Messaggio di Pasqua – 5 aprile: “Quando era ancora buio”

01-04-2015
Ravenna, 5 aprile 2015
Quando era ancora buio
“Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio…”. Era ancora buio sia nell’atmosfera della notte non ancora finita, sia nel cuore di Maria: il suo Signore era morto, irrimediabilmente. Anche gli altri apostoli però erano nel buio, se alla fine del racconto l’evangelista deve ammettere che “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.”
L’annuncio della Risurrezione dalla morte di un uomo, non è strano che faccia reagire immediatamente con l’incredulità. Diversi nostri contemporanei non ritengono accettabile per la ragione comune, soprattutto “laica”, la storicità di questo evento, lo trattano come un racconto consolatorio o mitico. Adatto cioè a dare sollievo psicologico di fronte all’angoscia della morte, ma non verificabile con gli strumenti delle scienze sperimentali, quindi non “vero”.  Nella storia antica e recente tante sono state le contestazioni e le interpretazioni della presunta risurrezione di Gesù (vedi E. Castellucci, Davvero il Signore è risorto, Ed. Cittadella). Tante sono state le risposte dei credenti: dei teologi, dei pastori, dei santi, dei martiri. Tutte testimonianze però di gente che ha creduto senza vedere! La risurrezione quindi chiede una fede cieca?
Forse ci fa bene metterci nei panni di quei nostri contemporanei che non vogliono credere né a questa né ad altre verità cristiane. Forse siamo più vicini a loro di quanto non pensiamo.
Non è stato facile crederlo risorto nemmeno per quelli che avevano accompagnato Gesù per tutta la sua missione, ne avevano visto le opere, ne avevano accolto le parole e persino le profezie sulla sua morte e risurrezione. Anche nei tre discepoli che avevano visto la sua Trasfigurazione sul Tabor, non è scattata automaticamente quella fede.
Si possono fare almeno due riflessioni.
La prima è che i Vangeli non hanno nascosto lo stupore, la paura, l’incertezza dei discepoli di fronte a questo evento e riferiscono che nei giorni seguenti la risurrezione è Gesù stesso che deve prendere l’iniziativa di rivelarsi e trovare le vie per far scattare l’atto di fede contro le resistenze dei suoi, che non lo aspettavano più (il caso più chiaro è la rivelazione a Tommaso).  Lo fa però con uno stile inaspettato e anche problematico per noi: la sua presenza non costringe nessuno, non usa effetti speciali né fa miracoli; è persino più dimesso di come era apparso nella Trasfigurazione (sembra un viandante, uno straniero, ai due di Emmaus; un giardiniere, a Maria; uno sconosciuto sulla riva del lago). Dà una prova di esistenza nuova, ma la prova non è schiacciante: lascia spazio al dubbio e al “salto” della fede, che resta necessario. Lascia in eredità dei “segni” della sua nuova vita, ma solo lo sguardo della fede e un cuore reso ardente dalla Parola possono riconoscerlo presente in essi (Lc 24). Per noi è un cammino difficile, ma secondo lo stile di Gesù, la fede deve rimanere atto libero (non obbligato dalle evidenze) e atto di affidamento al Dio che mantiene sempre le sue promesse. E solo dopo si sperimenta che essa dà pienezza e senso alla vita, come nessun altra credenza umana. Solo dopo si comprende la ragionevolezza dell’opera di Dio in Cristo. È la fede che illumina la ragione! Oltre a riempire il cuore.
Si può fare anche un’altra riflessione sulla difficoltà del credere nel Risorto, che riguarda però noi, non lo stile di Gesù. Ci chiediamo: non sarà che siamo tanto abituati alla “notte” da chiudere subito gli occhi quando ci appare la Luce? Non è che ci siamo così abituati a vivere nell’oscurità, a procedere a tentoni, a scoprire solo piccoli pezzi della realtà intorno a noi, che quando essa ci si rivela in pienezza non riusciamo più ad allargare la mente e il cuore per accoglierla? Ci siamo così abituati a lavorare solo per l’immediato, a progettare per tempi brevi, a pensare solo a piccole verità correggibili e superabili, che lo squarciarsi di una prospettiva come quella della scomparsa della morte dall’orizzonte, ci disorienta più che farci esultare?
Credere nel Risorto è credere nella Vita eterna come prospettiva per ciascuno. Significa lasciare che questo futuro sicuro e intramontabile condizioni anche il presente. Se il nostro destino è la vita, il presente dovrà essere purificato e liberato da tutti gli aspetti di morte, da tutti i compromessi e le mezze  misure con le quali ci arrangiamo, senza badare tanto né all’etica nella professione, né alla giustizia nei rapporti umani, né al bene comune nella società, né a preparare un domani dignitoso per le giovani generazioni, né a sollevare i fratelli schiacciati dalla povertà e dalla violenza… Egoisticamente, è meglio credere che tutto finisce qui e che nessuno è risorto, né risorgerà! Egoismo poco intelligente però, perché ci fa vivere male l’oggi e ci farà vivere male anche nel domani, se la vita eterna si rivelerà una verità.
Usciamo dal buio! Lasciamoci aprire gli occhi dalla luce del Risorto ed esultiamo, perché Lui ci dà la forza di credergli e di trasfigurare la nostra esistenza. Lasciamoci liberare dal male, dalle ombre, dalle paure! Diventiamo testimoni di speranza e di vita per i nostri fratelli vicini e lontani! Cristo è vivo! Davvero!
+ Lorenzo, Arcivescovo