Omelia della Solennità del Corpus Domini – 30 maggio: “Eucaristia e Missione”

03-06-2013
Omelia della Solennità del Corpus Domini
Ravenna, 30 maggio 2013
 
EUCARISTIA E MISSIONE
Quest’anno celebriamo il Corpus Domini leggendo il brano di Luca dove Gesù sfama la folla (9,11-17). Il contesto in cui Luca colloca questo evento riguarda la scelta di Gesù di lanciare i Dodici per la missione nel mondo (9,1-6) dopo averli tenuti con sé e averli coinvolti nella sua missione e nella sua vita quotidiana: abbiamo così un quadro di grande importanza ecclesiale. Lo dico subito, importante anche per la nostra Chiesa di Ravenna’Cervia, che da diversi anni si sta ponendo la domanda: come evangelizzare più efficacemente la nostra gente? Possibile che non si trovi una chiave che apra i cuori e faccia uscire le grandi attese e le grandi sofferenze di tante persone che ‘lasciando perdere’ Dio, rischiano di perdere se stesse e di vagare come ‘pecore senza pastore’? Possiamo ricavare da questo brano evangelico alcune caratteristiche valide anche per noi oggi?
‘ Nelle parole dei versetti che precedono il racconto ascoltato ora, Gesù chiama “insieme” i Dodici e dà loro ‘forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi’.  Potremmo intitolare questa descrizione dell’inizio della missione: ‘Gesù e i Dodici insieme‘! Questo è un primo insegnamento per noi, ben noto, ma altrettanto difficile da praticare: è la comunità tutta che è evangelizzante, perché (e se) vive la “comunione ecclesiale” (9,1-2). Mentre la chiamata è al singolo, rispetta la storia e i talenti di ciascuno; la missione è al plurale: si è mandati insieme; altrimenti le singole voci, i singoli personaggi, per quanto carismatici o legittimati da un sacramento, non sono efficaci dal punto di vista apostolico, missionario. I battitori liberi, gli eroi solitari, preti o laici o consacrati, non solo corrono il rischio di fare opere solitarie che finiscono con loro, ma possono fare ombra al Signore col loro protagonismo. Si va in missione insieme, o almeno a due a due, ma sempre come voce di una comunità con la quale si è in piena comunione. Tirare le conseguenze per le nostre comunità è facile’
‘ E poi i Dodici ritornano (9,10) e ‘raccontano a Lui tutto ciò che hanno fatto’. Anche questo comportamento ci permette di penetrare il metodo che Gesù vuole che i Dodici seguano nella missione. La loro azione non li conduce lontano da Lui; non diventano autonomi, né padroni delle opere compiute: essi si ‘voltano verso’ di Lui, narrano a Lui ciò che hanno fatto, perché riconoscono che la loro missione è stato Lui a compierla in loro. È un secondo insegnamento anche per la nostra Chiesa locale: la missione inizia con il mandato del Signore e deve finire con un rendiconto a Lui. Si è corresponsabili della missione nella misura in cui si rende conto di tutto al Signore e nello stesso tempo si rende grazie per le meraviglie che si sono viste operare da Lui. Tra parentesi: di solito sono ‘piccole’ meraviglie, perché Dio agisce bene nel piccolo, si trova poco a suo agio nel grande. Temo che anche le nostre opere ecclesiastiche se non vogliono correre il rischio di svanire come le altre opere umane, per incidere, dovrebbero conservare le piccole dimensioni, come quelle del lievito o del fermento, del granello di senapa. È sufficiente che non siano chiuse in sé e facciano luce come la lampada posta sul lucerniere, non devono essere gloriose, trionfanti. Altrimenti si fa ombra a Lui, al Signore Gesù; è lui l’unico che salva e dà la vita vera, non noi!
Non svalutiamo però il nostro compito: Gesù comunque ha bisogno della nostra piccolezza e debolezza per mostrare che attraverso la fragilità della Chiesa passa la forza dell’amore di Dio. Con la piccolezza dei suoi servi egli fa cose grandi, ci insegna Maria!
E Gesù conferma e premia questo atteggiamento del ritornare a lui dopo il gesto missionario. Dice il Vangelo: “E prendendoli con sé, si ritirò con loro‘ verso la città: è ancora Lui che prende l’iniziativa di stare con la sua Chiesa e di fare crescere la comunione nei suoi discepoli.
‘ Ma adesso, ci dice il Vangelo appena letto, si apre una nuova fase nel cammino dei Dodici in missione. Lo stare con Lui non è finalizzato solo al loro bene, Gesù non è solo per loro. Arriva la folla ‘che rappresenta l’umanità intera ‘, ed è bisognosa di Lui, aspira a Lui, lo segue. E Gesù la accoglie e comincia a parlare del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. È un terzo insegnamento per noi, chiesa di Ravenna e Cervia in missione: Gesù esce dal gruppo. Non ci vuole gruppo chiuso; cittadella che si inventa nemici, se non li ha, pur di rimanere sotto assedio e impedire alla gente sia di uscire che di entrare. Non vuole il piccolo gregge dal pensiero unico e dal comportamento uniforme. Gesù ci vuole educare ad aprire le porte e ad accogliere la folla, ad annunciare il regno di Dio e a guarire i mali di tutta l’umanità, così come ci si presenta. Anche qui il rischio corso allora dai Dodici e adesso da noi, è che guardiamo al mondo non come Gesù ma col nostro sguardo ricco di pregiudizi verso alcune categorie di persone; il rischio è che tentiamo di costruire il Regno a nostra misura e non sulle misure della misericordia di Dio; il rischio è che seguiamo il nostro metodo, che esclude, e non quello di Gesù, che integra. E questo avviene quando dimentichiamo che è Gesù a dettare i criteri della missione, è lui a condurla.
Questo era il contesto da dove è nato il gesto eucaristico di Gesù che chiamiamo ‘della moltiplicazione dei pani’; il contesto in cui è nata l’Eucaristia, che origina e porta a compimento la missione, la nutre e la fa ripartire.
‘ Così (racconta il Vangelo), quando “il giorno cominciava a declinare i Dodici si avvicinarono‘ a Gesù dicendo che veniva la sera, la folla era numerosa, il luogo era deserto e che loro erano preoccupati e forse un po’ impauriti di quel gran numero di persone alla ricerca di Dio. Così chiedono a Gesù di entrare nella loro logica umana, del tutto ragionevole: si lasci andare la folla a comprarsi il cibo. Ma la risposta di Gesù, abbastanza ‘irragionevole’, secondo la logica del regno di Dio, è: ‘Voi stessi date a loro da mangiare‘. Ecco un quarto insegnamento per la nostra missione quotidiana: la logica del regno di Dio è raccogliere i figli di Dio dispersi, non rimandarli a se stessi; è assumere la responsabilità per gli altri non tenere le distanze; è l’impegno concreto, anche se i mezzi sono poveri e pochi. “Non abbiamo che cinque pani e due pesci'” obiettano: è impossibile con così poco provvedere ai molti!
‘ Allora Gesù decide di prendere direttamente l’iniziativa, secondo però la logica del regno di Dio. Dopo aver saziato la folla con le altre ‘due mense’, la mensa della Parola e la mensa della carità (‘Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure) decide di dare lui stesso da mangiare. E i Dodici non parlano più, ascoltano e obbediscono alla parola autorevole del Missionario del Padre. “Fateli sedere a gruppi'”: la folla diventa un popolo ordinato; si costituiscono piccoli gruppi o comunità con dimensioni che permettono relazioni personali.
‘ “Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero“: i gesti che Gesù compie, sono quelli che troviamo anche nell’ultima cena e nella nostra celebrazione eucaristica. La missione trova il suo culmine e il suo nutrimento nel mettere tutte le nostre piccole cose umane (ma anche noi stessi, visto che siamo così piccoli e da poco)’  nelle mani di Dio, perché le trasfiguri. Mentre lo si loda con cuore grato. Tutto quello che non è trattenuto per sé viene così trasformato e diventa dono moltiplicato da Dio a servizio della vita degli altri.
Questo vale certamente dell’Eucaristia come sacramento. Ma vale anche per il resto della nostra vita. Il lavoro, le buone relazioni, il tempo, le doti naturali, la capacità di amare e di soffrire con pazienza: la forza dell’Amore del Padre utilizza tutto quel poco che gli mettiamo a disposizione per provvedere a tutti i suoi figli.
L’Eucaristia trasforma noi in lei.
‘ E spetta poi a noi distribuire i pani benedetti e spezzati da Gesù, spetta a noi farci carico della missione della Chiesa distribuendo la parola del Regno di Dio, prendendoci cura del fratello, e nutrendoci al Pane di vita per avere forza per testimoniare a tutti la gioia del Risorto che vive in noi.
‘ Certo le difficoltà non mancano mai alla Chiesa, e alla nostra Chiesa in particolare, perché diventi missionaria: ci sono resistenze interne e ostacoli all’esterno. Ma perché dovremmo rinunciare all’annuncio del Vangelo, viste le luci che ci offre, anche oggi, la Parola di Dio e visto il normale nutrimento, abbondante, che riceviamo dalle ‘tre mense’?
Soprattutto il Pane della vita, moltiplicato ancora con larghezza nelle nostre liturgie domenicali, non ci manca e ci rende sicuri e fiduciosi nella nostra missione anche in questa terra e in questo tempo!
Grazie Signore,
perché con l’Eucaristia
il dono della vita di Cristo trasforma la nostra vita,
e fa sì che a nostra volta diventiamo
un dono per il mondo.
 
Grazie Signore
perché mandandoci nel mondo
con la tua Parola,
la tua Carità
e il tuo Corpo,
lo trasformi da luogo della solitudine,
dell’egoismo e della morte,
in un giardino in cui fiorisce la vita.
 
+Lorenzo, Arcivescovo