Omelia di Sant’Apollinare – 23 luglio

24-07-2013
Omelia di Sant’Apollinare
 
Ravenna, 23 luglio 2013
 
 
Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Ravenna-Cervia,
 
leggiamo nell’ultima edizione ufficiale del Martirologio Romano: ‘Sant’Apollinare, vescovo, che, facendo conoscere tra le genti le insondabili ricchezze di Cristo, precedette come un buon pastore il suo gregge, onorando la Chiesa di Classe presso Ravenna in Romagna con il suo glorioso martirio. Il 23 luglio migrò al banchetto eterno‘.
 
La Chiesa ci fa celebrare da moltissimi secoli i grandi testimoni, i martiri, i grandi padri, i maestri della fede: i santi cioè, da tutti venerati e riconosciuti come tali per la loro vita esemplare. Essi sono per noi esempi luminosi. Uno di questi, è sant’Apollinare, nostro primo vescovo, fondatore della Chiesa di Ravenna.
 
E la riflessione che faccio è questa. I tempi nei quali vivevano i primi evangelizzatori non erano migliori dei nostri: il paganesimo era diffuso ovunque e aveva tante forme di attaccamento a idoli ambigui; i costumi morali erano spesso opposti a quello che propone Gesù, per esempio, nel discorso della Montagna; e le leggi civili non aiutavano né le comunità, né le loro opere di carità cristiana, quando non erano apertamente persecutorie. Eppure gli apostoli e i loro primi collaboratori, sono riusciti con la forza dello Spirito Santo a evangelizzare e a far nascere nuove comunità cristiane in tante città dell’Oriente e dell’Europa. Mi chiedo: quale messaggio noi cristiani di Ravenna ‘ Cervia possiamo raccogliere da Sant’Apollinare testimone, fino al sangue, della sua fede in Gesù Cristo, per rinnovare la missione della nostra Chiesa, oggi?
 
I ‘ Apollinare martire e Testimone della fede.
a) Innanzitutto Apollinare fu fedele fino a condividere la croce di Cristo, quando il Signore lo chiamò come martire a rendere ancor più feconda la sua testimonianza, con il sangue. «’ il sangue dei martiri è seme di cristiani», scrisse Tertulliano (Apologeticus, 50).  Ma se il sangue dei martiri è ‘seme’ di cristiani, ciò significa che è necessario per l’evangelizzazione (o prezioso)? Una risposta potrebbe essere che i martiri poiché danno la vita per una causa giusta, spingono anche i non credenti ad ammirarli. Oppure si potrebbe rispondere che come gli ‘eroi’ e i ‘padri’, essi entrano a far parte della storia e dell’identità di un popolo e ne influenzano i comportamenti.
 
La ragione più profonda invece, ce la dà l’evangelista Luca in occasione della uccisione di Stefano, primo martire della fede: la vita e la morte di ogni martire è una ‘imitazione’ originale della passione gloriosa di Cristo. Per questo i gesti e le parole finali di Stefano sono quelle di Gesù sulla croce (Atti 7,20; Luca 23,34). I martiri imitano fino in fondo il Cristo, lo lasciano agire in loro e danno gratuitamente quello che hanno ricevuto di più prezioso da Dio: la vita! Essi testimoniano che l’amore del Cristo vivo è più forte della morte. E testimoniano che l’amore di Cristo trionferà sulla morte, con la risurrezione.
 
Ma questo è il cuore del Vangelo! È l’annuncio più forte che si possa dare sulla potenza dell’amore del Cristo, sulla risurrezione sua e nostra e sulla salvezza offerta a tutti per puro amore!
Perciò è necessaria la presenza dei martiri per un’evangelizzazione feconda.
 
Tanto necessaria che quando i tempi si fecero meno oscuri e le persecuzioni si diradarono, i cristiani si posero il problema di come continuare quel tipo di testimonianza così radicale ed efficace. In parte a questa domanda rispose il monachesimo e l’ordo virginum, o le altre forme iniziali di vita totalmente consacrate a Dio, nella verginità, nella povertà, nell’obbedienza. E anche quella parte di ministri ordinati che vivevano il celibato per il Regno dei cieli. Dal martirio del sangue si passò a considerare come equivalente ad esso, dal punto di vista della fecondità missionaria, anche una vita cristiana che testimoniasse i valori più radicali del vangelo, prima  nella vita totalmente consacrata e più tardi anche nella vita cristiana di tutti. Il fondamento era il Battesimo e la Fede, l’alimento la Parola e l’Eucaristia, la regola di azione la carità.
 
b) E allora ci chiediamo: come possiamo anche noi arrivare a questo tipo di testimonianza che sia una ‘imitazione originale della passione gloriosa del Cristo, a vantaggio dei nostri contemporanei‘? La risposta non può stare solo nella nostra buona volontà o nel nostro impegno a crescere nelle virtù cristiane. Non riusciremmo a raggiungere nemmeno da lontano il nostro modello, il Signore!
 
L’unica via che abbiamo, ‘ ed è il Signore stesso che ce la apre, per grazia, non per nostro merito ‘, è accogliere il dono di sé stesso che Cristo fa a ciascun credente. Solocosì tutti possiamo essere assimilati a lui e rendergli una testimonianza forte, radicale, evangelicamente luminosa; in ogni stato di vita e vocazione; non solo da consacrati, ma anche da laici. Egli infatti si fa nostro cibo attraverso le tre ‘mense’ della Parola, dell’Eucaristia, della Carità. Possiamo ‘nutrirci’ del Crocifisso-Risorto, e non siamo più noi che viviamo, ma Cristo vive in noi!
 
La trasformazione continua del cuore, della mente, della volontà che egli opera in noi, genera la nostra imitazione e la sequela di lui. Così tutto quello che riusciamo a compiere sarà un tentativo di risposta data con piena libertà e con il cuore colmo di gratitudine, al grande dono che lui ci fa di se stesso. Ricordiamo le parole di Gesù: ‘Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà‘. (Lc 9,23-24)
 
Questo, del resto, è il cammino della nostra santificazione, senza il quale non ci potrà essere né una vita che lasci trasparire il Cristo, né comunione tra di noi e quindi nessuna efficacia missionaria!
 
Ma se rendiamo grazie a Dio che ci permette di accogliere il suo Figlio e di convertirci al suo stile di vita, dobbiamo però anche chiedergli, ‘ prima di tutto noi cristiani ‘ di purificare il nostro cuore dagli idoli del nuovo paganesimo, dalla ricerca del benessere, della sensualità, della sicurezza, del successo’ E dobbiamo chiedergli che ci liberi dalla ‘globalizzazione dell’indifferenza‘ (papa Francesco) che ci chiude il cuore di fronte ai nuovi e agli antichi poveri.  Il Signore, con l’intercessione di sant’Apollinare, ci faccia diventare veramente ‘cristiani’, davvero simili a lui, pronti alla testimonianza fino alla croce!
 
 
II ‘ Apollinare missionario ed evangelizzatore
 
Sant’Apollinare inizia il suo cammino ecclesiale come missionario. La tradizione dice che sia stato mandato da Pietro e che proveniva dalla Chiesa di Antiochia, dove ‘per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani’ (Atti, 11,26) e che fu la base di partenza per l’evangelizzazione del mondo greco e romano. È più ragionevole pensare che sia stato mandato dai discepoli di Pietro o dal suo successore, ma in ogni caso siamo nei tempi degli inizi della Chiesa. Di questi primi tempi ammiriamo il coraggio missionario di Pietro e Giovanni, di Giacomo, e soprattutto di Paolo, Barnaba, Stefano, Filippo, Timoteo, Tito, Priscilla e Aquila, e anche degli altri apostoli e evangelisti, pastori e maestri, profeti e dottori che hanno permesso alla Parola di Dio di diffondersi ovunque, con la loro vita e spesso col loro sangue. Apollinare è uno di loro.
 
Sicuramente il coraggio e la franchezza dell’annuncio, in mezzo alle opposizioni, viene dalla forza dello Spirito Santo e dalla potenza della Parola di Dio, ma anche alla disponibilità personale dei messaggeri a a dedicarsi con tutto il cuore alla propria vocazione e missione. Hanno creduto che la loro vita si sarebbe realizzata solo facendo conoscere a tutti la gioia del Vangelo e hanno accettato di portare la grazia di Gesù Cristo fino ai confini del mondo. Non sono rimasti chiusi nel Cenacolo, nei cortili del tempio, nel giardino di casa, nel gruppo degli amici’ sono usciti; sono andati sulle strade e sulle piazze; ogni occasione è stata buona per un aggancio alla vita di chi incontravano, per seminare, con rispetto e senza violenza, ma in ogni occasione!
 
Questo ci provoca e ci interroga. Noi, cosa facciamo per il vangelo? Siamo anche noi, tutti noi, in qualunque vocazione, impegnati a seminare con le azioni e anche con le parole, nei nostri ambienti di vita, la bellezza della fede e della carità cristiana, che rendono gioiosa e pienamente umana l’esistenza dei singoli e rinnovano la società?
 
Mi sembra chiaro che c’è bisogno oggi di cristiani più coraggiosi, più preoccupati della salvezza dei propri fratelli, più ansiosi di far conoscere Gesù Cristo a tutti.
Nell’Enciclica Lumen Fidei, Papa Francesco scrive: ‘La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma…‘ (n.37). 
 Noi cristiani ravennati e cervesi, di questo inizio di millennio, non siamo forse troppo timidi e troppo tiepidi? Le nostre azioni stupiscono per la loro evangelicità? Le nostre parole feriscono positivamente le coscienze? Oppure la nostra carità assomiglia troppo alla filantropia e la nostra speranza a un debole ottimismo’?
 
Guardiamo alle figure degli antichi pastori martiri, lasciamoci coinvolgere nella missione della nostra Chiesa che tenta ‘ e sarà il tema del prossimo anno pastorale ‘ di RINNOVARSI NELLA FEDE E CAMMINARE INSIEME SULLE ORME DEGLI APOSTOLI per una ‘nuova evangelizzazione‘ delle nostre terre, e ‘ in ascolto del Papa Francesco ‘ lasciamoci richiamare ogni giorno alla conversione, all’unità tra noi e soprattutto alla missione ai vicini e ai lontani.
 
Così Dio ci aiuti, anche per l’intercessione di Sant’Apollinare e di Maria, Madre della Chiesa e Stella dell’evangelizzazione.
 
 
+Lorenzo, Arcivescovo