Corpus Domini – 26 maggio: “L’Eucaristia: fonte di carità e di annuncio”

27-05-2016

Corpus Domini

Ravenna, 26 maggio 2016
 

L’Eucaristia: fonte di carità e di annuncio

Il Vangelo di Luca (9,11-17) pone il miracolo della moltiplicazione dei pani, descritto con linguaggio che richiama i gesti centrali della liturgia eucaristica, nel contesto della missione di Gesù e dei suoi dodici. Appena prima ci veniva raccontato che Gesù aveva mandato avanti a lui nel territorio semipagano della Galilea, terra di confini, i suoi discepoli. Tornati da lui probabilmente sono molto stanchi. Gesù se ne accorge e chiede loro di ritirarsi con lui per riposarsi.

Ma le folle li seguono e continuano a manifestare il desiderio di essere illuminate e guidate dal Maestro e dal Pastore. Il Vangelo di Marco li paragona alle pecore senza pastore, disorientate e perciò impaurite.

 

Annunciare il Vangelo o curare chi ha bisogno?

E Gesù continua la sua missione: è venuto per comunicare la grandezza della misericordia sua e del Padre, non può fermarsi. Risponde come sempre con l’annuncio del Regno di Dio che sta venendo e con le guarigioni per chi aveva bisogno di cure. Queste due azioni congiunte sono lo stile di Gesù: annuncio e carità. Egli evangelizza rivelando il disegno di amore di Dio su tutti e prendendosi cura della vita concreta di ciascuno, soprattutto di chi è malato, povero, piccolo, emarginato. La potenza della Parola e la potenza dello Spirito escono da lui, illuminano e risanano, contemporaneamente.

Mi chiedo: e noi, stiamo tenendo insieme queste due azioni evangelizzanti?

Succede infatti che alle nostre parrocchie bussino in tanti che chiedono aiuti e sussidi economici, e tanti altri che chiedono invece sacramenti, messe, benedizioni, preghiere… Noi rispondiamo con le celebrazioni e le preghiere da una parte, e dall’altra con pacchi di viveri e sussidi per pagare un debito o una bolletta. Quante parrocchie non hanno una caritas, nemmeno interparrocchiale, o un centro di ascolto delle povertà e si accontentano della pastorale sacramentale e catechistica? E quante parrocchie hanno una caritas che funziona indipendentemente dal parroco, dal consiglio pastorale, separata dal resto delle attività liturgiche e pastorali?

Abbiamo in Romagna – e nella diocesi di Ravenna Cervia in particolare – una notevole serie di case, strutture, luoghi di accoglienza e assistenza per i minori, per i poveri, per gli anziani, per gli handicappati, per i malati terminali, ultimamente per l’ospitalità di una piccola parte degli emigrati. Spesso hanno avuto origine dalla carità di un prete o di una famiglia religiosa. Col tempo siamo diventati sempre più capaci di servizi professionali e siamo in regola con le tante leggi del settore, ma sono ancora luoghi di evangelizzazione, dove si è aiutati a incontrare il Signore, a servirlo a venerare la sua “presenza reale” nel corpo dei poveri e dei bisognosi?

Più in generale, quanto del volontariato, che anche a Ravenna è in maggioranza cattolico o di ispirazione cristiana, sa trasmettere la fede insieme con le opere che fa?

Quanto impegno culturale, sociale e politico dei fedeli cristiani lascia trasparire le motivazioni evangeliche o le confessa apertamente e coraggiosamente? Anche fare cultura e fare politica sono forme alte di carità! Oppure manteniamo separato l’agire dalle sue motivazioni profonde che rimangono nascoste perché non gradite a qualche gruppo di persone intorno a noi?

Il rischio è quindi che la liturgia si esaurisca nelle belle celebrazioni, ma non generi carità concreta e che la carità si riduca ad una parte della assistenza sociale. Finiremmo così per essere poco missionari nell’uno e nell’altro caso!  Come trovare allora una sintesi pastorale tra queste due azioni importanti, anzi essenziali, per la vita della Chiesa, sull’esempio di Gesù?

 

Solo l’Eucaristia è cibo che salva e unisce

Tutto l’episodio seguente ci indica una via. I dodici infatti si rendono conto che c’è un bisogno elementare di questa folla, una fame anche di pane, non solo quella di ascoltare la Parola di Dio e di essere finalmente guariti. Ed essendo nel deserto, l’unica soluzione pratica e organizzativa che vedono è quella di interrompere l’ascolto della Parola e l’azione risanante di Gesù, perché le folle vadano altrove a procurarsi da mangiare.

Gesù invece vuole tenere insieme le cose e chiede ai dodici di trovare loro una soluzione che permetta alla folla di rimanere. “Voi stessi date loro da mangiare”. I dodici devono constatare la loro insufficienza: non hanno che pochissimi pani e pesci per una folla così numerosa.

E mi chiedo: non è la stessa constatazione che facciamo noi davanti alla sterminata missione della Chiesa che vorrebbe andare incontro al bisogno di tutta l’umanità di verità, di amore concreto, di vita dignitosa, di un lavoro, di una casa, di cibo? Sono ancora centinaia di milioni le persone che non conoscono il Cristo da vicino, che non hanno diritti o che rischiano la vita a causa delle tante ingiustizie, violenze, abusi, fame, malattie, ignoranza.  Povertà spirituale, povertà morale, povertà materiale si intrecciano nelle vite di tanti che sono nostri fratelli, creati dal Padre come noi con gli stessi diritti e lo stesso valore!

Anche noi ci sentiamo impotenti come i dodici. Ma Gesù prende l’iniziativa e compie un miracolo. Ma non fa tutto lui, come una specie di grande magia! Gesù vuole avere bisogno di quel poco che abbiamo a disposizione e vuole che lo mettiamo nelle sue mani, lo lasciamo benedire da lui e spezzare a tutti, condividendolo, in modo che ce ne sia per tutti. Nessuno deve accumulare, nessuno deve approfittarsene.

Il miracolo è triplice: la moltiplicazione del pane, la disponibilità umile a condividere il poco che c’è e la comunione che si crea tra tutti. L’immagine finale è quella di un’assemblea ordinata, dove vive la giustizia e scorre la carità: ce n’è per tutti, anzi ne avanzano tante ceste.

Ci sembra di vedere qui il fondamento di quello che accade nella Chiesa originaria: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno”. (At 4, 32-35)

 

Solo l’Eucaristia genera la Chiesa comunione

Dall’Eucaristia nasce così la Chiesa. La Chiesa però deve conservare l’impronta che le dà l’Eucaristia: dalla liturgia deve nascere la condivisione, la cura per il fratello, chiunque egli sia, l’impulso a raccontargli e testimoniargli il vangelo dell’amore di Cristo, dal quale nulla potrà mai separarci. La Chiesa deve conservare l’atteggiamento del condividere e dell’edificare continuamente la comunione fraterna, se vuole essere fedele all’Eucaristia.

Guai per noi se chiudiamo le porte, se alziamo muri, se tiriamo fili spinati, perché perderemmo la potenza miracolosa di Gesù tra noi, rimarremmo solo con le nostre forze a dover affrontare problemi immensi. Certo chi non ha fiducia nella potenza dell’Eucaristia, quindi del Signore Risorto che rimane in noi, ha paura. Teme per tutte quelle cause che potrebbero portargli via il benessere, le sicurezze, le sue abitudini; si rinchiude nel suo nido e blinda la sua casa.

Ma tra noi non è così. Nutriti dal Corpo e dal Sangue, cioè dalla persona e dalla vita del Signore Risorto, abbiamo il coraggio di entrare in comunione con tutti, mettendo il poco che abbiamo e che siamo a disposizione. È un ideale alto, ma non impossibile per chi crede.

Le nostre parrocchie, le nostre Caritas parrocchiali, le nostre opere caritative diocesane o parrocchiali, sono già un frutto dell’Eucaristia, nella loro storia hanno già fatto miracoli verso tantissimi poveri della nostra terra e oggi anche provenienti da terre lontane. L’Eucaristia ben celebrata ci permette di esercitare la carità in nome di Cristo e di accogliere nella comunione ecclesiale tutti i nostri fratelli dispersi e alla ricerca di Dio.

 

L’Eucaristia spinge la Chiesa di Ravenna – Cervia alla missione?

Voglio però sottolineare un aspetto sul quale dobbiamo ancora crescere: la nostra carità in questo momento storico è chiamata anche alla condivisione di mezzi e persone con altre Chiese in territori di prima evangelizzazione o di missione, come la Chiesa di Carabayllo in Perù. Non è un impegno questo, ma una grazia, che vorremmo avere ancora più abbondante. Un dono che più accogliamo più farà crescere la Chiesa sorella e la nostra Chiesa qui a Ravenna Cervia, dotandola di un fervore nuovo per l’evangelizzazione dei nostri concittadini. Ricordiamo che “è dando che si riceve”; e che il Signore ha detto “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Rilancio quindi, in vista della nostra missione, ai nostri preti, ai diaconi, ai consacrati, ai laici, giovani e meno giovani, l’appello a rendersi disponibili a sostenere il cammino già avviato. Anche per tempi determinati. Ci è stata affidata laggiù una grande parrocchia con alcune piccole comunità vive e attive, che però sono solo una percentuale minima della popolazione. C’è bisogno, di persone oltre che di mezzi. Con le offerte di questi due anni abbiamo messo insieme quasi già abbastanza per costruire la casa parrocchiale. Anche per qualche minima opera parrocchiale per i ragazzi e i giovani potremo provvedere nei prossimi tempi, ma non è questo che ci preoccupa.

È vero che siamo una diocesi non grande, non abbiamo tantissime persone a disposizione, ma se a Gesù bastano cinque pani e due pesciolini per sfamare il bisogno di migliaia di persone, alla nostra missione bastano poche presenze, ma convinte e disponibili al dono di sé e potremo realizzare la missione ricevuta!

 

+Lorenzo, Arcivescovo