Paolo Boetti, la fede che salva

Paolo Boetti, la fede che salva    Dal “RisVeglio Duemila” N. 3/2017 
Annamaria Boetti e la sorella Maria Grazia davvero non ci pensavano di essere figlie di un eroe. Lo hanno scoperto qualche mese fa, più 50 anni dopo la morte del loro amato papà Paolo, quando un comandante della Guardia di Finanza di Roma chiama al telefono Annamaria (storica animatrice di San Biagio e moglie di Primo Campoli, diacono recentemente scomparso) e le propone di andare a ritirare una medaglia d’Oro al merito civile al comando generale del corpo, a Roma. Succederà venerdì, 27 gennaio, in occasione del Giorno della Memoria, perché il maresciallo maggiore Paolo Boetti è proprio uno di quegli eroi che si vedono nei film sulla Shoah: secondo le testimonianze raccolte dalla Guardia di Finanza, nel 1944 salvò decine di ebrei e perseguitati politici facendoli attraversare il confine svizzero nei pressi di Torriggia, dove era comandante negli anni della guerra. E per questo pagò con torture nel carcere di San Vittore, e con la detenzione a Fossoli e Mathausen. “Lì ha dovuto trasportare ghiaia e pietre con altri derelitti, raccogliere i cadaveri dei compagni assassinati o morti di stenti, vedere i suoi aguzzini infierire su di loro, tra disperazione, dolore, denutrimento e brutalità”.  Ma di questo non volle mai parlare alle figlie, spiega Annamaria, dopo il 1946, quando riuscì finalmente a tornare a casa e poi si trasferì con la famiglia a Ravenna, dove visse fino alla sua morte nel 1965. “Una volta solo accennò qualcosa – ricorda la figlia – ma poi impose ‘Ora non ne parliamo più’. Era un modo per proteggerci. Ma capisce la mia sorpresa quando qualche mese fa mi telefonarono dal comando della Guardia di Finanza di Roma per dirmi della medaglia? Hanno trovato tantissime testimonianze delle persone che lui ha aiutato. Così tanti che mi han detto di aver scritto un libro su di lui”. Ecco perché questo Giorno della Memoria per lei e sua sorella, ma anche per nipoti e pronipoti di Paolo Boetti (due dei quali, nel frattempo sono entrati anche loro nella Guardia di Finanza), sarà a dir poco speciale.  Com’è dunque sapere, oggi, che parte della propria famiglia si è battuta contro il nazismo e le sue leggi anti-umane? “Non lo so. Io ero la più piccola, il primo ricordo che ho di mio padre è stata proprio quando è tornato dalla guerra. Quando ho saputo che è stato torturato non ho dormito. Ma so che quello che l’ha sostenuto in quei mesi sono state la sua fede e la speranza di rivedere la moglie Teresa e le sue bambine”. Come poi, per fortuna è successo. Una fede quella del padre Paolo, che Annamaria ricorda salda per tutta la vita: “Andavo con lui ogni domenica a Messa. E poi ho vissuto in parrocchia: faccio catechismo da quando avevo 17 anni”. Una fede vissuta, conservata e trasmessa. Una fede che forse gli ha permesso di sopravvivere e di salvare altre vite. Piccoli miracoli che sembrano illuminare il buio spaventoso della Shoah.  
Daniela Verlicchi