Omelia dell’Ordinazione di don Matteo Valentini

02-11-2016

Ordinazione
don Matteo Valentini

Ravenna, 29 ottobre 2016

 

I – Ambasciatori per Cristo, ministri della riconciliazione con Dio, suoi collaboratori

 

Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, in polemica con alcuni avversari dentro la stessa comunità, probabilmente dei fondamentalisti che non rinunciavano alle tradizioni ebraiche dopo la conversione al cristianesimo, è quasi costretto per difendersi a fare una riflessione teologica e anche esistenziale sull’apostolato. E la sua riflessione ci aiuta a capire gli elementi essenziali del ministero ordinato, ma anche come esercitarlo oggi da parte del Vescovo, dei presbiteri, dei diaconi.

Come Cristo servo

Il suo ministero missionario infatti, che lo porta a diffondere “il profumo di Cristo”, fragranza di vita (2,14-17), gli fa anche condividere direttamente la sorte di Cristo. Se vuole essere apostolo, annunciatore e testimone di Cristo, Paolo ha capito che deve portare la morte di Gesù nel suo corpo, affinché anche la vita di Gesù si manifesti in esso. Per noi: non c’è vita di un prete, di un diacono o di un vescovo che possa portare frutto senza questo passaggio attraverso il sacrificio di sé. Non c’è azione pastorale che trasformi davvero la realtà di una comunità parrocchiale o di una diocesi, se il pastore non si dona ai suoi fedeli, non prende la sua croce ogni giorno dietro il Cristo e non rinuncia a qualsiasi affermazione di sé, alla ricerca delle gratificazioni personali. L’ascetica del ministero sta in questo abbassamento quotidiano, nel lavoro pastorale ordinario, nel servire tutti senza preferenze, senza amicizie particolari che catturano, senza pretendere i grazie o le lodi, come servi inutili che fanno quello che devono fare. Come Cristo servo, per essere immagini vive di Cristo servo.

Per la comunità e con la comunità

Inoltre Paolo ha imparato che il suo primo messaggio non sono i suoi discorsi sapienti o appassionati, ma è la comunità stessa che egli ha generato alla fede: “… la nostra lettera siete voi” (3,2) dice ai corinzi. Il messaggio del prete o del vescovo che attira e convince di più è questa lettera vivente: cioè la comunità che egli contribuisce ad edificare e che può richiamare e accogliere altri, i “cercatori di Dio”, che non dovranno perciò ruotare intorno a lui ma entrare nella famiglia ecclesiale, sentendosi fratelli tra fratelli. Un ministro senza la comunità è sterile. Se pensa di poter fare da solo si illude. Anzi col tempo la comunità resta e il ministro passa: i laici e soprattutto le famiglie cresciute nella responsabilità e nei vari servizi ecclesiali sono la garanzia della continuità della fede in un territorio e della sua generatività verso i ragazzi e i giovani che si affacciano alla vita della Chiesa e della società.

Servi fragili e umili

Paolo però deve ammettere che il ministero missionario ha anche messo allo scoperto la sua fragilità. “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (4,7), confesserà. Le ansie e le lotte quotidiane dei ministri ordinati, le molte prove, non sconfiggono la potenza dello Spirito di Dio che opera in loro. Esse però fanno sperimentare quella debolezza che umilia la propria umanità, ma che contemporaneamente permette alla gloria di Dio di manifestarsi (12,9). Quante azioni semplici, quotidiane, come la preghiera delle ore, la messa feriale, le preghiere personali per sostenere la fede e la speranza dei parrocchiani e la loro conversione alla carità; i rapporti quotidiani con le persone semplici o con i piccoli o con i peccatori che vengono a ripetere che non ce l’hanno fatta ancora una volta a migliorare, l’attenzione agli anziani soprattutto alle persone sole, e tanto altro… sono azioni senza particolari risonanze, che a volte sembrano inutili, qualche volta fallimentari, ma in profondità sono vie di diffusione di una grazia abbondante che opera miracoli veri, anche se non fanno rumore. Quanta Parola di Dio seminata con cura e con timore (perché è sacra!) porta frutto, anche molti anni dopo, senza che il prete se ne accorga nemmeno. Spesso la vita di un prete appare senza successi; e umanamente è così. Ma il Regno di Dio si afferma con logiche diverse da quelle umane e si serve anche delle nostre piccolezze. Si tratta di passare dall’umiliazione all’umiltà: lì possiamo gioire della nostra piccolezza e della sua grandezza. Ecco perché il Signore non ci toglie mai definitivamente le nostre debolezze.

… in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce… con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero; con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama” (cfr. 6, 3-10): così Paolo descrive la potenza e i limiti del suo apostolato e ci illumina suggerendoci di imitarlo con quegli atteggiamenti che ci rendono simili al Cristo e ci tengono legati indissolubilmente a lui, nella buona e nella cattiva sorte.

(continua)