Omelia per l’ingresso in Diocesi – 20 gennaio

15-04-2013
 

Omelia per l’ingresso in Diocesi
Ravenna, 20 gennaio 2013
 
Il ‘primo segno’: alle nozze di Cana
Davvero ricca la Parola di Dio oggi! Il Signore non ci fa mancare nulla a questa mensa, sempre sovrabbondante: Dio ama il suo Popolo come uno sposo ama la sua sposa ‘dice Isaia’e conferma il suo patto nella gioia; la Chiesa presentata da Paolo come una comunità ricca di carismi preziosi, se messi a frutto per il bene comune e non per l’affermazione di sé. E lo sposalizio a Cana, dove i due sposi sono sullo sfondo della scena, mentre in primo piano ci sono Gesù, il ‘vero sposo’ e Maria, la ‘donna’, seconda protagonista dell’evento imprevedibile che si produce durante il banchetto, a favore degli invitati alle nozze.
Qual è il senso di queste letture? Nel suo disegno ‘misterioso’ il Padre, che aveva voluto conservare il vino buono della sua Nuova Alleanza fino a questo momento, ora in Gesù ha deciso di rivelare all’umanità che la salvezza è arrivata; che il Figlio ha assunto la nostra umanità incolore e indifferente, per trasformarla in vino straordinariamente nuovo e buono. Siamo dunque entrati con questo ‘primo segno’ negli ultimi tempi. Dio ora ha deciso di fare una ‘nuova ed eterna Alleanza’ con tutti coloro che obbediscono alla sua parola e si lasciano attrarre a Gesù dai segni che egli pone nella storia. Proprio da questo evento che dà inizio alla manifestazione di Gesù, vorrei trarre con voi una riflessione.
La Grazia degli inizi
Cosa inizia per Gesù? Inizia la sua missione, il suo servizio alla vita degli uomini. Il buon Pastore è ‘venuto perché abbiano la Vita e l’abbiano in abbondanza‘ (Gv 10,10).
Dove si rivela Gesù per la prima volta, secondo Giovanni, con un segno meraviglioso? A un banchetto di nozze. Cioè, nel luogo umano dove si stringe il patto più importante di tutti, dove l’amore realizza la sua capacità più alta di unire l’uomo e la donna e fa nascere la famiglia, dove la vita cresce e si moltiplica, dove il dono di sé all’altro arriva fino al perdono, superando difficoltà e conflitti. Quindi in un luogo umano, ‘naturale’, ma forse il più aperto di tutti i rapporti umani alla trascendenza. Proprio qui interviene Gesù per svelare che è giunta ora la sua grazia che trasforma, vivifica, illumina le nostre deboli capacità di amare e di amarci.
Mi sembra che una lettura spiritualmente attenta potrebbe cogliere un riferimento all’ultima cena. E quel trasformare l’acqua in vino potrebbe ricordare la trasformazione del vino nel sangue del Signore, ‘questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati‘, come dice il Vangelo secondo Matteo (26,28). Così il primo segno richiama l’ultimo, ‘l’ottavo’, quello definitivo. È come se fin dall’inizio Gesù annunciasse e preparasse il suo passaggio attraverso il morire e il risorgere, secondo la legge del chicco di frumento. E la conferma viene anche dagli altri segni, dalle guarigioni e dagli incontri, con la Samaritana, con Lazzaro, con il cieco nato’ che vengono ‘risuscitati’ dalle loro condizioni di infermità, di oscurità e di morte e portati da Gesù a una vita nuova. Mi sembra di poter dire che fin dall’inizio c’è una grazia nuova, potente, originale che illumina il suo ministero di unico salvatore del mondo, ma essa passa attraverso la via della croce.
È a questa stessa grazia degli inizi che faccio appello anch’io, per me e per tutti voi, carissimi fedeli della antichissima Chiesa di Ravenna ‘ Cervia, perché all’inizio di questo cammino insieme ‘ e all’inizio del mio ministero ‘, ci sia già tutta la sua potenza di Salvatore, di guaritore, di maestro, di Capo e servo, di buon Pastore. E io sia strumento docile nelle sue mani, così come voi tutti, e ci lasciamo trasformare e rinnovare progressivamente nel cuore, nella mente, nelle opere.
Un popolo unito, sotto la croce
Quanto più ci lasceremo legare a Lui in un patto di Alleanza nuziale (vedi la I lettura), tanto più saremo un Popolo unito, solidale, fraterno, capace di attirare altri verso di Lui. E saremo capaci di modellare anche intorno a noi una società diversa: grazie all’amore fraterno potremo seminare la pace nei rapporti sociali; e dalla nostra capacità di riconciliazione potremo far rinascere la giustizia, in tutti suoi aspetti anche in quelli sociali, economici, politici. Alleati in questo, dovunque sia possibile, anche con gli altri uomini e donne di buona volontà della nostra terra ravennate e cervese.
Certo tutto questo può avvenire non senza la croce, lo sappiamo bene. La legge del chicco di frumento vale per tutti: ‘Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto’ (Gv 12,24). Solo nel sacrificio disinteressato di sé, c’è trascendenza, ci si apre a Dio e agli uomini, anche a quelli che non lo meritano, ‘ come ha fatto il Signore con noi. La nostra efficacia come Popolo di Dio nel portare la novità del Vangelo, dipende da questa disponibilità a morire a noi stessi, a rinunciare alla nostra autorealizzazione e a stimare gli altri più importanti di noi, facendoci ultimi, piccoli, per amore dell’uomo. Lì sperimentiamo la gioia e il nostro annuncio diventa ‘bella notizia’, convincente e contagiosa. È chiaro che questi atteggiamenti sono in controtendenza oggi, prevedono una ‘comunità alternativa’ sia al mondo che ci circonda con i suoi idoli illusori, sia al sempre più diffuso ‘culto di sé’.
Una Chiesa missionaria
Ma se vogliamo essere una Chiesa missionaria, ‘ e vogliamo esserlo ‘, in questa terra che per tante ragioni storiche, almeno in parte, fatica ad aprire il cuore al Vangelo di Gesù e alla sua Chiesa, ‘inseparabile da lui ‘, alla sua Grazia che libera e risana, non possiamo che scegliere anche noi questo stile di vita radicalmente cristiano, segnato e reso fecondo dalla croce: ‘Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9,23). E sia chiaro che vogliamo essere una Chiesa missionaria non per accrescere i nostri ranghi, ma perché ci sta a cuore la qualità della vita dei nostri concittadini: vogliamo che anche loro abbiano il ‘vino buono’ della vita vera, piena e l’abbiano in abbondanza. Anche quelli che sono indifferenti, delusi, lontani o che sono chiusi alla fede’ Soprattutto per loro siamo chiamati a mettere a frutto i carismi del ministero ordinato, quelli della vita consacrata o dell’impegno laicale, legati alle nostre differenti vocazioni (II lettura).
Come ‘Chiesa madre’ infatti siamo chiamati a preoccuparci prima di tutto per i figli che si sono allontanati o che forse abbiamo contribuito ad allontanare: li vogliamo qui al banchetto di nozze dell’Eucaristia, a gustare con noi il ‘vino buono’ dell’amore fraterno, della misericordia che perdona sempre, del riconoscimento della dignità di ciascuno, anche di chi è escluso da tutti. Vogliamo comportarci come Gesù che, scandalizzando alcuni, si metteva alla tavola dei peccatori e dei pubblicani; e li conquistava: Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo ‘ dice Gesù, di Zaccheo ‘Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). C’è posto alla nostra festa di nozze, alle nostre assemblee domenicali intorno al Cristo risorto, nelle nostre comunità parrocchiali, nei nostri gruppi e nelle nostre associazioni.
Non tutti accetteranno l’invito, come prevedeva già Gesù in una parabola famosa (Lc 14,15ss). Qualcuno si opporrà. Ma se anche qualche ‘buona battaglia’ (1Tm 1,18) ci sarà da fare, fuori e dentro la nostra Chiesa diocesana, ‘ perché tutti siamo fatti della carne umana e siamo inclinati non solo al bene ‘, si potrà andare avanti con la forza dello Spirito, che ci darà ‘parola e sapienza’ (Lc 21,15) per rendere ragione della nostra fede e delle nostre scelte. Oppure ci darà la capacità di pentimento e di riconoscimento dei nostri errori. A patto però che ci muoviamo tutti insieme, come un unico popolo, uomini e donne, giovani e adulti, poveri e ricchi, italiani o stranieri’ come con ‘un cuore solo e un’anima sola’ (At 4,32) , come si addice al Popolo di Dio.
 
Una Chiesa che ha la grazia dei poveri e si cura dei giovani
Abbiamo però anche una grazia particolare, ‘ e sono davvero lieto di ritrovare questa presenza qui in diocesi ‘: i poveri. È vero che ci sono dappertutto e molte Chiese hanno opere adatte a rispondere ai loro bisogni antichi e nuovi, ma alla nostra Chiesa particolare, il Signore ha fatto la grazia attraverso don Angelo Lolli e l’Opera S. Teresa, di metterceli davanti per provocare la nostra carità; per darci l’occasione di amarli come fratelli soccorrendoli e ancora più valorizzandoli, servendoli e custodendoli come dei ‘tabernacoli viventi’ pieni della presenza viva e reale di Gesù stesso. La nostra Chiesa di Ravenna’Cervia ha risposto bene alla vocazione di annunciare il Vangelo della Carità, con i fatti. Possiamo dunque confidare molto nei nostri poveri, possiamo sperare molto nella loro efficacia per convertirci al Signore e per convertire altri ‘ lontani o allontanati ‘ attirandoli con la carità praticata, più che proclamata. Per i poveri vogliamo anche giustizia, certo, e un giusto ordine nella società, perché il loro numero sia ridotto il più possibile. Ma la giustizia è provocata dalla carità e spesso superata e completata, mai separabile da essa.
Per i giovani, parte preziosissima e fragile delle nostre comunità, il ‘fare famiglia con i poveri’ e l’imparare a servirli con amore, è una via necessaria e feconda per scoprire la propria vocazione, tanto quanto la ricerca personale di Dio nella preghiera e nella Parola di Dio. Anzi la scelta di impegnarsi nell’esercizio della carità, con i poveri come maestri, unita al nutrirsi alla mensa della Parola, che fa ‘ardere il cuore’ e alla mensa dell’Eucaristia, che sostiene il cammino, mi pare che sia la via più completa e più educante dello spirito di un giovane che si apre alla trascendenza, a Dio, e accoglie le sue chiamate.
Ma anche ai giovani che iniziano la vita di coppia, rispondendo alla vocazione al matrimonio, con tutti i timori e gli ostacoli che stoltamente stanno mettendo davanti a loro la nostra cultura corrente e l’inadeguatezza dei supporti sociali, dovremo dare un supplemento speciale di formazione e accompagnamento previo, di preparazione all’evento sacramentale, di sostegno nei primissimi anni di vita comune. Anche qui c’è una grazia degli inizi nella quale dovremmo confidare di più. Ma, senza cammini di gruppo, senza la nascita di comunità di giovani sposi che si aiutino a vicenda a rimanere sposati nel Signore, si continuerà con la situazione precaria di oggi. Li dovremo sostenere anche nei momenti difficili, anche se faranno passi sbagliati, scegliendo scorciatoie che aprono più ferite di quante non ne chiudano, con carità pastorale, non disgiunta dalla verità che ciascuno deve cercare in sé, nei propri rapporti, e nell’unione sponsale come l’ha rivelata il Signore nella stessa creazione.
 
A Maria, venerata come Madonna Greca, e come Madonna del Pino, ci rivolgiamo con la sicurezza di essere ascoltati. A S. Apollinare, a S. Paterniano, a S. Pietro Crisologo, a S. Guido Maria Conforti, già nostri Vescovi, chiediamo che non si dimentichino della loro Chiesa e insieme a mons. Tonini e soprattutto a mons. Verucchi, che ha dato cuore e pelle per essa, preghino per noi e ci ottengano la Grazia degli inizi, per essere un Popolo unito sotto la croce, una Chiesa missionaria, una Chiesa che custodisce la grazia dei poveri e si prende cura delle scelte di vita dei suoi giovani. E in particolare chiedo di vegliare su di me che sto per entrare in questa famiglia, antica, gloriosa e ricca di figli, con un dono e un compito speciale, perché non io, ma la sua Grazia in me porti frutto.
+ Lorenzo, Arcivescovo