Omelia della Messa del Crisma – 16 aprile: “Salvati dal sangue di Gesù e chiamati all’unità del presbiterio”

18-04-2014
Messa del Crisma
 
Ravenna, 16 aprile 2014
 
Salvati dal sangue di Gesù e chiamati all’unità del presbiterio
Carissimi confratelli presbiteri e diaconi
Una chiesa alla prova e i doni dello Spirito. Proprio in questi giorni di fatica e di prova per il nostro popolo cristiano e in particolare per noi ministri ordinati, il Signore ci ha dato un segno bello, da non sottovalutare. Una donna, Simona, di Ravenna dopo qualche anno di preparazione è stata consacrata nell’Ordo Virginum. Una vocazione nuova per la nostra Chiesa diocesana, anche se in tante diocesi d’Italia si è già diffusa. La data della celebrazione del Rito di consacrazione era stata spostata per poter corrispondere alla GMG 2014 e dare una testimonianza vocazionale ai giovani, ma provvidenzialmente è andata a situarsi negli stessi giorni dell’arresto di don Giovanni. Si potrebbe commentare con S. Paolo che ‘dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia’ (Rom 5, 20). Il Corpo ferito della nostra Chiesa ha ricevuto un dono che testimonia con i fatti la presenza viva del suo Signore. E la tipologia del dono ricevuto ci dice verso cosa il Signore ci vuole orientati: una Chiesa casta e povera; un presbiterio servo e umile; un amore pulito, attento, rispettoso verso tutti, ma soprattutto verso i piccoli, i poveri, i deboli, i feriti; le donne, i bambini (ce lo raccomanda esplicitamente Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, nn. 209’214).
Tanti altri doni dello Spirito di Dio e tante opere veramente meritorie si potrebbero elencare per ricordare a tutti che la nostra Chiesa è molto di più di ciò che viene alla luce in questi giorni, e che il suo contributo alla vita buona della gente è grande. Mentre tutti si ritirano dall’impresa educativa, noi ci investiamo; mentre molti stanno perdendo la fiducia che esistano valori stabili e oggettivi, noi rilanciamo lo stile di vita evangelico con i suoi valori di sempre.
La santificazione del clero e la vicinanza dei laici. Questo però non toglie nulla a quello che ci siamo detti nel ritiro del Clero di Quaresima, nell’assemblea straordinaria di S. Pietro in Vincoli, nelle telefonate e negli incontri di questi giorni, dove ci siamo confermati a vicenda nella disponibilità a crescere insieme sulle vie già indicate. Quelle della santificazione personale e comunitaria; dell’unità tra Vescovo, presbiteri e diaconi; del desiderio missionario di far conoscere la gioia del Vangelo a tutti.
Diversi di voi mi hanno parlato, a proposito della visita alle case e della benedizione delle famiglie, di una accoglienza come al solito ampiamente positiva, perché la gente semplice sente che la comunità cristiana parrocchiale è vicina, accogliente, pronta alla carità, ricca di valori umani e spirituali; che il parroco si spende per loro, come nessun altro lo fa.La maggioranza dei nostri fedeli non dà infatti molto spazio alle dicerie superficiali, né infierisce sulle persone, nonostante i peccati e le debolezze, ma sa guardare all’essenziale. E noi come Chiesa diocesana stiamo facendo proprio uno sforzo per stare all’essenziale, come ci chiede papa Francesco, senza fare sconti sullo stile di vita di Gesù e sul Vangelo, anche nelle sue parti più radicali, che mettono alla prova anche chi le annuncia (Cfr. Le sfide e le tentazioni degli operatori pastorali, Evangelii Gaudium, cap II).
Purificati dal sangue di Gesù e chiamati all’unità del presbiterio. Ed è proprio su questo che oggi siamo chiamati a ritornare. Prima di lasciare i suoi apostoli Gesù, come segno di amore, lavò loro i piedi (Gv 13,1ss), anche a Giuda e a Pietro. In quel gesto significò che versando il suo sangue dalla Croce avrebbe purificato i loro cuori, risanato le loro coscienze, rinnovato le loro vite. Ma dopo questo gesto imbarazzante per l’umiltà del servizio, in quella Cena drammatica, raccomandò ai suoi soprattutto un impegno: l’unità, che sarebbe stato anche un suo dono, frutto della sua preghiera (Gv 17,11-23). Sapeva già che Giuda l’avrebbe venduto, che Pietro l’avrebbe rinnegato, che gli altri sarebbero fuggiti non sopportando nemmeno la visione della croce dalla quale pendeva il loro Signore e Maestro, il Figlio di Dio che li aveva amati come veri amici. Sapeva di questo, ma ha pregato a lungo, apertamente, perché diventassero una cosa sola, uniti tra loro addirittura come Lui e il Padre lo sono.
Gv 17, 20-23: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. ‘Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.
 
Il miracolo dell’unità. Può succedere che un presbiterio sia fatto di tanti uomini venuti da terre diverse e con culture e spiritualità diverse. Succede regolarmente nelle diocesi di missione, io stesso ne ho viste alcune assai ‘variopinte’. E la forza evangelizzante, la capacità testimoniale, il contagio missionario, non sono affatto danneggiati da queste diversità, a condizione però che la vita spirituale dei singoli missionari si alimenti e la loro unità come corpo ecclesiale resti stabile. Anzi allora si verifica il miracolo della Pentecoste: i tanti pastori diversi parlano l’unica lingua comprensibile a tutti, quella del Vangelo e della carità. È vero, non senza le fatiche del dialogo e dell’incontro, delle rinunzie alle visioni particolari per costruire insieme una visione più ampia e più evangelica, come ci testimoniano gli Atti degli Apostoli (At 15 e Gal 2). Ma il miracolo dell’unità è possibile. Lo vuole la preghiera di Gesù; lo vuole il Padre: siamo suoi figli, suoi eletti, suoi consacrati; a doppio titolo ci vuole uniti a Lui e tra noi.
La correzione fraterna. Come presbiterio diocesano, fondati sul medesimo sacramento che ci ha inseriti nell’Ordine dei presbiteri, abbiamo bisogno di unità coi fratelli e con il Vescovo; di comunione che sa superare il disagio delle differenze dell’altro, ma che non si adatta nemmeno ad una tolleranza generica, ad una specie di eclettismo dove tutto sta accanto a tutto. La via dell’unità tra noi non deve passare attraverso il lasciare che ciascuno predichi un suo vangelo, con adattamenti personali sui quali chiudiamo gli occhi; né può passare attraverso la rinuncia ad una correzione fraterna rapida, incisiva, ma cordiale ‘agendo secondo verità nella carità’ (Ef. 5,11-15). L’unità si costruisce puntando insieme in alto; richiamandoci l’un l’altro a scalare verso la cima e aiutandoci a farlo; correggendoci, non assolvendoci a vicenda se qualcuno si ferma a metà cammino, appesantito dai compromessi con lo spirito mondano.
Intorno a Gesù e alla sua sequela. Come ai discepoli di Gesù ci è chiesto di costruire la nostra unità come presbiterio, seguendolo e stando dietro a Lui; non davanti, non altrove. Quando i due figli di Zebedeo chiedono un fuoco dal cielo per gli avversari religiosi, Gesù li rimprovera aspramente; quando Pietro vuole proteggerlo dall’ignominia della croce, Gesù lo ricaccia dietro di sé; quando si scatenano le lotte per il potere tra i discepoli, Gesù presenta il suo umile servizio e l’atteggiamento dei piccoli come esempio per chi sta al primo posto; quando i discepoli sono scoraggiati per la durezza di Gesù a proposito della rinuncia alle ricchezze, della abolizione del divorzio, della proposta del celibato perpetuo per il Regno dei Cieli, Gesù non attenua in nulla la sua ‘pretesa’: indirizza tutti a Dio, al quale nulla è impossibile (Mt 17,20; Lc 1,37).
Il centuplo e la vita eterna. E Gesù promette a quelli che lo seguono la vita eterna, ma anche un ‘centuplo’, un ritorno senza misura non tanto a loro vantaggio, ma come frutto per gli altri, già ora nella vita della Chiesa. Schiere di martiri, di vergini, di testimoni, di padri e pastori santi lo testimoniano: chi si affida al Signore con totalità, bruciando ogni giorno, ‘ tante volte al giorno ‘, l’orgoglio di sentirsi alla pari di ogni autorità e di ogni paternità, la pretesa superba di far ruotare la comunità attorno a sé, il falso diritto di utilizzare i fedeli come fossero una proprietà privata’ riesce a compiere miracoli. Tutti conosciamo bene il curato d’Ars, Don Bosco, Don Pino Puglisi, Padre Pio, Madre Teresa di Calcutta, i Papi santi dello scorso secolo, Don Angelo Lolli, Don Santo Perin’ quanti milioni di credenti e di uomini di buona volontà sono rimasti edificati, quante opere fatte, quante scelte di vita radicali provocate da coloro ‘che hanno seguito l’Agnello dovunque vada (Apc 14,1-5) ‘!
Rinnovamento spirituale e pastorale missionaria. Lo possiamo fare anche noi questo cammino di unità, clero e diaconi di Ravenna Cervia, perché adesso che siamo una Chiesa debole e ferita, siamo nella condizione ideale per essere curati e guariti dal grande Buon samaritano, se ci affidiamo tutti a Lui. Sappiamo che la nostra barca ha delle assi fragili e qualche rematore è più debole degli altri. Però, affinché nessuno vada perduto, ‘ non possiamo permetterci che altri dei nostri fratelli ci siano strappati dai loro errori, dalla cattiveria del mondo e dall’inganno del maligno ‘, abbiamo bisogno di un periodo di recupero della nostra vita spirituale e di valido rinnovamento anche pastorale, in senso missionario.  
Qualche orientamento. Ci aiuterà un modo rinnovato di celebrare l’Eucaristia, per gli altri e per noi stessi. Vi chiedo quindi più messa, ‘ più partecipata, più comunitaria ‘ e meno messe.
E un maggiore raccordo tra le parrocchie piccole perché i fedeli al di là delle appartenenze alle varie ‘frazioni’, siano radunati in una comunità cristiana capace di compiere ciò che le è richiesto, con la presenza degli organismi di comunione, delle diverse vocazioni, ministeri e servizi, affinché i fedeli laici possano essere sostenuti nella pratica cristiana e nell’evangelizzazione degli ambienti ordinari di vita, dove noi non possiamo arrivare.
Vi chiedo di riprendere anche per voi stessi la confessione regolare e l’accompagnamento spirituale in tutti i momenti nei quali la tenuta della vocazione si fa più difficile, aprendo con verità il proprio cuore ad un fratello maggiore, perché se non si ha il coraggio di aprire la piaga nessuno la potrà guarire (Papa Francesco ai seminaristi e ai religiosi).
Vi chiedo di mettervi dentro il cammino diocesano di rinnovamento della catechesi per l’iniziazione cristiana, a partire dai battezzandi fino ai giovanissimi, perché le famiglie, i genitori, gli adulti, siano coinvolti e partecipi, anche se faranno resistenza: non esistono cuori assolutamente induriti! Se seminiamo con costanza e con rispetto, con misericordia e con fiducia, finiremo per trovare un pezzetto di terreno buono anche nei più lontani e ostili post-cristiani.
Abbiamo bisogno che i giovanissimi e i giovani trovino ragazzi e giovani poco più grandi di loro, ben formati, che si facciano loro guide ed educatori e trovino ambienti accoglienti nelle parrocchie: qualche convivio in meno con gli anziani e molte proposte di oratorio, di vita comune e di spiritualità in più, per i nostri giovani.
Vi chiedo di proporre percorsi nuovi alle coppie giovani, che di solito hanno bisogno di camminare in gruppo; e di sostenere i matrimoni affidando le coppie deboli a quelle che sono un po’ più forti nella fede e nella carità coniugale.
L’Equipe diocesana per la Tutela dei Minori. Vi annuncio anche che ho costituito un’Equipe diocesana per la Tutela dei Minori, composta dal Vicario generale e da un parroco, da una dottoressa psicologa psicoterapeuta, da una dottoressa neuropsichiatra infantile, da una giurista che esercita nel foro ecclesiastico, da un civilista e da un canonista. Le tre donne sono anche madri di famiglia oltre che competenti nei vari settori. Sarà di aiuto al Vescovo, ma anche ai parroci, ad altri responsabili parrocchiali o ai genitori, sia per la prevenzione, sia per la valutazione e le decisioni da prendere qualora ci si trovasse di fronte a notizie di comportamenti ambigui o sospetti verso i minori.
Gli anniversari e gli auguri.  Vi ricordo gli anniversari di ordinazione sacerdotale, così potremo fare loro i nostri auguri per una fedeltà sempre creativa e una buona perseveranza nel ministero:
Don Isaia Rossi, che ci saluta dal suo letto di ospedale a Lagosanto, voleva venire a tutti costi, invece di continuare a curarsi; celebra il 60° di ordinazione, e l’unica preoccupazione non è la sua salute, ma i suoi impegni parrocchiali;
Don Ermanno Neri e p. Alberto Casalboni, cappuccino, celebrano il 50°;
Don Lorenzo Lasagni, celebra il 25°;
ricordiamo anche don Giancarlo Galeati e don Raffaele Szarek, che festeggiano il 10° anno.
Non dimentichiamo il nostro Papa emerito Benedetto XVI, 87 anni, auguri anche a lui, e i primi 4 Diaconi diocesani ordinati esattamente 33 anni fa.
A loro per primi, ma anche a tutti voi, carissimi presbiteri e diaconi, va la riconoscenza del popolo cristiano delle parrocchie e mia personale per la fatica quotidiana che portate per far conoscere il Signore e per farlo amare, in mezzo a molti ostacoli. Il Signore vi ricompensi e vi dia Grazia e Fedeltà, ogni giorno della vostra vita.
+ Lorenzo, Arcivescovo