Omelia in occasione del Funerale di don Guido Marchetti – 7 novembre

09-11-2015

Omelia 
in occasione del Funerale
di don Guido Marchetti

 

Ravenna, 7 novembre 2015

 

Nel giorno in cui abbiamo festeggiato San Guido M. Conforti, il santo Vescovo missionario di Ravenna (1902–1904), è passato al Regno del Padre, don Guido Marchetti.

 

Un uomo giusto

La Parola di Dio oggi ci consola: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” (Sap 3,1). E per noi Don Guido è stato uno di quelli che pur gestendo tante cose ha sempre cercato di fare scelte giuste, senza mai trattenere per sé nulla, anzi cercando di aiutare di sua tasca chi era nel bisogno. Non tutte le sue scelte difficili, i suoi no, sono stati condivisi, anche da confratelli, ma sono stati dettati dalla prudenza unita all’attenzione ai problemi dell’insieme delle parrocchie, della diocesi, del presbiterio tutto. Come un padre che per il bene di tutta la famiglia sa dire dei sì e dei no, con bontà e fermezza, con lungimiranza.

Soprattutto – lo posso testimoniare – era sempre trasparente coi suoi Vescovi. Tante volte nei colloqui personali mi raccontava le ragioni delle decisioni del passato e mi metteva al corrente non solo delle scelte in atto, ma “apriva tutti i libri” e non teneva nascosto nessun problema e nessuna risorsa della diocesi o delle singole persone.

Chiedeva sempre l’autorizzazione per i passi da fare. Gliene sono grato. Come gli sono grato per i tanti sforzi compiuti nel passato e nel presente per risanare o risollevare diverse situazioni difficili o per come ha saputo guidare l’Opera di Religione e una parte della Curia.

Tutti voi l’avete conosciuto qui in Curia, nella Parrocchia della Cattedrale, nella Parrocchia di Portomaggiore alla quale è sempre rimasto affezionato, nelle tante attività che ha svolto in città, come responsabile dell’Ufficio Beni culturali ecclesiastici e dell’edilizia di Culto, come Direttore responsabile dell’Opera di religione, – che cura le nostre Basiliche e altre attività pastorali e culturali diocesane –, come Economo diocesano. Tanti sacerdoti e tante persone hanno potuto incontrare la sua paternità, la sua generosità, ma anche la sua attenzione a guardare avanti e a progettare, a valutare le conseguenze a lungo termine delle scelte che si dovevano fare.

 

Un buon pastore

Posso anche affermare che molti dei collaboratori hanno sperimentato il suo affetto paterno e la sua autorevolezza, la sua capacità di analizzare le situazioni e di elaborare proposte convincenti, senza separare le esigenze della buona amministrazione da uno sguardo pastorale sulle realtà, da vero “buon pastore”.

In verità credo che il suo impegno principale e la sua missione fondamentale sia sempre rimasta quella di parroco, di “buon pastore” che vuole “dare tutta la vita per le sue pecore” (cfr. Gv 10,11), che conosce bene le persone, che si preoccupa dei bambini, degli adolescenti, degli anziani, dei poveri, delle famiglie giovani. Faceva il pastore coltivando i rapporti personali, per invitare poi a partecipare alla vita liturgica, aggregativa e caritativa della parrocchia. Puntava a far crescere il senso di comunità secondo il Vangelo e utilizzando proprio il Vangelo. Era attento agli sviluppi della pastorale nel dopo Concilio, come ricordano bene quelli di Portomaggiore, dove si impegnò in un progetto di rinnovamento. Era attento agli sviluppi attuali della diocesi, che in buona parte corrispondevano alle sue intenzioni.

E poi quante domande alle persone, su di loro e sui loro cari, sui conoscenti, con un’attenzione sempre rivolta agli altri, a tutti, anche ai non praticanti, dei quali sapeva anche essere amico. Proprio l’amicizia era uno dei suoi valori umani più praticati, coi vescovi, con alcuni preti che aveva fatto crescere vicino a sé nel corso degli anni, coi alcuni laici, con alcuni collaboratori.

 

Un credente

La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5) – abbiamo appena ascoltato. Nessuno di noi credo possa mettere in dubbio la sua sicura fede in Dio e la sua speranza cristiana, che amava annunciare e trasmettere nelle sue catechesi ai piccoli e ai grandi. Proprie esse l’hanno sorretto in questi duri mesi della malattia.

A un certo punto, diversi giorni fa, ha capito la sua situazione, ha precisato il suo testamento, e ha iniziato a prepararsi al grande passaggio, sia psicologicamente che coi sacramenti, anche quando ai suoi visitatori parlava delle attività solite, come se volesse riprenderle in mano. Aveva fiducia piena nella risurrezione di Cristo e sua. E non rimarrà deluso, quando ci sarà il momento della ricompensa dei giusti riceverà la sua parte.

Ringraziamo perciò il Signore per avercelo dato fino ad oggi.

 

+Lorenzo, Arcivescovo