Sant’Apollinare – 23 luglio 2019: “Io stesso condurrò le mie pecore… le pascerò con giustizia” – I cristiani tra fede e appartenenze politiche

23-07-2019

Abbiamo ascoltato nella prima lettura il Signore che per bocca del profeta Ezechiele, dopo una dura critica ai capi chiamati “pastori”, si impegna per il futuro a condurre lui stesso le pecore, cioè i membri del suo Popolo, e a pascolarle con giustizia.

Infatti poco prima aveva pronunciato, sempre per bocca di Ezechiele, una invettiva che oggi applichiamo anche a chi ha responsabilità nella Chiesa. Il testo originario però non si riferiva alle autorità religiose, ma a tutte le autorità che amministravano la situazione politica e sociale di Israele, in quel periodo.

Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse… sono sbandate. Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.” (cfr. Ez 34,1-10).

 

Un Dio che vuole la giustizia e la vita

Quello che ci colpisce è l’intervento di Dio nella storia di un popolo, per ristabilire la giustizia sociale, i rapporti di solidarietà tra le persone nelle comunità e per difendere i deboli da chi esercita il potere in modo violento contro i suoi sudditi, anziché mettersi al servizio della crescita e del bene di tutti. Come questo sono numerosissimi i testi dell’Antico Testamento dove si vede l’intervento costante di Dio per fare giustizia, per ristabilire il diritto, per capovolgere le sorti quando i superbi, i ricchi, i potenti schiacciano, umiliano, depredano i deboli, i poveri, gli umili. Nel Magnificat, Maria raccoglie tutti questi interventi di Dio e li vede come il frutto della sua misericordia che si stende di generazione in generazione. Dio riporta la giustizia e capovolge le situazioni umane e sociali, perché non è solo un Dio “etico”, che vuole il bene e la giustizia, ma è un Padre che per amore viene in soccorso dei suoi figli più deboli, più piccoli, quelli che sono senza voce e senza diritti.

E allora come oggi, chiede a tutti i pastori, religiosi o laici, che hanno qualche responsabilità, di non pascere se stessi, ma di mettersi a servizio della vita e della crescita degli altri. Chiede un impegno non solo personale ma collettivo, affinché ci sia una vera cura per la promozione della persona umana e delle sue relazioni fondamentali, cioè la famiglia e la comunità, e una vera ricerca del bene comune, che è il bene di ciascuno e di tutti.[1]

I cristiani sono quindi chiamati ad un impegno serio, non facoltativo, nella società civile e nella comunità politica che è a suo servizio, per affermare la giustizia, la solidarietà, la cura del bene comune, il rispetto della persona umana, della sua vita e della sua dignità. Su di essa si fondano i diritti fondamentali della persona (e i rispettivi doveri), che non sono realtà negoziabili.[2]

 

Una partecipazione difficile per i cristiani, ma necessaria

Noi credenti però, soprattutto in Italia e in Europa (come tante volte nel passato), ci troviamo oggi in difficoltà di fronte alle scelte politiche e all’impegno nelle strutture amministrative, perché nel panorama attuale non riusciamo a vedere gruppi, partiti, movimenti o persone che rappresentino integralmente tutti i valori umani ed evangelici che vogliamo realizzare. Ci sembra che le parti in gioco nella politica di oggi affermino quasi tutte alcuni valori che condividiamo e però che ne distruggano contemporaneamente altri. Ci sembra che scegliendo una parte si diventi di fatto complici di proposte o di leggi che violano alcuni aspetti di fondo della visione di uomo e di società alla quale non possiamo rinunciare. Perciò molti cristiani si allontanano dalla politica e si astengono dal voto.

Ma non possiamo tirarci indietro e aspettare che arrivino i tempi del buon senso e della sapienza, del dialogo rispettoso e della condivisione degli obiettivi generali che realizzano il bene comune. Abbiamo il dovere, il mandato di impegnarci, tutti e in modo unitario, per realizzare la dimensione sociale del cristianesimo.

Nell’Enciclica Deus caritas est, – disse Papa Benedetto XVI a una Settimana sociale dei cattolici – ho voluto ricordare che “la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioè all’ambito della ragione autoresponsabile” (n. 29). Ed ho poi notato che “in questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo” (ibid.). Quale occasione migliore di questa per ribadire che operare per un giusto ordine nella società è immediatamente compito proprio dei fedeli laici? Come cittadini dello Stato tocca ad essi partecipare in prima persona alla vita pubblica e, nel rispetto delle legittime autonomie, cooperare a configurare rettamente la vita sociale, insieme con tutti gli altri cittadini secondo le competenze di ognuno e sotto la propria autonoma responsabilità. [3]

La conversione al Vangelo infatti chiede di rinnovare in profondità tutte le dimensioni della esistenza umana: la fede in Gesù Cristo incide nella sfera personale come in quella sociale, in quella etica come in quella spirituale. La comunità dei primi cristiani descritta negli Atti degli apostoli ne è un modello ideale e da realizzare in ogni tempo.

 

Dalla fede alla politica, attraverso la carità

E la motivazione centrale per assumere questo impegno da parte dei credenti, si trova nelle parole di Gesù quando afferma che c’è un solo grande comandamento: quello dell’amore, indivisibile, per Dio e per il prossimo. Non si può proclamare di amare Dio o di essere “religiosi”, se non si ama ogni uomo, come un fratello. Il cristiano è chiamato a far sì che la legge fondamentale dell’amore del prossimo ispiri e illumini la politica, ma non solo, anche la cultura, le leggi, le istituzioni, l’ economia, i modelli di convivenza sociale, il sistema educativo e quello sanitario, il welfare, il mondo della comunicazione…

Non è quindi solo una motivazione umanitaria o filantropica, o tantomeno ideologica, che ci deve spingere, ma c’è un dato più profondo che ci chiede di agire in politica con coraggio e con fermezza, con una presenza liberatrice, capace di promuovere tutto l’uomo, di aprirlo a una speranza nuova, di orientarlo alla cura per ogni fratello e alla custodia per la terra, nostra casa comune.

Seguendo il pensiero di Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, possiamo dire che un fondamento chiaro lo abbiamo nella fede in un Padre che ama infinitamente ciascun essere umano e quindi ognuno ha una dignità infinita, che nessuno può violare, ridurre o strumentalizzare. Credere che il Figlio di Dio si è fatto carne, cioè uomo in tutto tranne il peccato, e che ha versato il suo sangue prezioso per tutti, ha come conseguenza che ciascuno dovrebbe essere amato come lo ha amato Lui. Credere che lo Spirito di Dio agisce in tutti i cuori e muove tutte le coscienze, ci porta a collaborare con la sua azione liberatrice e diffusiva del bene, della giustizia, della pace. Credere che la Trinità è comunione perfetta di amore e che noi siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, ci porta a capire che non ci possiamo salvare da soli né possiamo vivere senza relazioni interpersonali, familiari, sociali, universali, delle quali abbiamo bisogno e alle quali siamo chiamati a dare il nostro particolare contributo. Se amiamo Dio davvero e ci lasciamo amare da Lui, non possiamo che “desiderare, cercare e avere a cuore il bene degli altri”. Non possiamo evangelizzare senza una vera promozione umana di ciascuno, perché ogni uomo è nostro fratello (cfr. E.G. n. 178)[4].

Ma il tema della “fratellanza” è stato secolarizzato e applicato in diversi contesti storici o attuali, con modalità che lo hanno allontanato dalla sua verità originale, cioè dall’amore fraterno frutto dell’annuncio evangelico e dell’esperienza di fede. Tanto che le “fratellanze” sono divenute dei circoli chiusi, delle alleanze politiche contro qualcun altro, dei movimenti nazionalisti che vogliono affermare la superiorità di un popolo su altri popoli, addirittura dei gruppi terroristici che usano la appartenenza religiosa per darsi una identità e commettere violenze sui loro nemici. Siamo ben lontani dalla meraviglia e dall’entusiasmo di vivere la fraternità e la giustizia del Vangelo! [5]

Per noi credenti il fondamento della dignità di ogni vita umana, sempre preziosa e sempre unica in qualsiasi stadio del suo sviluppo e in qualsiasi condizione, è che in ogni fratello c’è un prolungamento dell’incarnazione di Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Quello che facciamo per gli altri ha una dimensione trascendente, è risposta alla misericordia di Dio verso di noi (E.G. n. 179). Il credente, ma anche tutta la comunità cristiana è chiamata a uscire da se stessa e a esercitare “una carità effettiva per il prossimo, una compassione che comprende, assiste e promuove”. Se i cristiani rinunciassero a questa verità essenziale nel loro impegno sociale e politico, non avrebbero nulla di proprio da proporre e cadrebbero facilmente preda del pensiero dominante in quel momento storico o si dividerebbero a causa delle appartenenze a un partito o a un movimento, mettendo al secondo posto l’unica appartenenza che dà la vita, quella a Cristo e al suo Corpo che è la Chiesa.

 

La cura preferenziale per i poveri e i piccoli

E c’è una attenzione particolare che tutta la tradizione biblica e il Vangelo ci chiedono in modo perentorio: la cura preferenziale per i poveri e i piccoli. Perché se è vero che i poveri, i piccoli, i deboli… gli anziani, i disabili, i malati, gli stranieri, i minori abbandonati… “li avremo sempre con noi” (cfr. Mc 14,7), è anche vero che proprio noi cristiani dobbiamo essere i primi a tutelarli e a promuovere i loro diritti. Il Signore ascolta il grido dei poveri (Sal 34,7), i piccoli sono sempre presenti al suo volto (Mt 18,3) e ne chiederà conto a noi, nel giudizio finale, per quello che avremmo potuto fare e non avremo fatto!

L’impegno dei cristiani deve quindi andare oltre al garantire un decoroso sostentamento al Sud del mondo – perché è insopportabile che ancora oggi ci siano centinaia di milioni di persone alla fame!– ma deve creare anche la possibilità per tutti di accedere a un sistema educativo libero, all’assistenza sanitaria diffusa, e specialmente al lavoro, perché “nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita” (E.G. 192).

In concreto questo significa che è un compito dei cristiani lavorare decisamente per una distribuzione più equa e più solidale dei beni tra tutti i popoli; affrontare le cause strutturali della povertà e contrastare l’accaparramento delle risorse naturali da parte di alcuni, per promuovere lo sviluppo integrale di tutti i popoli; farsi mediatori nei conflitti e nelle guerre per promuovere la pace e la riconciliazione, bloccando il grande commercio delle armi; combattere ogni forma di violenza e di abuso, sui piccoli e sulle donne; affrontare l’inverno demografico con politiche familiari serie, sostanziose, continuative; individuare le cause della corruzione e del malaffare a tutti i livelli.

Ma significa anche non piegarsi alla rivendicazione di presunti diritti che sono invece bisogni individuali che contrastano con il diritto fondamentale alla vita, con il sostegno alla famiglia naturale, o con il bene comune, che è bene di tutti, anche delle minoranze che si sentono discriminate.

Significa trovare, di fronte al problema mondiale delle migrazioni, soluzioni umane, equilibrate, regolamentate, affinché – come diceva Paolo VI già nel 1967 – ci sia un crescita nella solidarietà mondiale che «deve consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino» (Populorum progressio, 65).

Sono solo esempi di obiettivi generali e concreti – in fondo attualizzazioni delle opere di misericordia – sulle quali saremo giudicati…

Ci preme in ogni caso sostenere che una linea “cattolica” in politica, per ispirazione e per convinzione, deve essere libera nel rapporto con qualsiasi centro di potere – politico, economico e culturale – e al tempo stesso deve essere consapevolmente aperta al dialogo senza paura e senza pregiudizi con chiunque abbia sincero interesse a costruire una società più solidale e più libera, più ricca di carità e di giustizia. Compito dei cattolici oggi è quello di essere una “forza di ricostruzione”[6]. Vorremmo che lo fossero tutti insieme, uniti.

+Lorenzo, Arcivescovo

 

[1] “Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile… costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica. La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all’esistenza. Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione” (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 74).

[2] “Tra i principali sono da ricordare: il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto a vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona. Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati”. (Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 47)

[3] Saluto ai partecipanti alla Settimana sociale dei cattolici, Pisa-Pistoia 2007.

[4] Vedi la recente Lettera aperta dei 62 monasteri di monache Clarisse e Carmelitane al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio, in seguito sottoscritta da centinaia di Istituti religiosi maschili e femminili, sulla tutela della vita e sul rispetto verso i rifugiati, i migranti, i richiedenti asilo (“Voi siete tutti fratelli” dell’11 luglio 2019).

[5] Vedi il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019 da Sua Santità Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.

[6] Cfr. Marco Tarquinio su Avvenire, 15 giugno 2019.