Omelia della quarta domenica di Quaresima – 22 marzo 2020

22-03-2020

C’è bisogno di Luce, c’è fame di Eucaristia

I parte

Il cieco nato. Un cammino battesimale di apertura alla fede in Gesù, vero uomo, vero profeta, vero Messia, che si conclude con la professione di fede del cieco guarito nella sua divinità: “Credo, Signore! e si prostrò davanti a lui”. Anche i gesti sono importanti: Gesù inizia mettendo sugli occhi del cieco polvere della terra animata dal suo soffio, come fosse una nuova creazione; poi il lavarsi alla piscina di Siloe, gesto battesimale; gli incontri con Gesù e i dialoghi con lui, che permettono la crescita della conoscenza di Lui. In questo cammino ci sono dei contrasti, degli avversari, delle prove che però non scoraggiano il neo-credente anzi gli danno l’occasione di dare testimonianza pubblica, con coraggio. Infine c’è l’atto di fede e la prostrazione, per riconoscere la presenza di Dio e adorarlo.

Questo è anche il modello per nostro cammino di fede. A questo siamo chiamati nell’arco della vita, a cominciare dal battesimo. Cristiani infatti non si nasce, ma si diventa, come dicevano i Padri della Chiesa. Diventare credenti è essere via via illuminati, con una luce interiore che vince le tenebre del peccato, della paura, del dolore, del lutto, della malattia, del male diffuso nella società, della guerra, delle ingiustizie, ma la fede è anche luce che vince le tenebre dell’ateismo, della mancanza di uno scopo per vivere, dello smarrimento dei valori alti e nobili che danno dignità alla vita umana.

Gesù si presenta a noi dicendoci: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. (Gv 8,12)

Il Vangelo di Giovanni fa due affermazioni però che sembrano in contraddizione: “La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,5).  E poco dopo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo, … eppure il mondo non lo ha riconosciuto” (Gv 1,9-10).

Il disegno di Dio è infatti offerto a ogni uomo, ma non imposto e il cuore umano può rimanere chiuso nelle tenebre. È il dramma della salvezza: Dio vuole che esercitiamo la nostra libertà. Anche nello strapparci dal male e dalla morte ci tratta come dei partners alla pari, vuole il nostro si’ solo per amore, non per forza. E l’atto dell’amore deve nascere da un atto di libertà, non da una costrizione. Anche se lui fa il primo passo, come col cieco nato, poi chiede la nostra decisione libera, perché all’amore si risponda con l’amore. Allora trionfa la luce vera.

Attenzione però, questa scelta non è facoltativa, in essa noi ci giochiamo tutto: presente e futuro, la felicità nella vita presente, la gioia della vita piena che ci sarà nell’eternità. Dice Gesù alla fine del nostro brano: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41). C’è dunque anche una cecità colpevole, dopo l’incontro con Gesù e il suo rifiuto. Perché è il rifiuto dell’unica luce che conduce alla vita vera, pienamente umana e pienamente cristiana: “Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. E Gesù è venuto per questo: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

E quelli che hanno creduto – cioè i suoi discepoli, il suo popolo, la sua Chiesa,– sono chiamati a essere testimoni, “luce del mondo… perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre” (Mt 5,14-16).

 

 

 

II parte

Una riflessione sulla situazione attuale. Oggi chiediamo luce a Gesù anche per la situazione attuale. Siamo senza Messa, senza sacramenti, senza assemblee liturgiche, senza funerali e senza benedizioni, e lo saremo ancora per qualche tempo. Viviamo questa situazione, come in tante zone di missione. E la missione per i cristiani, in questo tempo sospeso e surreale di mancanza di relazioni per l’epidemia di Coronavirus, è proprio questa: non perdere la fede e testimoniare la speranza della vita eterna.

Ma non è questione di mettere in secondo piano l’Eucaristia o gli altri sacramenti. Occorre evitare assembramenti perché proprio attraverso di essi si trasmette la malattia. Si tratta di un atto di carità verso i più deboli e gli anziani e un tentativo di limitare il contagio per impedire un afflusso verso il nostro sistema sanitario che lo metterebbe a dura prova. Certo c’è richiesta di partecipare all’Eucaristia, da parte dei nostri cristiani, e questo è un gran bel segno.

La fame di Eucaristia aiuta a prendere coscienza della ricchezza che abbiamo a disposizione: di chiese, di Messe, di sacerdoti. E ci aiuta a capire quanto sia doloroso per certe chiese di missione non avere sacerdoti e possibilità rarissime di celebrare l’Eucaristia. E forse ci permette di condividere la condizione dei cristiani che non hanno libertà di culto, che sono perseguitati o senza sacerdoti accanto. Loro hanno trovato il modo di far sopravvivere la fede, attraverso la preghiera, la Parola di Dio il Vangelo, il Rosario, il ritrovarsi in famiglia a pregare. Possiamo far rinascere le chiese domestiche come nei primi tempi. Sempre nella consapevolezza che il Padre provvidente non abbandona i suoi figli e viene incontro al loro bisogno in tutte le situazioni.

Da questa emergenza si può anche imparare. Un piccolo virus ha messo in grave difficoltà tutto l’Occidente industrializzato che ha una grande fiducia nella scienza e nella tecnica e tutto il mondo.  Un fenomeno naturale ha ridimensionato la nostra illusione di poter dominare il Creato.

Cosa che avviene quando non rispettiamo le leggi della Natura o siamo colpiti da malattie inguaribili che ci ricordano come siamo fragili e destinati alla morte. E davanti alla morte tutta la vita diventa un mistero. E capiamo che l’universo e il Creato non sono più nelle nostre mani. I cristiani però possono dare una risposta e testimoniare che hanno la prospettiva di una vita senza fine. Non è un desiderio ma una certezza: Cristo è risorto e anche noi risorgeremo con lui.

Questo tempo è quindi un’occasione per riflettere sulla nostra visione della vita, sul nostro rapporto con Dio e sulla vita eterna che non sarà solo eterna ma piena, priva di tutti i mali e i problemi che abbiamo ora.

È anche tempo di nuove forme di carità. La principale solidarietà a cui tutti siamo chiamati è stare a casa e non diffondere il virus. Poi certamente aiuti ad anziani, a persone con handicap, a vicini e parenti in difficoltà si possono procurare, come si sta facendo, per dare aiuti essenziali, nel modo e con gli accorgimenti necessari per evitare il contagio. Infine, dobbiamo sostenere, anche economicamente, e incoraggiare tutti coloro che operano nel mondo della sanità, che svolgono il loro lavoro su mandato dell’intera comunità.

+Lorenzo, Vescovo