Anniversario di don Giussani e di CL – 20 febbraio: “La misericordia è nella nostra storia”

20-02-2016

Anniversario di don Giussani e di CL

 

Ravenna, 20 febbraio 2016

 

“La misericordia è nella nostra storia”

La misericordia “resta l’ultima parola”

La misericordia “resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia”, abbiamo sentito nella presentazione dell’intenzione di questa celebrazione eucaristica, nell’anniversario della morte di don Luigi Giussani e del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione, nella vigilia della II domenica di Quaresima. 

E davvero siamo in un frangente storico che ci fa condividere – e ci fa soffrire – le tante violenze, abusi, ingiustizie che si stanno producendo in Siria, in Iraq, in Nigeria, in Oriente e nel Sud del mondo. A queste situazioni si aggiungono quelle parti di umanità che rimangono in condizioni di povertà, di ignoranza, di privazione di quei diritti umani o di quelle possibilità che altri hanno in abbondanza, non ultimo il Messico appena visitato dal Papa. Sono fatti che non avvengono lontano da noi, ma dentro la “nostra casa comune”, come l’ha chiamata Francesco nella Enciclica “Laudato sii”.

E se costatiamo la nostra impotenza a operare perché siamo piccoli di fronte a eventi così grandi e drammatici, o di fronte a interi sistemi sociali e politici basati solo su logiche mondane, vediamo anche però le freddezze e i calcoli di molti di coloro che hanno responsabilità e poteri importanti e che non intervengono per costruire o ristabilire il bene, la giustizia, la dignità di tutti. Anche i grandi network della comunicazione spesso concentrano i loro obiettivi solo su certi fatti, selezionando le informazioni da dare all’opinione pubblica o caricandoli di interpretazioni funzionali ai loro fini.

Se è vero che gli uomini rischiano sempre di adattarsi, divenendo complici delle brutte derive che prende la storia nei loro giorni, nessuno di noi oggi può dire di non sapere, nessuno può deresponsabilizzarsi di fronte a ciò che avviene “in casa nostra”, dentro la grande famiglia dei popoli.

Sono tanti i nostri fratelli che stanno portando una croce pesante!

Chi ci libererà?

E aggiungo una considerazione. I tanti sforzi, anche eroici, di molte persone per diffondere una cultura diversa, per realizzare condizioni di vita degne, per provvedere ai bisogni più urgenti o a curare le ferite che il mistero del Male continua a infliggere al corpo infermo dell’umanità, non riescono a risolvere i problemi. Anche noi cristiani, che siamo sempre stati e siamo all’origine di molte opere importanti a favore dell’uomo, collaborando e lottando insieme a tante persone di buona volontà, non riusciamo a sanare e a salvare il mondo completamente. Il “già” che si realizza è sempre inferiore al “non ancora” a cui aspiriamo. E ciò avviene a livello globale, ma anche a livello delle nostre comunità o delle nostre stesse persone.

Chi ci “libererà da questo corpo di morte”, come dice Paolo (Rom 7,24s) e da questo mondo segnato “dalla corruzione del peccato e della morte” (Preghiera Eucaristica IV)?

La diagnosi di Paolo nella II lettura di oggi (Fil 3,17 – 4,1) è altrettanto forte e negativa: “Molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra.” 

Abbiamo bisogno di un Salvatore, più potente di noi, più potente del Maligno, più potente delle strutture di peccato e di morte che dominano nel mondo. Abbiamo bisogno di uno che abbia la capacità di salvare e guarire un mondo che non si è meritato di essere curato e liberato. Qualcuno che sia tanto potente quanto capace di volere il bene di tutti noi, anche se nessuno di noi è giusto. Perciò anche un Dio potentissimo e giustissimo, in queste condizioni ci farebbe solo paura, e gli rivolgeremmo la parola intimorita di Pietro a Gesù dopo la pesca miracolosa: “Signore allontanati da me, che sono un peccatore!” (Lc 5,8)

Abbiamo bisogno di un Salvatore divino che sappia prima usare l’antidoto della misericordia, per liberarci dai veleni del peccato, per sciogliere le catene dell’iniquità, per donarci un cuore nuovo e uno spirito nuovo. E una volta rinnovati e resi giusti da Lui – perche graziati e non condannati –, potremo a nostra volta esercitare una giustizia nel mondo che lo rinnoverà, come il fermento con la pasta.

L’episodio della trasfigurazione (Lc 9,28-36) ci annuncia questo: il Salvatore è qui! La sua luce vince le tenebre. Il Risorto ha vinto la morte. Il Figlio amato ci porta le parole d’amore del Padre, ascoltiamolo! Seguiamolo, anche se si profila l’ombra di una croce anche per noi e la necessità della rinuncia a noi stessi, perché il cammino ci porterà alla trasfigurazione.

E Paolo può annunciare con verità ai Filippesi: “La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.” (Fil 3, 20s)

La misericordia è nella storia

È la sua misericordia che ha sempre risollevato la storia dell’umanità dopo le cadute, come sappiamo dalla storia di salvezza che ha tenuto in vita il Popolo della Antica Alleanza fino alla venuta del Signore Gesù.

Israele ha fatto mille volte l’esperienza del Dio paziente e misericordioso. Ha capito grazie ai patriarchi e ai profeti che il Dio dei Padri era un Dio che voleva fare Alleanza. Progressivamente hanno compreso che egli non chiedeva in cambio l’osservanza perfetta della Legge, cosa che sarebbe stata impossibile, ma chiedeva solo una fiducia illimitata in lui, uno sperare contro ogni speranza, come aveva fatto il padre Abramo (I lettura, Gen 15, 5-12.17-18) e le promesse si sarebbero realizzate, la salvezza sarebbe arrivata. “Eterna è la sua misericordia” (Sal 136), cantano nei salmi i credenti di Israele, certi che eterno è e sarà il suo amore per noi!

Ma in Gesù, il Padre è andato ancora oltre. La sua misericordia si è fatta carne. Nella persona di Gesù di Nazaret ha assunto la nostra umanità malata, paralizzata, cieca, zoppicante, dominata dai demoni e, non commettendo peccato, ha permesso alla sua umanità perfetta di vincere il male col bene, di realizzare per la prima volta pienamente il disegno del Creatore su quella creatura concepita a sua immagine e somiglianza. Il vero Adamo è lui, Gesù di Nazaret.

Poi nell’eccesso della sua misericordia, si è offerto con tutta la sua persona per portare il peccato del mondo e liberare l’umanità di ieri, di oggi e di sempre dalle sue conseguenze mortali. Sulla croce ha compiuto il più alto atto di misericordia. Atto a cui non era tenuto, ma che ha voluto compiere per pura grazia! Ci ha voluto restituire la libertà e la capacità di amarci e di donarci a nostra volta. Ha voluto non solo portare via il nostro peccato, ma ci ha voluto ridare la possibilità di vivere l’amore in tutte le sue espressioni: il dono, il servizio, la fedeltà, la sincerità, le generatività, il perdono, l’offerta di sé per i fratelli fino in fondo, anche fino al sangue.

La misericordia è nella Chiesa

I discepoli del Signore Gesù, sia quelli di allora, sia quelli di oggi, sono chiamati dal suo stile di vita mite e umile di cuore, prima ancora che dalla sua parola, ad essere misericordiosi, per essere beati e per trovare misericordia; a perdonare settanta volte sette il fratello che li offende, per essere simili al Padre dei cieli che fa piovere e sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, e per attirare tutti a Lui. Nella sua casa infatti c’è un posto per ciascuno, c’è l’accoglienza e la festa pronta per tutti i figli, c’è un banchetto abbondante e una dignità regale preparata per tutti.

La Chiesa vive di questa misericordia quando si nutre della Parola di Dio, quando si abbevera all’Eucaristia, quando si ristora al sacramento della Riconciliazione, quando tutti si affidano alla Carità dei fratelli. Certo siamo un popolo di peccatori, ma perdonati; di poveri, ma arricchiti; di piccoli, ma resi sapienti dalla esperienza della paternità amorevole del Padre. La nostra umanità rinasce non solo dal Battesimo, ma da ogni atto di grazia che scende dal Padre e che passa attraverso la carità fraterna, da ogni gesto di riconciliazione e di perdono. Come dice don Giussani, la misericordia “sola permette il cammino di un popolo, perché solo in essa si può generare”. Solo in essa la Chiesa si può rigenerare e generare nuovi figli, adempiendo così la sua missione di portare l’amore di Dio a tutti i suoi figli dispersi e di riportarli all’unità.

Invochiamo il Dio misericordioso e pietoso che ha offerto il suo Figlio amato in sacrificio per noi, affinché nel pellegrinaggio giubilare, simbolo della nostra vita, ci venga incontro ancora una volta, ci abbracci, ci metta i calzari ai piedi, l’anello al dito e ci faccia festa perché eravamo morti e ci ha fatti tornare in vita. Ma ci doni anche un cuore accogliente e pronto alla carità concreta coi fratelli allontanati e perduti, ci faccia misericordiosi come lui, il Padre.

 

+Lorenzo, Arcivescovo di Ravenna–Cervia