Corpus Domini – 15 giugno: “Una Chiesa che ricorda e che rende grazie”

20-06-2017

Corpus Domini, l’omelia dell’Arcivescovo

 

 

Abbiamo ascoltato dal libro del Deuteronomio: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore” (Deut 8,2)

Anche la nostra Chiesa diocesana ha bisogno di ricordare tutto il camino che il Risorto, suo Sposo e Signore, le ha fatto percorrere in questi anni. Tanti episodi nei decenni che si sono succeduti nel secolo scorso e in questo, possono essere visti come esperienze di deserto dove i fedeli, preti e vescovo compresi, sono stati messi alla prova, umiliati. Ma altrettanti episodi possono essere interpretati come fatti prodigiosi nei quali il Signore, Risorto e vivo, ha fatto sgorgare acqua dalla roccia o manna dal cielo, là dove le risorse umane erano finite e si sperimentava l’impotenza. Anche in questi giorni è così.

La stessa dinamica pasquale si ripeterà per tutta la storia: esperienze di morte che si convertono in esperienze di vita, ricchezza che diventa povertà e povertà che diventa ricchezza, debolezza che diventa forza e viceversa. Solo con gli occhi della fede si può vedere all’opera nella vita della Chiesa la legge del chicco di frumento che produce frutto solo se muore a se stesso (Gv 12,24). La liturgia del Corpus Domini ci fa riascoltare quello che l’autore deuteronomista, ispirato dallo Spirito di Dio, diceva al popolo tornato dall’esilio. C’è una provvidenza di Dio anche nel tempo della fame e della sete, del deserto e dei pericoli minacciosi del mondo esterno. Egli ci sta educando a invocare dall’alto quello che le nostre forze non possono ottenere. Più siamo a rischio di sopravvivenza e più egli escogita doni inaspettati e improbabili, come la manna che nessuno conosceva né si aspettava.

Faccio un esempio: quante volte preghiamo per le vocazioni sacerdotali e religiose, perché siano sante, fedeli, perseveranti e…possibilmente tante! Eppure il Signore ci sta rispondendo con doni belli ma diversi: la nostra Chiesa sta crescendo nei laici, negli operatori pastorali, nei nuovi catechisti e educatori, nei ministeri di fatto, nei diaconi. Si conferma la disponibilità sempre grande delle donne, ma si aggiungono anche degli uomini, delle coppie di sposi che si impegnano insieme per “riparare e sostenere” la nostra Chiesa, come un giorno il Signore chiese a San Francesco. Stiamo ringraziando il Signore per questi doni? Sappiamo fare il giusto spazio alla loro presenza nella comunità cristiane, nelle parrocchie? Mettiamo a loro disposizione non solo i nostri riti ripetuti, anche qualche Messa un po’ stanca, ma il nostro bagaglio spirituale, biblico, teologico?

Celebrare Eucaristie che convertono

Nel momento in cui celebriamo con solennità il Corpo e il Sangue che il Signore Risorto ci ha lasciato, possiamo anche fare un passo in avanti. Perché non partire dalla Liturgia, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, alla quale far partecipare pienamente, con una presenza viva, attiva, consapevole, i nostri laici? Nel celebrare l’Eucaristia abbiamo l’intento di fare gesti, dire parole o preghiere che colpiscano al cuore e facciano interrogare i giovani e gli adulti, sul centro di tutta la vita cristiana? Riusciamo, preti e fedeli insieme, a far percepire che da quella partecipazione ne va della nostra vita eterna e della risurrezione nell’ultimo giorno? Noi, vescovo e preti, che abbiamo l’onere della presidenza, siamo coscienti della drammaticità di ciò che stiamo facendo e dell’assoluto bisogno che i fedeli hanno di un’Eucaristia celebrata col cuore e con la testa, senza evocare scenari antichi né attualizzazioni estemporanee? I riti, i paramenti, gli oggetti per la liturgia, i ministranti, le nostre attenzioni ai movimenti intorno all’altare e nell’assemblea, i pochi silenzi, le tante foto, gli applausi e le chiacchiere, ecc. non so se aiutano a vivere la drammaticità delle parole di Gesù: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.” Perché anche l’andare a messa o il presiedere la messa, può diventare solo un rito tranquillizzante, una abitudine buona ma che non ci scava dentro nulla, che non ci fa uscire con una percezione del nostro stare davanti a Dio Padre in modo nuovo rispetto al giorno prima, con una maggior coscienza della sua presenza viva e provocante, oggi più che ieri, questa domenica più che quella passata.

Si dovrebbero cambiare le parole finali del rito dicendo “la messa non è affatto finita!”, anzi adesso comincia la buona battaglia per conservare la fede! “Non andate affatto in pace”, ma lasciatevi inquietare dalla presenza potente dello Spirito che è in voi, del Cristo che si è fatto vostro nutrimento e bevanda, perché abbiate la forza per testimoniarlo davanti al mondo, con delicatezza e rispetto (1Pt 3,15), ma anche con coraggio e fortezza. Come si fa ad uscire da messa con gli stessi atteggiamenti e gli stessi sentimenti di prima, se uno crede che nell’Eucaristia ha incontrato e incorporato il pane vivo disceso dal cielo; un pane che se accolto con coscienza piena e disponibilità dà la vita eterna; un pane che è la carne di Cristo offerta per la vita del mondo? Se usciti da messa non siamo cresciuti almeno un po’ nel desiderio di diventare come Cristo, di stare con Lui, di vivere per Lui, la nostra eucaristia non è stata efficace, non abbiamo fatto nessun incontro!

Dall’Eucaristia nascono i discepoli–missionari

Dice Papa Francesco: “La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Questa convinzione si trasforma in un appello diretto ad ogni cristiano, perché nessuno rinunci al proprio impegno di evangelizzazione, dal momento che, se uno ha realmente fatto esperienza dell’amore di Dio che lo salva, non ha bisogno di molto tempo di preparazione per andare ad annunciarlo, non può attendere che gli vengano impartite molte lezioni o lunghe istruzioni. Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: « Abbiamo incontrato il Messia » (Gv 1,41).”

È stato detto che l’Eucaristia fa la Chiesa, ed è vero come scriveva Paolo ai Corinzi: “Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane”(1 Cor 10,17) . Ma l’Eucaristia fa la Chiesa non solo per l’opera straordinaria del Cristo risorto che ci nutre di se stesso, legandoci nell’unica appartenenza a lui e nella fraternità tra noi. L’Eucaristia fa la Chiesa anche perché essa proietta i “toccati dalla sua Grazia” verso le strade del mondo, verso tutti i figli di Dio, anche i più lontani, i più peccatori, anche i persecutori e i nemici. Quanti nostri fratelli o sorelle lontani, ma che spesso abitano vicinissimi a noi, hanno bisogno di salvezza! Sono a rischio di morte, catturati nelle reti del mondo e del maligno: li lasceremo affondare? Anche coloro che sono in ricerca o hanno altre credenze religiose e hanno in comune con la fede cristiana qualche elemento di verità o di amore praticato, hanno bisogno di conoscere Gesù Cristo, perché solo Lui è la via per arrivare con sicurezza a Dio, solo Lui è il vero volto di Dio Padre, Lui è l’unica possibilità di una vita piena ed eterna. La missione non sarà fare proseliti, ma non deve essere rinuncia a mostrare un volto gioioso, una mano sempre pronta, una parola precisa, una amicizia sempre offerta, un accogliersi gli uni gli altri come Cristo ha accolto noi; e tutto per la sola gloria di Dio (Rm 15,7). Lo sappiamo, se non saremo missionari – e non solo in Perù, ma anche qui tra la nostra gente della Romagna – non potremo dirci discepoli e la presenza di Cristo in noi pian piano svanirà.

Non abbiamo paura della missione! Non esitiamo a divenire discepoli–missionari! Lui in noi sarà forza e luce, vita della nostra vita: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”.

 

+ Lorenzo, Arcivescovo