Assemblea diocesana – La fase sapienziale

Per camminare insieme: un anno di discernimento e di scelte pastorali

La fase sapienziale

 

 

Siamo davanti a Te, Spirito Santo,

mentre ci riuniamo nel Tuo nome.

Con Te solo a guidarci,

fa’ che tu sia di casa nei nostri cuori.

Insegnaci la via da seguire

e come dobbiamo percorrerla.

Siamo deboli e peccatori;

non lasciare che promuoviamo il disordine.

Non lasciare che l’ignoranza

ci porti sulla strada sbagliata

né che la parzialità

influenzi le nostre azioni.

Fa’ che troviamo in Te la nostra unità

affinché possiamo camminare insieme

verso la vita eterna

e non ci allontaniamo dalla via della verità

e da ciò che è giusto.

Tutto questo chiediamo a te,

che sei all’opera in ogni luogo e in ogni tempo,

nella comunione del Padre e del Figlio,

nei secoli dei secoli. Amen.

 

Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia sta proseguendo nel solco segnato da papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, che delinea una Chiesa mis­sionaria, prossima alla gente, dinamica e solidale. Un passaggio ci può orientare in questa fase: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pasto­rale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie co­munità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia […]. L’importante è non cammi­nare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale» (n. 33).

Quello che ci apprestiamo a vivere, nella fase sapienziale del nostro Cammino sinodale, è proprio il discernimento comunitario “realistico”, cioè operativo, orientato all’indivi­duazione dei mezzi per costruire una Chiesa più aderente al Vangelo. Non è questione di nuovi contenuti, ma di un nuovo stile: sinodale, cioè capace di ascoltare la voce dello Spirito e di ascoltarsi reciprocamente, di camminare insieme, di attendersi con pazienza, di spronarsi con audacia.

In questa nuova fase il testo di riferimento è costituito dalle Linee guida pubblicate nel luglio 2023 (vedi il nostro sito diocesano: diocesiravennacervia.it dove sono scaricabili sia le Linee Guida, sia gli Orientamenti metodologici). Per supportare il percorso di discernimento nelle Diocesi e nelle diverse realtà ecclesiali, come preannunciato nelle stesse Linee guida (p. 13), si è ritenuto oppor­tuno proporre alcune schede.

 

Ciascuna delle cinque schede, dopo aver richiamato brevemente gli argomenti del nucleo (descritti con maggiore ampiezza nelle Linee guida), propone alcune domande. Ogni Diocesi e realtà ecclesiale può scegliere una o più domande, o formularne altre, maggiormente aderenti alla propria realtà. Nell’af­frontare queste domande è bene continuare a coinvolgere il più ampio numero possibile di persone, anche tra coloro che vivono in un contesto diverso da quello ecclesiale.

 

Insieme coi Referenti diocesani abbiamo preferito e consigliamo due delle cinque tematiche: la prima sulla missionarietà come vicinanza e la quarta sulla corresponsabilità.

 

Perché il Cammino sinodale rispetti il desiderio di rinnovamento evangelico espresso dai partecipanti, è indispensabile ora – nella fase sapienziale – attivare un discernimento operativo. Sarebbe inutile e frustrante continuare a ripetere che la realtà non è più quella di prima e che perciò bisogna dar vita a una Chiesa diversa e più evangelica, se a questo punto non si riuscissero a individuare i passi da compiere, i ponti da costruire con pazienza ma con decisione. In questa direzione dalle consultazioni dei gruppi sinodali nel biennio narrativo è nata la gratitudine per la possibilità di avere parola nella Chiesa e l’appello al coraggio del cambiamento, da cui sono emerse indicazioni convergenti.

 

SCHEDA 0:

INTRODUZIONE ALLO STILE DEL DISCERNIMENTO

 

L’episodio del cap. 24 del Vangelo di Luca (vv. 13-49), che vede protagonista Gesù con i due discepoli diretti ad Emmaus, è stato scelto come paradigma biblico della fase sapienziale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia. In effetti, la dinamica che si instaura tra il Risorto e i due viandanti è molto istruttiva per comprendere il discerni­mento cristiano in chiave biblica. Si può rileggere a questo proposito la sezione delle Linee Guida in cui si ripercorre l’incontro di Emmaus (cf. pp. 6-10), dove vengono enucleati sei criteri per il discernimento: 1) lasciarsi interrogare dal Signore, per capire dove siamo e dove vogliamo andare; 2) ascoltare le Scritture, che si compiono nella Pasqua del Signore; 3) mantenere l’atteggiamento itinerante, per mettersi in cammino con tutti i fratelli e le sorelle; 4) creare sempre un clima di accoglienza e di ospitalità, perché nessuno si senta escluso; 5) celebrare con gioia, solennità, sobrietà e semplicità il mistero eucaristico, fonte e culmine della vita della Chiesa; 6) tenere fermo l’orizzonte della missione, vincendo il ripiegamento, nel confronto costante con i pastori.

 

Domande generali ispirate ai criteri di discernimento di Emmaus:

  1. “Dove” si trova la nostra Chiesa locale? Da quali tradizioni viene la nostra Chiesa e verso quale nuovo cristianesimo sta andando?
  2. Come favorire nelle nostre comunità ecclesiali la lettura e la meditazione della Bibbia? Quali esperienze positive possiamo comunicare alle altre Chiese in Italia?
  3. In che modo le nostre comunità possono superare le tentazioni sedentarie e diventare più itineranti e missionarie? Quali esperienze pastorali dinamiche e creative possono essere utili anche per le altre Chiese in Italia?
  4. Ci sono nella nostra Chiesa locale luoghi ed esperienze capaci di ospitare tutti, anche coloro di cui non si condividono le scelte e gli stili (accogliere “tutti” anche se non si può accogliere “tutto”)? Come nel nostro Cammino sinodale possiamo crescere nel coniugare carità e verità?
  5. Le celebrazioni eucaristiche nelle nostre comunità respirano gioia, semplicità, solennità e sobrietà? Dove possiamo migliorare? Quali esperienze celebrative positive comunichiamo alle altre Chiese?
  6. Come possiamo superare le tentazioni autoreferenziali, in comunione con il Papa e i Vescovi?

 

 

SCHEDA 1.  La missione secondo lo stile della prossimità (per tutti)

 

La testimonianza del Regno di Dio predicato e incarnato da Cristo è l’essenza intima della Chiesa (cfr. Lumen Gentium, nn. 3 e 5). Nell’ampia dialettica sinodale questa coscienza è apparsa radicata e diffusa. Ricorrente è il rammarico per le occasioni in cui la Chiesa non riesce a rendere trasparente il nucleo di tale testimonianza: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (Evangelii Gaudium, n. 164). La prima parola del cristianesimo dovrebbe essere eco di questa incondizionata prossimità di Dio in Cristo, non solo come contenuto della missione, ma soprattutto come stile, del quale Gesù è stato insuperabile maestro. Si sente forte il desiderio dei battezzati di partecipare a questo slancio testimoniale della Chiesa, ma anche il desiderio che esso possa essere improntato anzitutto ad una vicinanza con tutti. Ma quali sono i passi per camminare concretamente accanto a tutte le donne e gli uomini, vicino alla loro condizione, a partire dagli ultimi?

 

1.1.  Partecipare, tessere legami di fraternità e inclusione

Il mondo, creato e amato da Dio, è amato anche dal suo popolo che, per questo, partecipa attivamente alla vita sociale e politica, senza la pretesa di rivendicare spazi di privilegio ed egemonie culturali, ma ponendosi come sale, luce e lievito del mondo per riqualificare continuamente l’incontro tra le persone, il confronto nella diversità, la scelta delle priorità, la progettazione condivisa, il mutuo sostegno, l’interlocuzione con enti e istituzioni pubbliche e private. Si vorrebbe una Chiesa che vada per le strade alla maniera del Buon Samaritano: pronta a chinarsi e a fasciare le ferite, nel corpo e nello spirito, di chi giace ai margini della via. Nelle narrazioni è emersa in particolare la necessità di un impegno attivo in alcuni ambiti cruciali per il nostro tempo: la costruzione della pace, la cura dell’ambiente, il dialogo tra le culture e le religioni, l’inclusione dei poveri, degli anziani, delle persone ammalate o con disabilità.

 

1.2.  Rinnovata attenzione alla persona

Proprio come il Buon Samaritano, i discepoli di Gesù non fanno distinzioni nell’offrire il loro abbraccio gratuito di misericordia. Si ha il desiderio di aprire strade da percorrere perché tutti abbiano cittadinanza nella Chiesa, a prescindere dalla loro condizione socioeconomica, dall’origine, dallo status legale, dall’orientamento sessuale. In particolare, su quest’ultimo aspetto, le giovani generazioni, anche all’interno della Chiesa, sono molto sensibili agli atteggiamenti che sanno comprendere, rispetto a quelli che respingono.

 

1.3.  Nuove connessioni culturali

Si percepisce una corale adesione attorno all’espressione di papa Francesco: “La realtà è più importante dell’idea” (Evangelii Gaudium n. 231). Si sente il desiderio di atteggiamenti ecclesiali in cui il confronto con le varie culture parta da un ascolto rispettoso della realtà dell’altro, il cui valore è incommensurabilmente più grande dell’idea professata. La proposta di fraternità viene evangelicamente prima di ogni idea astratta. Questa convinzione è apparsa in ogni dibattito, con il desiderio di sottrarsi alle polarizzazioni che spesso compromettono un vero stile di Chiesa, che dovrebbe costruire ponti e non muri, perché costruendo muri si finisce per auto-imprigionarsi.

 

1.4.  Pastorale ospitale

C’è il desiderio di comprendere come rinnovare strutture, tempi e modi della pastorale affinché siano luoghi e spazi di ospitalità, aperti anzitutto a favorire l’incontro con tutti. Si desidera una Chiesa in cui chiunque possa incontrare la grazia di Cristo, anzitutto nella fraternità dei suoi discepoli. Gli atteggiamenti di giudizio amareggiano molti credenti e allontanano quelli che si convincono di non esserlo. Si propone, quasi unanimemente, di immaginare dei ministeri dell’ascolto e dell’accoglienza, tanto necessari soprattutto nelle metropoli dove maggiori sono le fatiche e i vuoti esistenziali.

 

Domande per il discernimento:

Che cosa dobbiamo cambiare, quali spazi, quali modalità e quali forme possiamo immaginare perché nelle nostre comunità quanti sono ai margini non si sentano solo destinatari del nostro annuncio e beneficiari delle differen­ti attività pastorali, ma interlocutori attivi e responsabili, con diritto di parola e di azione?

 

Come si può agire per non far sentire fuori dalla comunione ecclesiale le persone che si trovano in situazioni esistenziali che per tante ragioni le fanno sentire emarginate?

 

Quali sono i nodi principali che facciamo fatica ad affrontare? Si è fatto abbastanza dopo Amoris Laetitia per accompagnare, discernere e integrare? Potrebbero essere utili degli orientamenti pastorali nazionali su questi temi? Quali approfondimenti teologici o antropologici sarebbero necessari?

 

Come dare più centralità alle questioni che in questo tempo storico maggior­mente interpellano la società nella pastorale ordinaria delle Diocesi e delle parrocchie? Quali cambiamenti sono auspicabili nell’organizzazione della vita pastorale per dare spazio a tali temi? Quale può essere l’apporto specifico di laici, associazioni e movimenti?

 

Da alcuni anni sono state avviate in diverse realtà esperienze di comunità o unità pastorali. In che modo queste esperienze stanno incidendo nella vita della Chiesa locale? Quali sono le difficoltà maggiori che chiedono di essere affrontate? Quali i punti di forza che vanno emergendo? Che cosa possono imparare tutte le Chiese che sono in Italia da queste esperienze?

 

Testi biblici consigliati: Mt 13,1-9.18-23; Lc 10,1-9.

 

Testi conciliari consigliati: Discorso di Giovanni XXIII in occasione della apertura del Concilio (4.1-4), 11 ottobre 1962; Costituzione Gaudium ed Spes, nn. 1 e 4; Costituzione Lumen Gentium, n. 16; Decreto Ad Gentes, n. 5.

 

 

  1. SCHEDA: La sinodalità e la corresponsabilità (per tutti)

 

L’esigenza emersa coralmente dalla narrazione del vissuto ecclesiale è quella di comunità che siano “case” accoglienti, di una Chiesa più ospitale. Si tratta di ripensare le relazioni all’interno delle comunità e di rendere possibile un reale, effettivo e pieno coinvolgimento di tutti. Il modello di comunità che gravita esclusivamente attorno al prete è ormai insostenibile: sono in primis gli stessi preti ad avere tale percezione. È tempo di immaginare la pastorale come impegno condiviso, pur nella diversità dei ruoli. Non è solo questione di alleggerimento del carico che grava sui ministri ordinati, tema pur molto sottolineato; si ha la sensazione che il tema stesso della ministerialità in chiave esclusivamente clericale sia ormai esausto. L’annuncio del Vangelo dentro la storia e tra la gente, l’essere segno della presenza di Cristo nel mondo, è compito della comunità ecclesiale nel suo insieme. Non regge più neppure la tradizionale separazione tra “dentro” e “fuori” la Chiesa, tra la responsabilità in ordine alla costruzione della comunità ecclesiale e la responsabilità per l’annuncio e la testimonianza negli ambienti di vita. La Chiesa annuncia già (o respinge già) a partire dalla reale comunione che la costituisce. Un tema determinante, in questo senso, riguarda la questione femminile. Anche nel secondo anno di ascolto è emerso ciò che era già stato evidenziato al termine del primo anno: «Ciò di cui si sente universalmente la mancanza è una reale condivisione delle responsabilità che consente alla voce femminile di esprimersi e di contare»

 

4.1.  Partire dalla dignità battesimale di ciascuno

Nelle consultazioni di questi due anni è stato continuamente ribadito il desiderio che le nostre comunità assumano stabilmente uno stile sinodale. Questo esige che ci si interroghi su come favorire una vera corresponsabilità ecclesiale a partire dal riconosci­mento della comune dignità battesimale.

Nella Evangelii Gaudium si legge: «In virtù del battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cf. Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solo recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evan­gelizzazione» (n.120).

Anzitutto il ruolo dei comuni battezzati, laici e laiche, deve trovare forme finalmente non retoriche e effettive. È inoltre essenziale valorizzare le donne, il cui pieno riconoscimento è un nodo aperto e non risolto, a fronte del clamoroso ruolo che esse de facto rivestono nella Chiesa, sostenendone la vita e le attività in tutti gli ambiti, specialmente quelli della catechesi e dell’assistenza, per non dire dei molteplici servizi, anche liturgici, loro affidati. Questo vale anche, con i dovuti adattamenti, per i consacrati non ordinati e le consacrate

 

4.2.  Le nuove ministerialità

«Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del popolo santo di Dio per il bene di tutti. […] Quanto più un carisma volgerà il suo sguardo al cuore del Vangelo, tanto più il suo esercizio sarà ecclesiale. è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo» (n. 130).

La corresponsabilità nella Chiesa è corresponsabilità nella missione dell’annuncio del Vangelo e tende a creare comunione.

In questo riconoscimento della ministerialità comune dei battezzati, si chiede che prendano forma, secondo la creatività dello Spirito, le nuove ministerialità che la vita stessa della Chiesa sta già suggerendo. Esse si legano alla missione della Chiesa, alle esigenze stesse dell’annuncio del Vangelo oggi: si pensi ad es. al ministero dell’ascolto, dell’accoglienza, della consolazione o dell’accompagnamento da più parti sollecitato. Ogni battezzato ha carismi che sono un dono per la comunità: vanno riconosciuti e tradotti in ruoli, compiti, ministeri.

 

4.3.  La guida della comunità

La corresponsabilità sollecita a riscoprire l’imprescindibile valore delle diverse vocazioni. In tal senso la situazione di difficoltà determinata dal calo delle vocazioni presbiterali deve poter diventare una concreta provocazione per una più ampia riflessione teologica ed ecclesiologica, e non semplicemente per la ricerca di “soluzioni pastorali”. Sono già parte della normalità le situazioni di comunità che hanno bisogno di una “guida” che non può essere un prete residente. La realtà sembra suggerire figure nuove a cui dare volto e forma, come quelle di referenti locali o responsabili di piccole parrocchie o di comunità inserite in una parrocchia più grande.

 

4.4.  Quale prete oggi?

Particolarmente avvertito è il bisogno di ripensare, anche in rapporto alla concreta vita pastorale, il modo di essere e di fare i preti oggi. Ci si sente spinti a un profondo ascolto del loro vissuto e a una sincera cura della loro condizione. Nel contempo vanno immaginate forme nuove di esercizio del presbiterato, della sua formazione e dei suoi compiti. Il desiderio di tutti è di incontrare ministri ordinati che siano segni trasparenti di Gesù Pastore, che siano uomini contenti di dedicarsi all’edificazione della comunità, non troppo appesantiti dalle procedure.

 

4.5.  Gli organi di partecipazione

Il tema della corresponsabilità rimanda agli organismi di partecipazione, secondo l’intuizione iniziale offerta dal Concilio. Pur riconoscendo il percorso compiuto in questi decenni, si chiede di valorizzarne il ruolo con più decisione. Sono troppo spesso luoghi di disaffezione alla Chiesa, quando la partecipazione si riduce ad un fattore puramente formale: eppure possono essere spazi di autentico discernimento e progettazione. Si chiede di superare quindi anche la distinzione tra consultivo e deliberativo, in cui il secondo fa di fatto a meno del primo; in questa direzione sta riflettendo anche il Sinodo universale.

 

4.6.  Il ministero dell’autorità

In ultima analisi il tema della corresponsabilità richiama quello dell’esercizio dell’autorità nella vita della Chiesa e nella concretezza delle nostre comunità. È un tema su cui interrogarsi anche in rapporto ai mutamenti del contesto culturale. In alcune parrocchie ha preso avvio la sperimentazione per una “guida sinodale” della comunità cristiana, dove il “munus regendi” è partecipato ad un gruppo, preparato e scelto, che insieme al parroco porta avanti con effettiva “corresponsabilità” la vita pastorale della comunità.

 

Domande per il discernimento:

Come fare in modo che nessuno si senta escluso (anche chi vive condizioni di difficoltà o di marginalità) dalla responsabilità per l’annuncio?

 

Come valorizzare l’apporto specifico dei diversi carismi e vocazioni (da quelli dei singoli, legati a capacità e competenze anche professionali, a quelli che ispirano istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, movimenti, associazioni, ecc.) a servizio dell’armonia dell’impegno comunitario e della vita ecclesiale?

 

Quali ministeri, istituiti o di fatto, esige il nostro tempo per l’annuncio del Vangelo e quali esperienze è possibile intraprendere? Come comprendere e vivere la distinzione e l’unità tra i ministeri ecclesiali (ordinati, istituiti, di fatto)? Come procede la recezione della nota CEI 2022 sui ministeri?

 

Il riconoscimento reale del senso e del ruolo delle donne all’interno della Chie­sa rappresenta un banco di prova fondamentale: come valorizzare pienamen­te l’apporto delle donne nella corresponsabilità ecclesiale? Ccome ripensarlo in rapporto al senso della ministerialità e all’esercizio dell’autorità nella Chiesa? Come valorizzare il contributo delle donne alla riflessione teologica e all’ac­compagnamento delle comunità? Quali mezzi e opportunità per una loro effettiva partecipazione ai processi formali di discernimento e negli organi decisionali? Come riconoscere appieno l’apporto qualificato e generoso delle consacrate nella vita ordinaria della comunità e nei contesti più problemati­ci?

 

Gli organismi di partecipazione ecclesiale sono a servizio della corresponsabi­lità nella Chiesa: come promuoverne la costituzione nelle realtà locali, aiuta­re a comprenderne il senso in rapporto alla ministerialità e alla missione, renderli uno spazio di autentico discernimento ecclesiale nella dinamica della sinodalità?

 

Quale integrazione tra piano consultivo e piano deliberativo per riorganizza­re l’attività pastorale in senso sempre più condiviso? Come vivere l’esercizio dell’autorità nella comunità ecclesiale che è al tempo stesso sinodale e gerar­chica?

 

In molti ambiti la corresponsabilità nella missione richiede una collaborazio­ne più ampia con organizzazioni o con persone di fedi diverse o di diversa ispirazione: che cosa impariamo dal “camminare insieme” a loro e come possiamo attrezzarci per farlo meglio?

 

Testi biblici consigliati: Es 18,13-26; Lc 8,1-3; At 6,17.

Testo conciliare consigliato: Costituzione Lumen Gentium, nn. 12, 13 e 33.

 

 

  1. La comunicazione: i linguaggi, la cultura (per comunicatori e operatori culturali)

 

La diffusa percezione di un cattolicesimo che nell’attuale contesto non riesce a rendere significanti le proprie risorse pone anzitutto la questione dei linguaggi in uso nell’esperienza cristiana. Le formulazioni diventate quasi “gergali” sono sentite come inadeguate all’interno della vita della Chiesa stessa e irrilevanti per i mondi che non vi appartengono. Il tono e il contenuto delle parole della Chiesa non hanno più la capacità di esprime la migliore essenza del cristianesimo, né le qualità per interpellare veramente l’esistenza delle persone: restano spesso solo “formule”, familiari agli appartenenti di lungo corso, ma poco significanti per tutti gli altri, specie per le giovani generazioni. Naturalmente non si tratta solo di cosmetica della comunicazione, di dire meglio cose vecchie, come avviene nell’ambito della promozione pubblicitaria. Si ha viva impressione che la scarsa efficacia dei linguaggi cristiani coinvolga in profondità atteggiamenti e questioni più ampie.

 

2.1.  Linguaggi e mediazione culturale

Il primo è senz’altro il tema culturale. Le formulazioni del discorso cristiano a vari livelli appaiono estranee e inadeguate rispetto alla lingua comune dell’uomo contemporaneo, e ai paradigmi culturali di cui essa si nutre. La Chiesa immagina di toccare con le sue parole le questioni profonde dell’esistenza, ma talvolta senza neppure sfiorare il piano sul quale quelle questioni sono significative per gli uomini e le donne di oggi. Il compito di una mediazione culturale con il sentire e il sapere di oggi viene avvertito come non più rimandabile. La mediazione culturale non si limita all’efficacia della comunicazione, ma cerca piuttosto di comprendere in modo più profondo cose essenziali e poi di esprimerle in modo più credibile. Il ruolo dei laici, che padroneggiano i linguaggi della vita, appare indispensabile in questa continua comprensione della rivelazione cristiana alla luce delle nuove domande umane.

 

2.2.  In dialogo con il contesto contemporaneo

In questo contesto si pone la questione della formazione di chi nella Chiesa abbia una responsabilità ministeriale, laico o ordinato che sia. Si sente necessaria una formazione che abiliti al discernimento culturale, nel segno non di una giustapposizione dei piani, o addirittura contrapposizione, ma di una fraternità culturale, nello spirito di Gaudium et Spes. Il cristianesimo non può apparire fuori dal mondo, perché questo è contrario al principio dell’incarnazione che è nella sua essenza. Si pone qui anche la questione dei mezzi di comunicazione di cui la Chiesa è provvista (giornali, televisioni, editoria) che sono uno strumento potenzialmente cruciale per un discorso ecclesiale significativo nel contesto della cultura contemporanea.

 

2.3.  Il ruolo della teologia

Il tema chiama in causa la teologia, come luogo dove la fede esprime le sue ragioni, chiamata a svolgere un compito importante nel discernimento. Si sente il bisogno di rompere quei recinti che rendono la teologia poco rilevante. Questo comporta anzitutto un potenziamento delle risorse già esistenti nel territorio, a cominciare dalle istituzioni accademiche di teologia e scienze religiose. Si sente anche il bisogno di una “divulgazione” che sappia mettere il prezioso lavoro della riflessione teologica a disposizione di tutti i credenti.

 

2.4.  Liturgia e vita

La debolezza della parola cristiana viene segnalata in modo particolare nel contesto della liturgia, dove la ricchezza della tradizione orante è mediata da linguaggi sentiti come estranei. Ma la questione va oltre il semplice dato linguistico. Il popolo di Dio ha la ferma sensazione che la liturgia parli poco alla vita, non lasci il segno, non tocchi lo spirito. Dietro il bisogno generico di coinvolgimento si esprime, soprattutto da parte dei laici e nei confronti dei modi attuali di celebrare, un’insoddisfazione che è dichiarata, insistente e quasi addolorata. Non si tratta più solo di una disaffezione esterna, della riduzione della partecipazione alla messa, accentuatasi con l’esperienza della pandemia: si tratta di una insoddisfazione interna, del fatto che lì non si trova quello che si cerca. La liturgia oggi pare non riesca più a dare forma allo stare insieme della Chiesa. L’omelia rappresenta l’apice di questo scontento, che riguarda comunque in generale la percepita insignificanza di un rito che non appare più eloquente nel suo insieme.

Domande per il discernimento:

 

Quali sono i campi in cui è più urgente trovare una “rinnovata sintesi cri­stiana” che scaturisca dal confronto tra verità del Vangelo e condizione uma­na di oggi, tra teologia e altri saperi sull’uomo e sul mondo? Da dove iniziare per rinnovare i linguaggi delle comunità cristiane per poter parlare a ciascu­no? Ci sono esperienze in atto che possono essere di aiuto per tutte le Chiese in Italia? Che cosa ci si aspetta dai molti strumenti di comunicazione a disposi­zione delle Chiese in Italia?

 

Quali sono le barriere che innalziamo (paure, pregiudizi, ideologie, ecc.) e che ci rendono incapaci di generare futuro? Possiamo individuare dei terreni comuni da cui è possibile partire? Cosa possiamo noi imparare dalle nuove generazioni, per diventare “una Chiesa giovane con i giovani”?

 

Nella fase narrativa è risuonata più volte la frase: “Occorre riavvicinare la liturgia alla vita delle persone”. Che cosa significa questo in concreto per le nostre Chiese? Quali sono quegli aspetti dai quali possiamo partire? Quali aspetti devono ancora essere approfonditi?

 

Quali tentativi sono in atto nella nostra Chiesa locale? Se sono state avviate esperienze, che cosa ci stanno insegnando?

 

Testo biblico consigliato: At 2,1-13.

Testo conciliare consigliato: Decreto Inter mirifica, nn. 3 e 13.

 

 

  1. SCHEDA: Formazione alla fede e alla vita (per Catechisti, animatori, ministri)

 

È impressione comune, e anche preoccupazione condivisa, che il processo educativo metta anche in discussione dinamiche fino a poco tempo fa efficaci e familiari. Molti fattori culturali incidono in questa situazione. Il senso di fatica, epocale e generalizzata, si accompagna al desiderio di un rinnovato impegno e di una rinnovata competenza nella questione formativa. Da sempre le comunità cristiane riconoscono la necessità di educare alla vita di fede, di formare alla vita cristiana, di curare le specifiche vocazioni, di sostenere l’esercizio dei singoli ministeri. Questo impegno educativo e formativo ha bisogno di nuovo slancio e di specifiche attenzioni: richiede anche il coraggio di compiere scelte innovative.

 

3.1.  Formarsi al “noi”

Coloro che esercitano un ministero e vivono una specifica vocazione necessitano e spesso chiedono una formazione significativa e un adeguato accompagnamento. Con rispetto e chiarezza si segnala il bisogno di prendersi cura dell’ “umano” delle guide della Chiesa. La preoccupazione dei preti e per i preti è generalizzata e accorata. Chi educa a nome della Chiesa deve essere aiutati a coltivare costantemente la propria umanità e la propria fede, perché sappia esercitare l’ascolto, l’accoglienza, la dedizione gratuita, la carità pastorale. È diffusa la convinzione che sia necessaria una diversa formazione iniziale al presbiterato e al diaconato permanente nella prospettiva della sinodalità e della corresponsabilità. Serve una formazione nuova per esercitare il ministero ordinato in tempi nuovi. Emerge inoltre il desiderio di una formazione che contribuisca a riassorbire quella separazione che spesso viene percepita fra laici e preti, così determinante per buone relazioni nella Chiesa. Ci si chiede se una formazione comune tra laici e presbiteri, attraverso esperienze condivise, non permetterebbe la maturazione di una prossimità umana di cui gioverebbe tutta la vita di Chiesa.

 

3.2.  Formarsi con la Parola di Dio

È diffuso il bisogno di intensificare la centralità della Parola di Dio nell’educazione alla fede e nella formazione alla vita cristiana. Si riconosce che nei decenni postconciliari essa è diventata più familiare alla vita della Chiesa. Si percepisce però che ci sono ancora molti passi da fare perché tale familiarità non si riduca a un semplice biblicismo e perché la Scrittura possa occupare il posto della “lingua madre” della fede comune: per ispirare la catechesi che introduca alla fede come incontro esistenziale, la pratica della Lectio, la realizzazione di gruppi biblici, diffusi anche sul territorio (come il “vangelo nelle case”). È emersa più volte l’opinione che la catechesi biblica, nelle sue diverse forme, possa costituire la forma più efficace di “catechesi degli adulti”.

 

3.3.  Formarsi all’accompagnamento

È convinzione comune, spesso ripetuta, che la vita di fede non discende semplicemente dalla ricezione di contenuti catechistici. Si sente un grandissimo bisogno di accompagnamento. La fede, come la vita, è un processo continuo nel quale niente è mai acquisito una volta per tutte. Ci si aspetta la formazione di persone, presbiteri, religiose e religiosi, laiche e laici capaci di esercitare l’arte dell’accompagnamento spirituale. La personalizzazione dei cammini di fede è una dimensione appartenente alla fede stessa, che si plasma sulla vita, con tutte le sue dinamiche e i suoi alti e bassi, con i suoi momenti di svolta e di decisione, di dolore e di gioia. Anche l’accompagnamento “personalizzato” delle coppie, prima e dopo il matrimonio, è segnalato come la forma più incisiva di pastorale familiare e come servizio che le coppie stesse, adeguatamente scelte e preparate, possono svolgere verso altre coppie.

 

3.4.  Formarsi alla vita cristiana

Si sente ormai inefficace quel modello formativo che agisce solo nella prospettiva dei sacramenti, magari destinati ai ragazzi. È percezione comune che la vita cristiana può essere assunta solo nella continuità delle diverse età della vita e in relazione a condizioni esistenziali sempre personali. Questo riguarda soprattutto i giovani, ma anche gli adulti. Si avverte l’urgenza di lasciarsi interpellare dalle giovani generazioni. Si sente necessità di superare l’infantilizzazione della formazione cristiana. Si tratterebbe di uscire dal modello “scolastico” della formazione catechistica (tenendo conto, tra l’altro, che la scuola stessa si è metodologicamente evoluta), per attivare proposte più attente ai contenuti essenziali e alla ricchezza dei linguaggi, dove le diverse dimensioni della persona e della vita cristiana sono prese in considerazione, dove anche le famiglie che in qualche misura si lasciano coinvolgere, sono accompagnate, dove il catechismo non sia solo dottrina, ma sia un vero cammino di introduzione all’esperienza cristiana integrale (“iniziazione cristiana”) sul modello del catecumenato.

 

3.5.  Formarsi nei contesti vitali

Per rendere efficace l’azione educativa si ritengono importanti i contesti umani e culturali si svolge tale azione: scuole, oratori, associazioni, movimenti, ecc. Spesso è in questi contesti che realizzano le condizioni per un incontro autentico con l’appartenenza credente e la formazione cristiana, laddove il tessuto parrocchiale talora non riesce a essere efficace. Questi diversi contesti meritano un’attenzione specifica.

 

Domande per il discernimento:

In che modo nelle nostre comunità possiamo passare da una formazione mira­ta solo alla preparazione ai sacramenti a un insieme di proposte attente a tutte le età e condizioni di vita?

 

Come dare centralità all’ascolto della Parola nelle nostre azioni formative? In che modo accrescere la qualità della formazione degli adulti? Come porre attenzione anche alla formazione teologica, culturale, sociale?

 

Quali buone pratiche catechistiche e formative ci sono nelle nostre Chiese locali che possono essere diffuse? Quali nodi, queste esperienze, ci chiedono di affrontare? Che tipo di orientamenti nazionali potrebbero essere auspicabili su questi temi?

 

Quali aspetti del ministero e della vita dei presbiteri vanno approfonditi e rinnovati per sostenere e facilitare la loro formazione permanente? Quali passi occorre compiere per attuare una formazione ministeriale che parta della vita? Quali cambiamenti attuare per accrescere la formazione comune tra presbiteri, religiosi e laici? Come avvicinare maggiormente la formazione dei seminaristi alla vita della comunità cristiana?

 

Come accrescere la prospettiva della collaborazione educativa all’interno delle nostre Chiese? In che modo possiamo dare concretezza al concetto di alleanza educativa tra le risorse presenti nella comunità ecclesiale (famiglie, educatori, associazioni, parrocchie, oratori, scuole, servizi educativi, università) e il territorio? Quali buone pratiche ci sono su questo tema? Come far crescere negli ambienti ecclesiali la cura di relazioni sane, sicure e liberanti, capaci di prevenire, riconoscere e contrastare ogni forma di abuso?

 

Testi biblici consigliati: Sal 1,1-6; Prov 4,1-27.

Testi conciliari consigliati: Lumen Gentium, n. 41; e Gaudium et Spes, nn. 61 e 62D

 

  1. SCHEDA: Il cambiamento delle strutture (per Curia e uffici pastorali)

 

Papa Francesco scrive nella Evangelii Gaudium: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’auto-preservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie» (Evangelii Gaudium, n. 27). La riflessione sulle strutture è emersa con varie sfumature nelle narrazioni dei primi due anni del Cammino sinodale. Proponiamo una categorizzazione che riassume quattro declinazioni: strutture materiali; strutture amministrative; strutture pastorali; strutture spirituali. Nella varietà di situazioni c’è un filo rosso comune: fare in modo che le strutture siano più snelle, alimentino le relazioni e la comunione, e non siano invece fonte di appesantimento a livello burocratico e gestionale.

 

5.1.  Strutture materiali

Le Chiese che sono in Italia gestiscono in vari modi con un ingente patrimonio di strutture. Ci sono anzitutto le tante chiese, che sono spesso beni artistici di grande valore culturale: la maggior parte di esse sono utilizzate, mentre altre vengono progressivamente abbandonate. Ci sono canoniche, seminari, oratori, case di ordini religiosi: in alcuni casi questi edifici non corrispondono più alle necessità per cui erano stati pensati e costruiti in origine. Ci sono poi strutture ricreative o sportive, spazi teatrali, centri culturali. Ci sono anche strutture assistenziali, fondamentali ad esempio per l’educazione dei piccoli, la cura di anziani o ammalati. A tutti i livelli, la gestione di ciascuna di queste strutture richiede competenze specifiche e visione prospettica. Occorre anche riflettere su alcuni aspetti normativi per fornire indicazioni pratiche e valutare come procedere in casi specifici (ad esempio, quando si ha la possibilità di alienare o riconvertire determinati beni).

 

5.2.  Strutture amministrative

La vita delle Chiese che sono in Italia si articola secondo un gran numero di entità amministrative. In primo luogo, vi sono le parrocchie, che in varie zone vengono spesso riunite in Unità pastorali: un processo che richiede attenzioni specifiche. La fase di ascolto ha fatto emergere con forza il grande carico che grava sui parroci, oberati da responsabilità anche amministrative crescenti. Occorre riflettere su come coinvolgere di più e meglio i laici nella gestione amministrativa, con deleghe specifiche e procure efficaci nella gestione dei beni. C’è bisogno di avviarsi verso una progressiva semplificazione delle certificazioni (ad esempio per ciò che riguarda i matrimoni). Un altro possibile ambito di riflessione riguarda il possibile accentramento di precise aree gestionali in capo alle diocesi. A questo proposito, si apre una riflessione anche sugli uffici di Curia, per chiarire le singole competenze e migliorare l’interazione sinergica.

 

5.3.  Strutture pastorali

I beni immobili e l’organizzazione amministrativa devono essere posti al servizio dell’attività pastorale. Anch’essa, nel corso del tempo, si è consolidata in alcune “strutture”: modalità di azione, eventi, percorsi che spesso si fa fatica a mettere in discussione. Sempre nella Evangelii Gaudium Papa Francesco ricorda: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”» (Evangelii Gaudium, n. 33). È questa un’indicazione ancora più urgente in un tempo di radicale trasformazione a livello sociale e culturale ma anche territoriale ed ecclesiale. La fase di ascolto ha evidenziato il bisogno di pensare una pastorale “in uscita”, che serva ad abitare i luoghi “di soglia” e a favorire il dialogo con le realtà della povertà, dell’emarginazione, della solitudine, dell’esclusione. Allo stesso tempo, emerge la necessità di rimettere al centro l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, e di dedicare tempo alla preghiera personale e comunitaria. Queste esigenze portano a un ripensamento delle strutture pastorali in chiave sinodale, con il coinvolgimento essenziale di tutti quanti partecipano alla vita delle comunità cristiane.

 

5.4.  Strutture spirituali

Per superare la logica del “si è sempre fatto così” va sottoposta a discernimento anche la qualità della vita spirituale nelle nostre comunità, delle sue prassi liturgiche e di preghiera. Nell’ascolto della fase narrativa è emersa la permanenza di diverse pratiche e tradizioni della pietà popolare nel nostro tessuto ecclesiale e sociale. Il discernimento comunitario su queste pratiche, con il coinvolgimento dei soggetti che ne curano la trasmissione (confraternite, gruppi di preghiera, ecc.), può consentire di individuare le prassi da purificare, ma anche di rivalutare “la forza evangelizzatrice della pietà popolare” (cfr. Evangelii Gaudium, nn. 122-126), purificandola, come tesoro di fede del popolo e risorsa per la missione.

 

Domande per il discernimento

La gestione dei beni materiali è molto impegnativa: quali competenze occorre formare? Quali passi sono necessari per mettere in atto anche in questo campo un vero stile sinodale? Come ridurre il peso burocratico dell’amministrazione di questi beni che spesso ricade sulle spalle dei presbiteri? Quali sono gli interventi prioritari che si possono configurare anche a livello normativo per raggiungere questi obiettivi?

Le strutture amministrative delle Chiese sono al centro di molti cambiamenti e nuove reti di presenza pastorale: quali apprendimenti e quali orientamenti emergono dall’esperienza delle unità/comunità pastorali o dall’unioni di più parrocchie sotto la guida di un parroco? In che modo far progredire l’istituzio­ne e la formazione di nuove figure e ministerialità, per esempio gli animatori di comunità senza presbiteri residenti e le equipe ministeriali? Quali buone prassi in atto sono replicabili e quali nuove proposte andrebbero sperimentate e approfondite?

 

Come ripensare le strutture pastorali, mettendo al centro la cura della vita spirituale? Quali cambiamenti attuare nella pastorale ordinaria di Diocesi e parrocchie per mettere al centro l’annuncio del Vangelo? Come passare da una “pastorale degli eventi” a una pastorale che accompagni la vita delle persone, nei suoi diversi passaggi e nelle sue variegate situazioni? Per raggiungere questi obiettivi, quali cambiamenti sono necessari nell’organizzazione tradi­zionale dei settori pastorali della parrocchia (catechesi, liturgia e carità) e nell’organizzazione degli uffici di curia?

 

Testi biblici consigliati: Lc 12,13-32; At 3,1-10.

Testi conciliari consigliati: Lumen Gentium, n. 8; Unitatis Redintegratio, n. 6.

 

 

TEMPI DI LAVORO: alcuni incontri fino ad aprile ’24 compreso, alla fine di aprile consegnare un testo breve con sintesi di proposte concrete all’equipe sinodale diocesana.

 

 

ALTRE PROPOSTE DAI REFERENTI DIOCESANI, DAI MEMBRI DEL CPD O DAI VICARI

 

  • Se non si possono fare gruppi parrocchiali, si facciano interparrocchiali (per es. nelle U.P.)
  • Si potranno fare dei gruppi sovra parrocchiali tematici, per gruppi di interessati ai vari temi
  • La Scuola di Formazione Teologica svolge già il compito formativo (Scheda 3) e offre proposte che arricchiscono tutti gli operatori pastorali e gli altri fedeli (con attenzione al tema della fraternità, emerso nello scorso anno)
  • Fare proposte differenziate nelle parrocchie dove si può: alla cerchia dei fedelissimi, a quella dei poco praticanti, a quella dei lontani; proporre piccoli passi adatti a ciascuno
  • Scegliere altre schede se più adatte al proprio contesto: per es. 2° o 3° o 5°
  • Fare altre domande, più pertinenti alla vita concreta della propria comunità o delle famiglie

 

24-09-2023