Avvenire – Intervista a Mons. Lorenzo Ghizzoni – 7 marzo 2024. Abusi: «Con le vittime, sempre»

Abusi: «Con le vittime, sempre»

L’arcivescovo Ghizzoni fa il punto sull’impegno della Chiesa italiana nella tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. «Qualcosa sta cambiando nel modo di considerare questi casi. Le vittime vanno aiutate a denunciare alla magistratura»

 

Dalla parte delle vittime, sempre, attraverso azioni concrete tese a prevenire, informare,

formare e reagire in maniera efficace davanti agli abusi commessi da operatori pastorali

o chierici: è questo principio fondamentale di garanzia e trasparenza ad aver guidato la Chiesa italiana (così come quella di tutto il mondo) nella costruzione della rete a protezione dei minori e delle persone vulnerabili.

A fare il punto sul lavoro compiuto dalla Conferenza episcopale italiana e dalle diocesi a cinque anni dall’istituzione del Servizio nazionale per la tutela dei minori è l’arcivescovo

di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio.

 

Quali sono oggi i frutti più preziosi scaturiti dal lavoro del Servizio?

Il Servizio è nato nel febbraio 2019 e l’anno successivo abbiamo dovuto fare i conti con la pandemia. Nonostante questo ostacolo tutte le diocesi hanno risposto alla richiesta di nominarono i loro referenti. Poi abbiamo chiesto alle Chiese locali di aprire una nuova struttura: un centro di ascolto per la tutela dei minori, per dare informazioni e accogliere chi voleva fare segnalazioni o denunce. Ne sono sorti oltre un centinaio, diocesani o interdiocesani, che coprono praticamente tutto il territorio. I responsabili sono in prevalenza laici e donne, con competenze specifiche. Poi il Servizio nazionale ha elaborato

grazie ai suoi specialisti, tre Sussidi: sul fenomeno e le ferite degli abusi, sulle buone prassi di prevenzione in parrocchia, sulla formazione dei seminaristi e dei novizi in tempo di abusi. Più tardi è uscito anche un Sussidio specifico per le scuole cattoliche, adatto però anche a tutte le scuole.

In questi ultimi due anni i membri del Servizio nazionale con la coordinatrice Emanuela Vinai hanno fatto moltissimi interventi su tutto il territorio italiano, incontrando i vescovi delle regioni ecclesiastiche, presbiteri e diaconi, catechisti, insegnati di religione, allenatori sportivi, animatori delle realtà giovanili e delle associazioni. Parliamo di varie decine di migliaia di persone coinvolte ogni anno. I due resoconti annuali (2020-21 e 2022) elaborati

con il contributo di esperti della Cattolica, hanno mostrato come questa rete si stia muovendo e stabilizzando.

Anche i centri di ascolto sono in parte conosciuti: nei quasi tre anni di vita hanno avuto circa 90 segnalazioni e qualche centinaio di contatti.

 

Cosa manca ancora da fare?

Abbiamo constatato che non tutte le diocesi e non tutte le regioni ecclesiastiche si sono

mosse con lo stesso ritmo, soprattutto per una certa disparità di risorse umane. In compenso ci sono molte diocesi importanti che hanno elaborato in proprio cammini di formazione per tutti gli operatori pastorali, di ottimo livello. E più si fa formazione,

più aumenta la sensibilizzazione ed emergono casi nuovi o antichi. Sostenere e potenziare

questa rete è il nostro primo compito, d’accordo coi vescovi. Con loro, infatti, in quasi tutte

le assemblee generali abbiamo riaffermato le scelte e le azioni di prevenzione per la tutela dei piccoli e dei ragazzi che sono il bene più prezioso che ci è affidato, in collaborazione con le parrocchie, le associazioni e i movimenti e naturalmente con le famiglie. Inoltre stiamo studiando come ricavare conoscenze e orientamenti per la prevenzione grazie a una serie di approfondimenti e di ricerche, in itinere e in partenza. Delitti antichi e recenti.

A testimonianza che in questi anni c’è stata una vera svolta anche nelle diocesi italiane che hanno iniziato seriamente ad affrontare gli abusi dei chierici.

 

L’impegno della Chiesa su questo tema come sollecita, se lo fa, anche la società civile?

Là dove ci sono le denunce, la magistratura fa il suo dovere. La nostra società ha ancora un atteggiamento stigmatizzante e questo rallenta le denunce: spesso infatti o la vergogna,

o i sensi di colpa ingiusti delle vittime, o la tendenza antica a lavare i panni sporchi in casa, limita la reazione. Anche la paura di essere messi alla mercé di tutti sui social o strumentalizzati sui mass media blocca le denunce. Ora qualcosa, però, sta cambiando.

Anche noi vescovi e religiosi ci siamo impegnati moralmente a incoraggiare e sostenere le vittime che si rivolgono a noi, perché denuncino i reati anche alla magistratura. Il nostro rapporto con le istituzioni civili sul tema è iniziato molto bene con il Ministro della famiglia e pari opportunità, che sta continuando. Siamo invitati permanenti all’Osservatorio nazionale e abbiamo un buon rapporto con l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. A livello locale, non dappertutto, ma in tante realtà diocesane e regionali si sono stabiliti contatti e accordi anche formali per una collaborazione con le forze dell’ordine, con la magistratura, con l’assistenza sociale, con gli amministratori.

È un campo che si sta sviluppando in alcuni casi concreti, non solo con atti ufficiali e convegni di studio. E il nostro impegno coinvolge anche la scuola, lo sport e,

soprattutto, le famiglie. Purtroppo la grandissima maggioranza (circa 9 su 10) dei maltrattamenti, delle violenze assistite, degli abusi di vario tipo, avvengono nella cerchia familiare: ecco perché bisogna arrivare anche qui di concerto con le altre istituzioni educative, assistenziali, di volontariato della società.

 

Qual è stata la risposta delle comunità cristiane finora?

La risposta è stata in genere positiva anche se l’argomento è molto sensibile, delicato e in larga misura nuovo per come lo affrontiamo in termini di un nuovo rispetto verso i piccoli e i ragazzi, verso il loro corpo, la loro sensibilità psicologica, la loro anima, che chiede una nuova educazione affettiva, sessuale e morale, decisamente diversa da ciò che vedono e sentono con i loro strumenti elettronici e anche dagli esempi incoerenti degli adulti.

È una battaglia educativa e culturale che chiede prima di tutto agli adulti e agli educatori di vivere con coerenza e serietà l’affettività, le relazioni, la sessualità tra loro e in presenza dei ragazzi, a cominciare dalla vita in casa.

 

«Dagli incontri con le vittime la forte spinta a reagire»

Accanto al lavoro istituzionale, che ha portato alla nascita sul territorio di una rete per la tutela dei minori, la Chiesa italiana ha voluto porre gesti concreti, come gli incontri con

le vittime.  «La prima volta – racconta l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale per la tutela dei minori – fu nel lontano 1985, e ancora adesso nell’incontro voluto dalla presidenza della Cei qualche giorno fa, mi hanno sempre scosso e lasciato una traccia di dolore e di indignazione, col desiderio di reagire in ogni modo possibile.

Non sempre è stato facile. Nell’ultimo incontro abbiamo visto anche il riflesso sui familiari e la loro sofferenza nel prendere atto della umiliazione e della ferita subita dai figli.

Credo che tutti noi operatori pastorali dovremmo fare una esperienza di ascolto e di condivisione con queste persone».

 

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TESTO BASE per l’intervista, utilizzato da Matteo Liut

Cinque anni fa nasceva il Servizio: quali sono le radici di questa attenzione?

Fin da quando esplose il fenomeno abusi o pedofilia, sui mass media e nelle nazioni del nord America o Europa, anche la Cei si preoccupò di capire come affrontarlo in modo nuovo. Il peccato di abuso dei minori era presente da secoli come uno dei più gravi in assoluto nell’insegnamento morale della Chiesa e anche nel diritto canonico penale. Si trattava ora di cambiare prospettiva e di mettersi dalla parte delle vittime, non in difesa dell’onore dell’istituzione ecclesiale e dei suoi ministri sacri, tenendo il silenzio sul reato per non dare scandalo ai fedeli. E si poneva il problema di denunciare o meno il reato anche alla magistratura oltre che sostenere e accompagnare le vittime. Nei primi anni duemila, anche per i provvedimenti promulgati da Giovanni Paolo II, si iniziò a studiare il problema nella Chiesa italiana. Si definirono le prime Linee guida giuridiche. Ma i vertici della Cei e il Consiglio permanente, sollecitati dalla S Sede e dagli avvenimenti terribili che emergevano nella diocesi italiane o di altre chiese nazionali, decisero di dare una svolta per affrontare la tragedia degli abusi e prevenirli in ogni modo possibile, informando tutto il popolo di Dio sulla quantità dei reati e sulla gravità delle ferite che essi lasciano nel cuore e nell’anima delle vittime.

All’inizio del 2019 fu costituito un Servizio nazionale per la Tutela dei minori e delle persone vulnerabili, che ora conta una quindicina di esperti a livello nazionale, un Servizio diocesano con un referente addetto a questo compito pastorale di sensibilizzazione e di formazione per ogni diocesi, e un Servizio regionale che, guidato da un vescovo e da un coordinatore per ogni regione, sostenesse i referenti diocesani e si occupasse della loro formazione. Nell’assemblea di maggio del 2019 i vescovi italiani approvarono le nuove Linee guida, un testo decisivo e del tutto innovativo per i principi fondamentali che stabilisce e per le indicazioni pratiche ai vescovi per prevenire, informare, formare e per reagire di fronte ai fatti delittuosi.

 

In questi anni quali sono i frutti più preziosi scaturiti dal lavoro del Servizio?

Purtroppo, nel 2020 scoppiò la pandemia e il nostro lavoro fu molto ostacolato, ma ugualmente tutte le diocesi risposero e nominarono i loro referenti. Nel giro di un anno chiedemmo alle diocesi di aprire una nuova struttura: un centro di ascolto per la tutela dei minori, per dare informazioni e accogliere chi voleva fare segnalazioni o denunce. Ne sono sorti oltre un centinaio, diocesani o interdiocesani, che coprono praticamente tutto il territorio. I responsabili sono in prevalenza laici e donne, con competenze specifiche. Poi il Servizio nazionale ha elaborato grazie ai suoi specialisti, tre Sussidi: sul fenomeno e le ferite degli abusi, sulle buone prassi di prevenzione in parrocchia, sulla formazione dei seminaristi e dei novizi in tempo di abusi. Più tardi è uscito anche un Sussidio specifico per le scuole cattoliche, adatto però anche a tutte le scuole. In questi ultimi due anni i membri del Servizio nazionale, la coordinatrice Emanuela Viani, hanno fatto moltissimi interventi su tutto il territorio italiano, incontrando i vescovi delle regioni ecclesiastiche, presbiteri e diaconi, catechisti, insegnati di religione, allenatori sportivi, animatori delle realtà giovanili e delle associazioni. Parliamo di varie decine di migliaia di persone coinvolte ogni anno. I due resoconti annuali (2021-22 e 2023) elaborati con il contributo di esperti della Cattolica, hanno mostrato come questa rete si stia muovendo e stabilizzando. Anche i centri di ascolto sono in parte conosciuti: nei quasi tre anni di vita hanno avuto circa 90 segnalazioni e qualche centinaio di contatti.

 

 

Cosa manca ancora da fare in questo percorso?

 

Abbiamo constatato che non tutte le diocesi e non tutte le regioni ecclesiastiche si sono messe con lo stesso ritmo, soprattutto per una certa disparità di risorse umane. In compenso ci sono molte diocesi importanti che hanno elaborato in proprio cammini di formazione per tutti gli operatori pastorali, di ottimo livello. E più si fa formazione aumenta la sensibilizzazione e emergono casi nuovi o antichi. Sostenere e potenziare questa rete è il nostro primo compito, d’accordo coi vescovi. Con loro, infatti, in quasi tutte le assemblee generali abbiamo riaffermato le scelte e le azioni di prevenzione per la tutela dei piccoli e dei ragazzi che sono il bene più prezioso che ci è affidato, in collaborazione con le parrocchie, le associazioni e i movimenti e naturalmente con le famiglie.

Inoltre stiamo studiando come ricavare conoscenze e orientamenti per la prevenzione, dagli oltre seicento casi denunciati al Dicastero per la dottrina della fede dai vescovi e dai superiori religiosi in questi venti anni. Delitti antichi e recenti. A testimonianza che in questi anni c’è stata una vera svolta anche nelle diocesi italiane che non hanno insabbiato, ma hanno iniziato seriamente ad affrontare gli abusi dei chierici.

 

L’attenzione espressa attraverso questo Servizio ha trovato un riscontro nella società civile? Il fatto che la Chiesa decida di affrontare esplicitamente questo tema ha sollecitato anche la società civile a fare altrettanto?

Diciamo che là dove ci sono le denunce, la magistratura fa il suo dovere. Quello che manca in generale nella società italiana è la decisione a denunciare sempre, in tutti i casi: spesso infatti o la vergogna, o i sensi di colpa ingiusti delle vittime, o la tendenza antica a lavare i panni sporchi in casa, limita la reazione. Anche la paura di essere messi alla mercè di tutti sui social o strumentalizzati sui mass media blocca le denunce. Ma sembra che adesso siano in crescita, anche per altri fenomeni sociali. Anche noi vescovi e religiosi ci siamo impegnati moralmente a incoraggiare e sostenere le vittime che si rivolgono a noi, perché denuncino i reati anche alla magistratura.

Il nostro rapporto con le istituzioni civili sul tema è iniziato molto bene con il Ministro della famiglia e pari opportunità, che sta continuando. Siamo invitati permanenti all’Osservatorio nazionale e abbiamo un buon rapporto con l’Autority nazionale. A livello locale, non dappertutto, ma in tante realtà diocesane e regionali si sono stabiliti contatti e accordi anche formali per una collaborazione con le forze dell’ordine, con la magistratura, con l’assistenza sociale, con gli amministratori. È un campo che si sta sviluppando in alcuni casi concreti, non solo con atti ufficiali e convegni di studio.

Sono molto aperti davanti a noi i campi della scuola (soprattutto con gli insegnanti di religione e gli insegnanti cattolici), dello sport (allenatori e dirigenti di società cattoliche) e alla fine soprattutto delle famiglie. Siccome sappiamo che la grandissima maggioranza (circa 9 su 10) dei maltrattamenti, delle violenze assistite, degli abusi di vario tipo, avvengono nel cerchio familiare, bisogna arrivare anche qui, certamente di concerto con le altre istituzioni educative, assistenziali, di volontariato della società.

 

All’interno della comunità cristiana, invece, qual è stata in generale la risposta all’attività del Servizio e alla richiesta di attenzione verso i minori e i vulnerabili?

La risposta è stata in genere positiva anche se l’argomento è molto sensibile, delicato e in larga misura nuovo per come lo affrontiamo in termini di un nuovo rispetto verso i piccoli e i ragazzi, verso il loro corpo, la loro sensibilità psicologica, la loro anima, che chiede una nuova educazione affettiva, sessuale e morale, decisamente diversa da ciò che vedono e sentono con i loro strumenti elettronici e anche dagli esempi incoerenti degli adulti. È una battaglia educativa e culturale che chiede prima di tutto agli adulti e agli educatori di vivere con coerenza e serietà l’affettività, le relazioni, la sessualità tra loro e in presenza dei ragazzi, a cominciare dalla vita in casa.

 

E la risposta in genere dei vescovi, preti e responsabili delle comunità cristiane?

I numeri dati prima ci dicono che le diocesi si sono mosse, così i vescovi e gli operatori pastorali: tutti si rendono contro che si tratta di un problema vitale per l’oggi e per il futuro della Chiesa, per le sue attività educative, per la credibilità della evangelizzazione.

 

Incontri con le vittime

Gli incontri con le vittime, fina dalla prima volta nel lontano 1985, e ancora adesso nell’incontro voluto dalla presidenza della CEI qualche giorno fa, mi hanno sempre scosso e lasciato una traccia di dolore e di indignazione, col desiderio di reagire in ogni modo possibile.

Non sempre è stato facile. Nell’ultimo incontro abbiamo visto anche il riflesso sui familiari e la loro sofferenza nel prendere atto della umiliazione e della ferita subita dai figli.

Credo che dovremmo fare tutti noi operatori pastorali (vescovi, preti, religiosi e laici educatori…), una esperienza di ascolto e di condivisione con queste persone, nei modi possibili e sempre tutelando la riservatezza. Non si possono più dimenticare. E la loro testimonianza diventa la più forte motivazione per reagire e impostare nuovi atteggiamenti di tutela e di cura per i bambini per i ragazzi.

07-03-2024