Assemblea Diocesana – 20 settembre

30-07-2014
Assemblea Diocesana
 
Ravenna, Parrocchia dei SS. Simone e Giuda,
 
20 settembre 2014
 

Parrocchie: cantiere aperto
Formarsi alla missionarietà, per aprire nuove porte alle nostre comunità 
 
Saluto tutti con affetto e vi ringrazio della presenza a questa tappa iniziale dell’anno pastorale che ci vede ancora impegnati a proseguire sulle esigenze pastorali già rilevate nello scorso anno e confermate negli incontri preparatori soprattutto con i responsabili degli uffici pastorali diocesani. A loro va un grazie particolare.
 
Un grazie a voi operatori pastorali che siete così presenti e attenti nelle vostre comunità e siete dei veri collaboratori nella diffusione del Vangelo, con carismi piccoli o grandi, ma tutti necessari alla vita della nostra Chiesa. Siete tutti desiderosi di far crescere la Chiesa, Corpo di Cristo, con un’ansia missionaria che ho sentito tante volte nelle parrocchie e negli incontri di gruppi, associazioni, movimenti.
 
Come tutte le Chiese in Italia, anche noi siamo una Chiesa in salita: si fatica, ma ad ogni passo si apre più luce, il panorama è più ampio, l’aria più pura. Più il popolo di Dio punta verso l’alto, più si rinnova, più è vicino a Dio e in grado di essere luce del mondo e sale della terra!
 
La vocazione missionaria: la stiamo scoprendo dentro tutti noi, dopo che Papa Francesco ci ha chiamati tutti all’appello. Ci siamo accorti che stavamo dimenticando una parte di noi stessi e che correvamo il rischi di asfissiare: come i polmoni hanno bisogno di inspirare e poi di espirare; come il cuore ha bisogno di attirare a sé il sangue venoso e di spingere fuori il sangue arterioso, così le nostre comunità cristiane hanno bisogno di raccogliersi nella comunione e di espandersi nella missione. E’ la vocazione missionaria che abbiamo tutti e che ci fa veramente cattolici, cioè universali, aperti al mondo intero.
 
È da oltre un anno che in diversi momenti ho sottolineato la necessità della conversione missionaria della nostra Chiesa di Ravenna-Cervia, non solo perché siamo in un territorio in parte scristianizzato o reso indifferente dalla sterilità delle ideologie ottocentesche e dalla ottusità che viene generata dal benessere; ma anche perché la missione è parte della nostra vocazione cristiana! I discepoli, – quindi anche noi qui presenti –, vengono chiamati a stare con Gesù e subito vengono mandati (Mc 3,14-15); e non solo i 12 ma anche gli altri 72:
 “Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi chi lavori nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.” (Lc 10,1ss)
E come ci ha indicato la Chiesa italiana già da qualche tempo, il modello pastorale da seguire è quello della missio ad gentes.
 
Non è un caso se dopo la bella esperienza di una decina di giovani nella diocesi di Carabayllo in Perù questa estate, cercheremo in questo anno pastorale 2014/15 di giungere un accordo con il Vescovo Lino di quella Chiesa per andare a collaborare in un centro pastorale, con un piccolo gruppo che partirà, speriamo, già la prossima estate. L’avere come Chiesa diocesana una base su un territorio di missione dove c’è da impiantare la Chiesa, ci deve tenere svegli e pronti, e richiamare alla nostra vocazione missionaria, da vivere qui tra i nostri concittadini neo-pagani o non credenti, che hanno bisogno di un nuovo annuncio.
 
Ecco il motivo del titolo che dovrebbe farci da obiettivo generale in questo anno pastorale.
 
Parrocchie: cantiere aperto.
Formarsi alla missionarietà, per aprire nuove porte nelle nostre comunità.
 
I – Prima domanda: perché “aprire nuove porte nelle nostre comunità”?
Per uscire!
 
Perché vogliamo accogliere l’Esortazione apostolica di Papa Francesco che abbiamo adottato come la nostra Lettera Pastorale, inviata proprio a noi Chiesa di Ravenna-Cervia!
E il Papa dice nella Evangelii Gaudium: n. 27:
Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’auto-preservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale». (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Oceania (2001), 19).
 
E qui dobbiamo approfondire la domanda: Le nostre parrocchie sono già missionarie?
 
Pensano a quelli di fuori o a quelli di dentro? Hanno consuetudini, orari, linguaggi, modi di avvicinare o accogliere le persone che si adattano, o chiedono alle persone di adattarsi a ciò che viene attuato, magari da diversi anni? Si tende a fare proposte che sono ripetitive perché hanno funzionato nel passato, raccogliendo le persone attorno al campanile? Ci sono schemi di mantenimento della religiosità nei comportamenti esteriori che si ripetono, perché pastori e operatori pastorali non hanno mai cercato di trovarne dei nuovi? 
 
Per es. si considera come inevitabile la fuga dei ragazzi dopo la cresima, come una emorragia senza rimedio, che non è colpa nostra, senza preparare cammini ed educatori adatti ai ragazzi di oggi? Ci si accontenta di un solo incontro preparatorio al battesimo dei bambini anche con genitori non praticanti che potrebbero fare altri passi nella conoscenza del vangelo?  Non si allarga la cerchia dei collaboratori nell’illusione che chi fa da se fa per tre, cercando una efficienza che però non fa crescere la Chiesa?
 
Ci si accontenta delle partecipazioni alle feste tradizionali e devozionali e non si propone la conoscenza della Scrittura nei gruppi, nelle case, nelle piazze?
Lasciamo che tutte le coppie cristiane convivano per uno o più anni prima di sposarsi nel Signore e facciamo solo festa quando finalmente vengono in Chiesa, senza tornare ad annunciare la differenza che opera il sacramento rispetto al legame affettivo?
Si fa un po’ di beneficienza ai soliti cercatori, e non si impianta un centro di ascolto caritas per l’annuncio del vangelo della carità?
Si tengono aperti bar, circoli, associazioni sportive, impianti di ristorazione che scorrono paralleli alla vita della comunità cristiana e non sono più luoghi educativi?  Lasciamo spazio, per pigrizia o perché non possiamo prendere dappertutto, anche a laici non formati che occupano i nostri ambienti e se li gestiscono come proprietari, resistono a qualsiasi proposta formativa o spirituale, ci lucrano sopra e non sostengono né la parrocchia né le missioni, e alla fine per liberarci dobbiamo fare una causa?
 
Lasciamo che alcuni adulti impegnati in politica, ma poco formati, diffondano le loro idee non coerenti con la dottrina sociale della chiesa o con la morale cristiana, in base alle nostre simpatie politiche, così dividiamo anche i pochi praticanti (il cattolico adulto, il cattolico leghista, il cattolico libertario, il cattolico animalista…)? Ecc. ecc.
Come si fa a non accorgersi che sta cambiando l’ambiente culturale nel quale in cristianesimo si deve incarnare oggi: la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, il pluralismo etico e anche religioso, la crisi della famiglia, la cultura dello scarto…?
 
Una parrocchia in uscita, in stato di missione, apre gli occhi su questi fenomeni generali – che però toccano tutti – e si apre a questo tipo di uomo e di donna che ha davanti, alle nuove dinamiche civili e sociali nelle quali è immersa e prova ad aprire nuove porte. Prova ad aprire nuove vie e a trovare nuovi agganci con le persone. Evidentemente o lo fa coinvolgendo tutti come Chiesa e con la Chiesa tutta, e ha qualche possibilità di efficacia, o se pensa di delegare il clero o i responsabili di associazioni o movimenti o qualche personaggio più intraprendente più carismatico o più generoso, non ce la farà a raggiungere questo obbiettivo.
 
(in allegato il documento integrale)
 
 
 
+Lorenzo G. Arcivescovo