! Certo altre spiritualità potranno farci da supporto ed arricchirci, ma non possono essere il fondamento della nostra carità pastorale. La quale sta invece nell’identificazione personale e collettiva con Gesù Cristo e con la Chiesa in cui viviamo, inseparabilmente, poiché essa è suo Corpo, sua Sposa, suo gregge che ci è concesso di pascere solo se lo amiamo.
‘ Infine, cosa chiediamo al Signore per voi due, Alain e Pietro, questa sera?
Qualcuno potrebbe dire: che siate buoni maestri di vita per i giovani, che coltiviate le vocazioni, che lavoriate per l’unità del clero giovane e meno giovane, che vi lanciate verso i lontani’
Io chiederei invece questo: che il vostro amore personale per lui Buon Pastore, Maestro di verità e vero Amico dei suoi discepoli, diventi anche amore ‘ecclesiale’ per il Vescovo, il presbiterio e tutto il popolo di Dio di questa Chiesa di Ravenna ‘ Cervia alla quale appartenete, che vi è stata madre e maestra.
E chiederei che il vostro diventi un legame forte, resistente, non solo affettivo, ma effettivo. Un legame che si traduca in collaborazione, cioè in un lavorare insieme, non da soli; e in corresponsabilità, cioè nel farsi carico della semina del Vangelo e dei bisogni pastorali di tutta la Chiesa diocesana, studiando la realtà sociale intorno a voi, anticipando e prevenendo i pericoli, partecipando e faticando insieme agli altri negli organismi diocesani, ma soprattutto offrendovi volentieri per la grande missione che ci aspetta sempre più urgentemente: ri’evangelizzare le nostre terre, addormentate e insterilite dal benessere e dall’autosufficienza, perché rifioriscano nella fede, nella carità e tutti abbiano la salvezza e la gioia.
La preghiera di Maria, di san Giuseppe suo sposo, dei nostri vescovi S. Apollinare, S. Paterniano, S. Pietro Crisologo, S. Guido Maria Conforti, vi dia coraggio e vi illumini per il futuro ministero con il fuoco e con la sapienza che vengono dallo Spirito di Dio.
 
+Lorenzo, Arcivescovo