Sant’Apollinare – 23 luglio 2017: “Dono del Signore sono i figli”

23-07-2017

Dono del Signore sono i figli

La cultura del figlio

“Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella.” (Salmo 127) L’inizio del salmo 127 lo abbiamo citato due anni fa per chiedere a tutti i credenti di impegnarsi nella vita sociale e anche in politica, per dare quel contributo che la sapienza cristiana e la carità evangelica possono aggiungere alla ricerca della giustizia e alla difesa della dignità e dei diritti umani universali, che condividiamo con tutti gli uomini di buona volontà. L’impegno dei cristiani nella realtà pubblica oggi non è opzionale, i nostri valori sono indispensabili alla costruzione di una società buona, umana, il cui ordine sia basato sulla giustizia e la solidarietà verso ogni persona.

L’anno scorso abbiamo toccato il tema della famiglia e della necessità che si ripensi a livello legislativo e amministrativo la vita sociale e civile a partire non dai singoli, ma dalla famiglia; non mettendo prima i diritti individuali, ma quelli sociali; il bene comune prima del bene dei singoli. E la prima realtà sociale, la prima forma di aggregazione umana è quella familiare, coi suoi legami tra le generazioni, le sue reti parentali, il suo garantire la generazione dei figli, l’impegno per la loro educazione che permette la trasmissione della cultura, della lingua e dei valori acquisiti lungo il tempo, dando così identità ai territori, ai popoli, alle nazioni. La società civile prima di organizzarsi politicamente e prima di costituire lo Stato, è già formata da tante reti di famiglie che le danno l’impronta fondamentale. Uno Stato che promuove la famiglia, difende se stesso.

L’inverno demografico

Anche quest’anno vorrei prendere spunto dalla stessa preghiera ebraica, dove recita: “Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce in mano a un guerriero sono i figli avuti in giovinezza. Beato l’uomo che ne ha piena la faretra: non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici.” (Sal 127, 3-5)

Siamo ormai tutti molto preoccupati per il calo demografico cha sta insidiando in modo decisivo il futuro della nostra città, della terra di Romagna e della nostra Italia (il tasso di fecondità totale è a 1,34 figli per donna; la stabilità della popolazione sarebbe a 2,1). I danni dell’inverno demografico sono evidenti: stanno calando i figli (da 486mila nel 2015 a 474mila nel 2016); aumentano in percentuale gli anziani; diminuisce la popolazione attiva. In una società con sempre più persone in età matura, sarà necessario usare molte più risorse per le pensioni e per la sanità; mentre il potenziale produttivo sarà sempre più debole.

Del resto ci si sposa sempre più tardi e si rimanda la nascita del figlio (età media del parto 31,7 anni), – spesso il figlio è unico –, oppure si rinuncia del tutto. Aumentano le famiglie mononucleari, più fragili e più dipendenti dall’aiuto esterno, perché le reti familiari si assottigliano; aumentano le persone sole, le coppie senza figli, le famiglie con un solo genitore e un solo figlio. Il sistema scolastico sta già risentendo di questa riduzione e dovrà ristrutturarsi.

Tutti noi speriamo che da alcuni provvedimenti del Governo positivi, ma parziali, a favore della natalità e delle famiglie numerose, si passi ad una azione completa di politiche a favore della famiglia soprattutto per aiutare i nostri giovani a realizzare il desiderio di generare figli, ancora ben presente. La difficoltà a trovare lavoro, la precarietà di esso, le discriminazioni verso le donne in questo ambito, le convivenze che diventano matrimoni sempre più tardi, incidono fortemente sulle nascite. Anche le nostre amministrazioni locali potranno rivedere e migliorare quei provvedimenti che si potranno individuare anche grazie ad un tavolo comune sul problema demografico che le associazioni familiari di ispirazione cristiana e il Comune stanno preparando.

La cultura del figlio

Il problema però non è solo economico o giuridico, è anche culturale ed esistenziale. Ed è su questo aspetto che noi cristiani possiamo dare un contributo specifico. Nelle società antiche e fino al secolo scorso, i figli sono sempre considerati una benedizione, un dono di Dio, una forza per la famiglia, una sicurezza per i pericoli da affrontare, la prima risorsa e la prima ricchezza sia per le famiglie povere che per quelle ricche. Perché abbiamo perso questo sentimento così umano e così saggio? Perché ci stiamo rassegnando al calo dei figli, coma un evento ineluttabile, anzi per alcune agenzie, un vantaggio e un obiettivo da perseguire?

Certo non dobbiamo sottovalutare le paure che oggi sentiamo circolare tra le coppie. C’è il timore per il futuro dei figli che saranno esposti a diversi pericoli e alla precarietà economica; e la paura di non avere le capacità per educarli ad affrontare un mondo in cambiamento continuo. C’è il timore dei genitori per il loro stesso futuro che non riescono a prevedere e di fronte al quale si sentono deboli, insicuri. Poi c’è anche una certa difesa del proprio futuro: gli adulti sanno che –soprattutto quando non si è più giovani e la vita ha già certe abitudini – la presenza di un figlio costringe a cambiare tempi, ritmi, libertà di movimento, l’uso delle risorse economiche; costringe a rinnovare le relazioni di coppia, quelle familiari e anche quelle sociali. Come affrontare queste paure senza venirne schiacciati, tanto da tagliare via dalla propria vita possibilità e valori che la renderebbero più piena e felice, se vissuta con dei figli?

La risposta alle paure è la speranza. Ma su cosa fondarla? Per noi credenti la speranza è fondata sulla fede nel Dio che è Padre provvidente e misericordioso, che non abbandona mai i suoi figli: “il Padre nostro sa di cosa abbiamo bisogno” (Mt 6,25-33). E anche la carità è fondata sulla fede nel Dio che è amore e ci apre il cuore all’amore e alla vita. Ma gli altri su cosa potranno fondare la speranza e la volontà di amare? Cosa possiamo trasmettere loro, quali valori annunciare?

“E’ sua grazia il frutto del grembo”

Forse per invertire questo pensiero dominante frutto delle “passioni tristi”, dobbiamo tornare a diffondere la cultura del figlio. E per farlo possiamo prendere spunto dal grande codice della cultura occidentale, la Bibbia. In tutto l’Antico Testamento infatti ci sono due parole prevalenti: il “nome” di Dio, 6828 volte, e la voce figlio 4929 volte. Il termine ben, figlio, deriva da un verbo che significa edificare, costruire… come dire che nella cultura biblica senza figli non c’è casa, non c’è famiglia, non si edifica la città! E d’altro lato, proprio il Salmo citato ci ricorda che i figli prima di tutto sono “dono ed eredità del Signore, è sua grazia e ricompensa il frutto del grembo”. Quindi sono la prima, principale e più abbondante benedizione di Dio. Nessun dono nessuna risorsa, nessun altro elemento della creazione è più importante dei figli. Sono la vita. Frutto del misterioso miracolo che fa partire il ciclo vitale dalla prima cellula dell’embrione, fino all’uomo adulto.

La tradizione ebraica che è confluita in quella cristiana lungo i secoli, non ha mai separato la generazione della vita da un riferimento diretto a Colui che la dona. C’è sempre stata l’intuizione, supportata dal primo libro della Bibbia, che la genesi della vita umana è frutto di un atto specifico di Dio creatore, collegato direttamente all’atto procreativo dei genitori, perché ogni persona che viene alla luce ha una identità diversa dalle altre e ha una unità di corpo, psiche e spirito originale e irripetibile. Non sono sufficienti i cromosomi, i geni e le altre componenti biologiche per spiegare il miracolo della unicità della persona, della sua spiritualità e della dignità di ognuno degli esseri umani, nessuno escluso. Generare figli è collaborare direttamente con l’opera creatrice più alta di Dio.

La prima Alleanza tra Dio e Abramo (“padre nella fede” per tutti, ebrei, cristiani e musulmani) si esplicita in una promessa: nascerà un figlio e da lui una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la spiaggia del mare (Gen 15,5 e ss). Il generare è la benedizione in atto. E la sterilità è una prova amara, per Sarah, come per Anna futura madre di Samuele, per citare due esempi importanti. Un figlio è presenza di Dio nella vita. “Ho acquistato un uomo, grazie al Signore”, sono le parole di Eva quando nasce il primo figlio generato dalla prima coppia originaria, nel grande Racconto simbolico della nostra storia (Genesi 4,1).

Dio agisce nelle storie delle famiglie

Le pagine della Genesi (che racconta la “genesi” anche di tutti noi!) sono piene di storie familiari. Qui abbiamo i primi racconti “originali” delle coppie fondanti: Abramo e Sarah, Isacco e Rebecca, Giacobbe e Rachele, Giuseppe e i suoi fratelli, le 12 famiglie da cui nascono le 12 tribù, e così via di generazione in generazione. Diverse pagine poco conosciute della Bibbia raccolgono lunghe genealogie che permettono di stabilire parentele e alleanze. Quante pagine sui bambini, sui figli, sui fratelli, le sorelle, sui padri e le madri, sugli anziani, quanti nomi e quante storie piccole e grandi di famiglie! Dio preferisce farsi presente entro queste storie per offrire la sua alleanza, la sua opera di salvezza ad una umanità ferita e disorientata che soffre per le ingiustizie, le violenze, l’ oppressione soprattutto dei poveri, dei piccoli, dei senza diritti. E la liberazione dal peccato e dal male, parte proprio dalla guarigione dei rapporti familiari, indeboliti dagli egoismi, dalle divisioni e dai conflitti, perché siano cammini di amore, cioè di fedeltà, di unità, di generosa apertura al dono della vita. Per questo Gesù chiede ai suoi discepoli che sono sposati di non ripudiarsi (Mt 19,1 ss), di non tradire l’amore iniziale, di perdonarsi anche settanta volte sette (Mt 18,22), di amarsi l’un l’altro come lui ci ha amati, di servirsi l’un l’altro e di non dominarsi (Mt 20, 26-28), di avere una cura speciale per i piccoli (Mt 18,1-6), per i bambini, quindi per i figli. È Lui che dice, con stupore dei suoi ascoltatori e degli apostoli, abituati a non valorizzarli: «Non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». E ancora: “E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.”(Mt 18, 5).

Alla la nostra società secolarizzata che ha perso questa visione spirituale e culturale della vita e del generare, bisogna fa prendere coscienza che se si toglie Dio dall’orizzonte, (con l’illusione che l’uomo da solo, illuminato dalla sola ragione e godendo di ogni libertà, possa cercare solo la giustizia e il bene), si toglie anche il legame con la Fonte della vita umana. Come se l’umanità fosse nata da se stessa e potesse quindi impossessarsi legittimamente della vita e del luogo in cui essa è generata e cresce, cioè la famiglia e il rapporto uomo–donna, gestendolo a sua discrezione.

Invece dietro a tutto questo c’è un bellissimo disegno, misterioso, ma forte, che resisterà nel tempo, – noi lo crediamo! Abbiamo però la responsabilità di far crescere la cultura del figlio: i figli sono la nostra speranza!

I figli: attesi più che voluti

Anna, la mamma del grande profeta Samuele, che dopo anni di sterilità aveva ricevuto la grazia di un figlio, dice: “Dal Signore l’ho richiesto, anch’io lo do in cambio al Signore… è ceduto al Signore” (1Sam 1, 20). Nella cultura ebraica e cristiana, i figli sono aspettati, più che voluti. Sosteniamo certo che ci deve essere una paternità e maternità responsabile, quindi i desideri, le valutazioni e le decisioni dei genitori sono importanti, ma i figli più che farli si aspettano. Anche se programmati… non sono mai identici a ciò che ci si immaginava, sono sempre una sorpresa e rimangono comunque un dono, e un dono di Dio. Dice il salmo 139 (13-16) : “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda… Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno.” All’amore creativo di Dio si allea quello dei genitori che vogliono far crescere l’amore tra loro e verso le nuove creature, in un circolo virtuoso dove più si dà e più si riceve.

Nella cultura secolarizzata invece i figli sono “voluti” nel senso che sono solo frutto della volontà autonoma del genitore. E il rischio è che non si accolga “qualcuno”, ma che si cerchi “qualcosa” per se stessi, per la propria realizzazione, per una convenzione sociale, per una compagnia più sicura di quella del partner, per dare un futuro alle proprie attività, ecc. insomma per una propria felicità personale. Se questi sono i pensieri, il figlio sarà solo proprietà di chi l’ha voluto, conquistato, al limite prodotto, anche artificialmente. Perché se lo si desidera e non ci sono le possibilità fisiche scatta uno strano “diritto al figlio” che deve essere soddisfatto a tutti i costi. Mentre sappiamo che per chi non può generare, ci sarebbero altre possibilità di paternità e maternità: l’affido, l’adozione e ora anche la genitorialità sociale in aiuto ai tantissimi minori non accompagnati che arrivano in Italia, per proteggerli e aiutarli.

Questa mentalità ha anche la conseguenza che se avviene un concepimento che non rientra nei propri piani, si pensa di avere anche il diritto di decidere se tenere o no il concepito. Così il diritto all’esistenza di una persona umana può venire subordinato al diritto a scegliere se tenerla o no da parte di altre persone. Sappiamo che le situazioni singole sono tutte complesse e non vanno giudicate superficialmente, dall’esterno. Ma la tendenza culturale va tenuta presente, perché incide sulle scelte. Prima di scartare una vita umana, anche se all’inizio della sua evoluzione, bisognerebbe fare il possibile e l’impossibile per aiutare, sostenere, garantire anche nel futuro la sua custodia e il suo sostentamento, al limite tramite un’adozione immediata alla nascita, cosa che le leggi italiane permettono. Non possiamo negare che anche questa mentalità ha un’incidenza sulla crisi demografica.

Papa Francesco e la gioia dei figli

Ha detto Papa Francesco: “La gioia dei figli fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli sono la gioia della famiglia e della società. Non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori… No. I figli sono un dono, sono un regalo! Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essere umano, originale e nuovo. E per i genitori ogni figlio è se stesso, è differente, è diverso.”

Poi aggiunge: “Il legame virtuoso tra le generazioni è garanzia di futuro, ed è garanzia di una storia davvero umana. …una società avara di generazione, che non ama circondarsi di figli, che li considera soprattutto una preoccupazione, un peso, un rischio, è una società depressa. … La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce!”(Udienza dell’11 febbraio 2015).

“Gesù, il Figlio eterno, reso figlio nel tempo, ci aiuti a trovare la strada di una nuova irradiazione di questa esperienza umana così semplice e così grande che è l’essere figli. Nel moltiplicarsi della generazione c’è un mistero di arricchimento della vita di tutti, che viene da Dio stesso. Dobbiamo riscoprirlo, sfidando il pregiudizio; e viverlo, nella fede, in perfetta letizia.” (Papa Francesco)

+ Lorenzo, Vescovo