Don Giovanni Minzoni è servo di Dio. L’arcivescovo Lorenzo: “Martire della carità” nelle sue tante forme

Don Giovanni Minzoni è ufficialmente “servo di Dio”. Con la celebrazione di ieri sera in Duomo l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni, ha aperto la fase diocesana della causa di beatificazione, e questo ha segnato un passaggio: il parroco di Argenta morto cento anni fa per l’aggressione da parte di alcuni esponenti del fascismo locale a causa della sua opera educativa può essere pregato e invocato come “servo di Dio”. Il percorso era partito ad agosto scorso, con l’annuncio da parte dell’arcivescovo di Ravenna Cervia, e proseguirà con la raccolta da parte del tribunale diocesano e della commissione storica di testimonianze e documenti sulla fama di santità di don Minzoni, che poi verranno inviati alla Congregazione della causa dei santi per la fase romana. Ieri in Duomo hanno giurato alcuni degli attori di questa fase diocesana del processo: oltre all’arcivescovo Lorenzo, i membri del tribunale che raccoglierà le testimonianze: il vicario generale, don Alberto Brunelli, il promotore di giustizia, don Alain Gonzalez Valdès e il notaio, Elena Baldini. E, con loro, il postulatole della causa, padre Gianni Festa, e il vice-postulatole, don Rosino Gabbiadini. La commissione storica e i censori teologi.

Pubblichiamo, di seguito, il testo integrale dell’intervento di monsignor Ghizzoni in occasione della Veglia per don Minzoni

Abbiamo ascoltato dal Vangelo di Giovanni: “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri. Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.” (Gv 15,16ss)

Alla luce della Parola del Vangelo, vogliamo cercare di capire cosa è successo nella vita di questo uomo speciale che fu don Giovanni Minzoni, cosa sollevò l’odio contro di lui e perché. Era stato un seminarista sensibile ai movimenti della storia del suo tempo, poi un prete appassionato, amante della Patria come cappellano militare, un pastore creativo e fedele, con un amore preferenziale per i poveri e i piccoli, un educatore di adulti e di giovani, per i quali diede tutto sé stesso, fino al sangue, volontariamente e coscientemente. Perché perseguitarlo?

Per situare nel loro contesto storico, ma soprattutto ecclesiale, i fatti che riguardano don Giovanni, possiamo citare le parole di Giovanni Paolo II, ora Santo, nella Lettera del 30 settembre 1990 rivolta al Card. Ersilio Tonini, dove ricordava i preti uccisi nel secolo scorso, prima e durante la II guerra mondiale, a causa della fedeltà alla loro missione di pastori.

Scriveva: …  «Che cosa “confessano” questi moderni testimoni della fede? Essi dicono che a spingerli a preferire la morte anticipata, piuttosto che l’infedeltà al mandato pastorale, è stato un amore più grande di loro: lo stesso amore assoluto con cui Dio li aveva amati. È stato Dio a incominciare per primo questa gara di amore, sacrificando il Figlio suo Gesù Cristo; essi si sono limitati a seguirlo»

«Il dono d’una fedeltà senza riserve alla propria missione don Minzoni l’aveva chiesto come grazia della prima Messa. Di due cose era convinto: che accettando di accorciare la vita per amore di Cristo avrebbe pagato sempre meno di quanto Dio aveva pagato per lui, e che accorciare la vita per amore dei suoi – prima i suoi soldati al fronte, i suoi ragazzi e la sua gente poi– era la via più sicura per raggiungere il perfetto amore di Dio, realizzando al massimo il suo sacerdozio. …

In questa concezione unitaria del sacerdozio, che non sopportava spaccature tra l’amore di Dio e la cura pastorale dei fedeli, è da ricercare la ragione che lo portò alla sfida mortale… E, posto di fronte alla stretta finale, rispose: “Sono pronto a morire”».

Continuava Giovanni Paolo II: «Tanto don Minzoni quanto i suoi confratelli, nell’esercizio del loro ministero, entrarono in urto con uomini che traevano ispirazione dall’una o dall’altra delle ideologie totalitarie e neopagane, che hanno segnato dolorosamente questo nostro secolo (il ‘900). Esse costituivano una negazione diretta della verità sull’uomo, creato a immagine di Dio ed elevato, in Cristo, alla dignità di figlio suo.

In causa era, dunque, la persona umana; in causa era l’amore di Dio per tutti gli uomini… guidati dall’amore più puro per i fratelli, essi si spinsero, in questa difesa, fino al dono supremo della vita, il loro gesto poté ben essere considerato come una vera e propria testimonianza di fede».

Cosa disturbava e cosa faceva paura, di don Minzoni e di questi preti? «a fare paura è il legame tra il pastore e la sua gente, soprattutto il legame con le nuove generazioni. Per salvarsi dalla morte, al sacerdote spesso non è comandato di rinnegare direttamente la fede, ma l’amore cristiano: non di dissociarsi da Dio, ma dall’una o dall’altra porzione del gregge, rinunciando ad essere pastore di tutto il popolo».

Dunque, dall’alto del suo magistero Giovanni Paolo II individuava nella carità la fonte e l’origine del martirio di don Minzoni. Spinti da questa interpretazione illuminante possiamo dire che don Giovanni fu colpito a morte più in odium caritatis che in odium fidei?

Certo, ma tenendo presente che nella realtà della vita cristiana, come nella vita di don Minzoni, le due virtù teologali fede e carità sono presenti in modo indissociabile, poiché una alimenta l’altra (Gc 2,14-18; Gal 5,6) e ne riceve concretezza.

E, riferendoci anche alla omelia di monsignor Zuppi il 23 agosto ad Argenta, vorremmo appunto sottolineare qui la dimensione della carità pensando anche alle conseguenze che questa ha sulla valorizzazione della sua testimonianza, della sua esemplarità pastorale e della attualità della figura di questo prete romagnolo, ravennate, appassionato, coraggioso, innovatore, colto, sensibile alle sofferenze della sua gente e ai movimenti ecclesiali e culturali del suo tempo. Uno dal grande cuore verso i poveri e gli emarginati, gli ultimi, pronto a difendere a ogni costo la libertà della Chiesa e della sua missione. Non da ultimo attento conoscitore della dottrina sociale della Chiesa e fautore dell’impegno sociale e politico dei fedeli laici.

Martire della carità, dunque? Crediamo di sì, ma per stare alla sequela di Cristo, con fedeltà.

Don Minzoni fu martire della carità pastorale, che lo spinse a rinnovare un modello di prete, di parroco, e un modello di chiesa e di comunità parrocchiale aperta a tutti e sbilanciata sulla carità, che troverà nella Lumen Gentium e nella Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II la conferma e la piena evoluzione nella Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Le sue fonti non erano le idee nuove o antiche, ma la parola del Vangelo e l’Eucaristia, la preghiera quotidiana, che lo sosteneva in tutti momenti di ansia, di lotta, di scelte, libere ma costose, sia al fronte che in parrocchia.

Fu martire della carità educativa, che lo spinse a creare un oratorio per i ragazzi e i giovani disorientati del dopoguerra, alla ricerca di un “padre” e di valori stabili, evangelici, trascendenti, ben oltre le ideologie circolanti. Da questa carità educativa farà sgorgare il suo impegno per la nascita e la crescita dell’Azione cattolica prima e poi dello scautismo per i ragazzi e i giovanissimi; con una attenzione speciale alla formazione delle donne, inventando forme di catechesi per gli adulti e per la famiglia, organizzando la pastorale giovanile di zona, lasciandosi ispirare dalla figura di don Bosco. Appoggiava e praticava personalmente non solo la catechesi per i ragazzi, gli incontri per i giovani, ma anche il doposcuola, la biblioteca circolante, il teatro e il cinema, ecc.

Fu martire ancora della carità politica che lo spinse, anticipando i nostri tempi, a impegnarsi a rendere la società più rispettosa della dignità della persona umana, facendo della carità la norma suprema dell’agire sociopolitico, puntando allo sviluppo della persona in tutte le componenti sociali e individuali e alla creazione di legami di stima reciproca e di “amicizia sociale” tra persone diverse e lontane. Lo dimostrano il suo interesse per la dottrina sociale della Chiesa, la frequenza alla scuola di Bergamo, il suo favore per l’impegno politico diretto dei fedeli in vista di una società libera, democratica, giusta, umana. Con una dichiarazione di condanna per la guerra, senza sfumature, che non va dimenticata, visto il suo impegno di cappellano militare che condivise tutte le sofferenze dei giovani nelle trincee della Prima guerra mondiale.

Martire quindi anche della carità sociale: per le azioni già accennate e per il suo impegno diretto a far partire il Circolo, l’Unione professionale, la cooperativa agricola cattolica, la cassa rurale. La sua carità di pastore e la sua intelligenza mostrate in queste opere sociali lo resero ancor più pericoloso per chi voleva trascinare i giovani e gli adulti dietro altre ideologie, lontane dalla fede.

Fu martire infine della carità evangelica, che lo portò ad un amore preferenziale e concreto per i poveri, i piccoli, le donne, i giovani sbandati come pecore senza pastore, gli emarginati della parrocchia, i non praticanti anche quelli ideologicamente lontani e avversi, come aveva fatto con i giovani soldati al fronte, tenendo la canonica sempre aperta, ma soprattutto il cuore sempre disponibile all’accoglienza.

Una gran bella spina nel fianco, insomma, per chi avrebbe voluto dominare e addormentare la società civile e la comunità cristiana, sottometterle e guidarle secondo interessi politici di parte. E la reazione violenta, prima verbale poi fisica, si scatenò anche contro di lui, con l’esito di farne un testimone di Cristo, un martire cristiano e civile insieme.

Papa Francesco ha scritto nella Lettera con la quale ha costituito la “Commissione dei Nuovi Martiri – Testimoni della Fede” presso il Dicastero delle Cause dei Santi: «Come ho detto tante volte, i martiri “sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli”: sono vescovi, sacerdoti, consacrate e consacrati, laici e famiglie, che nei diversi Paesi del mondo, con il dono della loro vita, hanno offerto la suprema prova di carità (cf. LG 42)».

Noi crediamo che anche Don Giovanni Minzoni sia parte di quella luminosa schiera di amici di Dio!