Omelia della Messa di Natale – 25 dicembre

02-01-2013
Omelia della Messa di Natale
 
Ravenna, 25 dicembre 2013
 
 
1) ‘I poveri li avete sempre con voi’ (Mt 26,11)
 
Ieri mattina sono stato in visita al carcere di Ravenna, ho incontrato i dirigenti, gli uomini e le donne della polizia penitenziaria, ho visto le celle strette e piene, i luoghi di attività, il parlatorio con i parenti e gli amici, ho salutato anche diversi detenuti con i quali ho celebrato la messa dell’Aurora del Natale. A pranzo sono andato alla parrocchia del Redentore dove la consulta del volontariato organizzava il pranzo di natale per molti poveri della città. Ieri sera sono stato a celebrare la messa della Vigilia nella casa dove ci sono alcuni ospiti del Ceis e alcuni volontari.
 
C’è tanta gente povera davvero anche nelle nostre città; molto povera. Gente che dipende dagli altri per quasi tutto. Gente che spera di poter continuare a sopravvivere e di avere una maggior fortuna nei prossimi tempi, visto che non può contare sulle proprie forze, o sulle proprie capacità interiori o sugli appoggi esterni. Non ho visto gente disperata, mi pare, ma soprattutto persone che hanno imparato a convivere con la precarietà, a camminare sul filo, a preoccuparsi solo di arrivare a sera.
Certo ogni persona ha una storia diversa dall’altra e molti hanno, o credono di avere, qualche ‘riserva’ nascosta. Spesso però non si possono più fidare nemmeno di se stessi: troppe delusioni sono arrivate non solo dalle cattiverie altrui, ma anche dalle proprie fragilità.
 
 
2) ‘Gesù Cristo da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi dalla sua povertà’ (2 Cor 8,9)
 
Quando Dio Padre decise di rinnovare il mondo e gli uomini, mandando il suo Figlio, volle ripartire da loro, da questi poveri. Quando decise di assumere la carne umana, volle assumere la loro carne, segnata dalla povertà. Non a caso è nato in un tempo dove non c’erano i nostri mass-media, le nostre tecno’scienze, il nostro benessere. Ha scelto di nascere in una grotta-stalla, ha scelto un paesino sconosciuto, la casa di un operaio, una famiglia che viveva del proprio lavoro manuale. Più tardi ha percorso i piccoli villaggi dei pescatori e ha incontrato volutamente soprattutto una umanità sofferente, malata, infestata da demoni, povera. Mai un riconoscimento pubblico, civile, politico, militare, economico. È morto solo e povero, dopo aver insegnato ai suoi che per seguirlo bisognava rinunciare a case, fratelli, famiglia, beni materiali, sicurezze e appoggi umani, fino a portare la croce da innocenti, con i tanti innocenti che portano una croce ingiusta, imposta dai sistemi del mondo, e come tanti deboli che si sono attirati una croce addosso con i loro errori perché nessuno al momento giusto li ha aiutati.
 
Non c’è stato solo il primo atto, la nascita in un posto adatto a dei poveri, ai quali era stata rifiutata l’accoglienza, anche se la mamma era in procinto di partorire. Tutti gli altri atti della storia di Gesù di Nazareth sono coerenti con questo abbassamento di Dio, che è di una umiltà che ci scandalizza. Anche il più grande dei profeti, il suo Precursore, Giovanni, ha dubitato, ha rischiato di scandalizzarsi, perché aveva intravisto in quale abisso di piccolezza e di debolezza si era ridotto il Dio di Israele, il Creatore, il giudice della Storia.
 
 
3) ‘Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia’ (Lc 2, 12)
 
Nel Natale non celebriamo la festa della dolcezza, del calore, del bel bambino che nasce tra mille attenzioni e la gioia di tutti.
Celebriamo la dolorosa durezza della rinuncia di Dio a tutte le sue prerogative divine per farsi uomo, un pover’uomo, ridotto a livello dei servi. Voleva che gli ultimi, anche quelli colpevolmente ultimi che avevano fatto del male a se stessi e agli altri, lo sentissero come uno alla pari: non un signore, un nobile, un padrone che fa della beneficienza, ma uno di loro. Voleva che la storia si rinnovasse a partire dagli ultimi.
 
Alla grande Roma, capitale imperiale, si contrappone la piccola Betlemme con un bambino in una stalla e dei pastori, che sono i primi e unici invitati dal Cielo alla festa del nuovo Nato. Maria pone il bambino in una greppia, una mangiatoia per animali, senza essere né triste né contrariata, sa vivere da povera e gioire di quello che c’è. Così educherà Gesù, coerente con il piano di Dio che la scelse perché capace di essere povera in spirito e povera effettivamente. Niente ricchezze, niente lussi, niente mondanità, nessun legame con le potenze del mondo.
 
Attenzione però: la scelta del Padre che il Figlio di Dio si facesse povero e sedesse a mensa coi peccatori, non è per escludere altri, ma per iniziare dal livello più basso dell’umanità e arrivare a tutti. La scelta preferenziale dei più poveri e dei più peccatori del resto ci garantisce tutti: prima o poi ci ritroveremo anche noi a doverlo invocare perché ci salvi da qualche situazione di peccato o di oscurità in cui siamo precipitati. Nessuno è escluso così dal suo abbraccio di salvezza.
 
 
4) La famiglia di Nazareth
‘Vi annuncio una grande gioia: oggi è nato per voi un Salvatore’ (cfr. Lc 2,10s)
 
La gioia dei pastori è la gioia di tutti coloro che sanno vedere nei segni di vita della natura e nelle normali relazioni umane d’amore, i grandi doni di Dio all’uomo: la nascita di un bambino; un papà e una mamma che lo amano e lo curano e insieme si preparano a dargli una identità e a farne un uomo che saprà vivere per gli altri; una famiglia che cresce nel timore di Dio e nella gratitudine per l’amore che riceve e che può dare. Nel presepio non adoriamo solo il Dio fatto bambino, ma contempliamo anche il mistero della famiglia, immagine e strumento della Trinità a servizio della diffusione dell’amore, a cominciare dall’amore paterno, materno, filiale, fraterno. Di una famiglia Dio non ha voluto fare senza, non ha potuto fare senza, perché l’incarnazione del Verbo che si voleva fare uomo, ne avrebbe sofferto: per realizzarsi in pienezza di umanità aveva bisogno di una famiglia. Anche questo fa parte del disegno essenziale di Dio: ripartire dall’ultimo, dal più piccolo, e dalla ricostruzione dell’unità familiare. All’inizio infatti Dio aveva creato l’uomo ‘a sua immagine e somiglianza’, ‘maschio e femmina’ li aveva creati: nel presepio vediamo rinascere l’Uomo nuovo fatto a sua immagine, il Seme di una futura umanità rinnovata dalla sua Grazia; e la famiglia esemplare, che si nutre della volontà di Dio, in una comunione di vita e d’amore che dei due fa una carne sola.
 
Contempliamo i tanti misteri iscritti nel grande Mistero del Natale e lasciamo che la gioia ci riempia il cuore e ci ridoni fiducia e speranza: niente ci potrà più separare dall’amore di Dio, nulla potrà separare Cristo dall’uomo, tutto converge perché gli uomini si riconcilino tra di loro.
 
 
+ Lorenzo, Arcivescovo