Vita Consacrata. Testimonianza di Simone Gulmini

Vita Consacrata. Testimonianza di Simone Gulmini

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 5/2012
 
Pubblichiamo la testimonianza di Simone Gulmini, un giovane della Parrocchia di Dogato (Vicariato di Portomaggiore) che il prossimo 23 giugno sarà ordinato sacerdote nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Simone il 25 giugno 2011, sempre in S. M. Maggiore, è stato ordinato diacono della Fraternità Missionaria S. Carlo per l’imposizione delle mani di S.E. mons. Rino Fisichella. Attualmente è in comunità a Fuenlabrada, una città di 250 mila abitanti situata alla periferia di Madrid.
Dogato, paese di poco superiore alle mille anime nel comune di Ostellato, è stato il luogo della mia infanzia e adolescenza fino ai 21 anni.
Nessuno dei miei cari è mai stato praticante. La passione per la campagna e tutto ciò che ne deriva, dalla pesca alla caccia, era cosa che mi distingueva da mio fratello Marco e dagli amici che preferivano la via del bar.
Al pomeriggio andavo al doposcuola delle suore del paese, le stesse che mi hanno insegnato il catechismo.
Di venti ragazzi rimasi l’unico che per diverso tempo continuò ad andare a messa. Andavo e mi fermavo in fondo alla chiesa nei pressi della porta d’entrata. Fu in occasione di una di queste messe che all’omelia del sacerdote mi misi a piangere. Le parole di quel sacerdote anziano (Don Antonio Turci) mi toccarono le corde del cuore. Sentire parlare di un uomo che aveva dato la vita per me e per il mondo era cosa da far accapponare la pelle anche ad un ragazzino di dodici anni. Qualcosa era successo. Fu questo il primo segno della mia vocazione. Passai alle scuole superiori con una sufficienza risicata. Frequentai l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Artigianato di Ostellato. Con l’accrescersi della mia esperienza lavorativa mio padre mi affidò responsabilità sempre maggiori facendomi passare dalla zappa alla guida del trattore.
A 16 anni iniziai a praticare l’atletica leggera. Vinsi un titolo italiano nei 5000 metri su pista ai Campionati Italiani Universitari e andai alle Universiadi di corsa campestre in Germania. Terminate le scuole superiori a 18 anni, ero ancora convinto di lavorare i nostri 40 ettari di terra ma la passione per l’atletica leggera prese il sopravvento. In attesa dei tempi cronometrici giusti, un amico mi suggerì di continuare gli studi per fare il rinvio militare e quindi prendere tempo. Scelsi Scienze Naturali. Terminato di studiare mi infilavo le scarpe da corsa e via.
I miei genitori decisero, per motivi di lavoro, di andare a vivere a Ferrara e più precisamente a Malborghetto di Boara. Con il passare del tempo mi prese una certa inquietudine. Qualsiasi cosa facessi non mi soddisfava.
Andavo in discoteca con gli amici, combinandone di tutti i colori e ogni volta tornavo a casa triste. Uscivo con l’una o con l’altra compagnia nel desiderio di stare assieme ma non riuscivo mai a stare veramente con qualcuno. Lo scopo di ogni uscita era dimostrare all’altro quanto si fosse grandi e quanto si fosse capaci con le ragazze, il tutto per il semplice fatto di farsi accettare nella compagnia. Ricordo che di ritorno dalla discoteca un senso di vuoto era ciò che mi assaliva. Una nausea.
Un giorno mi recai in una libreria per cercare un libro che parlasse della felicitá. Volevo capire cosa fosse e dove potevo incontrarla. Fu così che a 21 anni lessi il mio primo libro per intero. Il titolo del libro era ‘Le ali della felicità’. Questo fu l’inizio della mia ricerca. Passai da autori come Novalis a Tolstoj, da Jack London agli autori della beat generation come Kerouak, Bukowsky, dai poeti maledetti come Boudelaire, Rimbaud e Verlaine a Castaneda. Tutti libri di autori con una grande domanda ma solitari e sognatori, la maggior parte dei quali morti tristi.
Questa domanda, questo desiderio, questa sete di capire mi aveva stimolato anche nello studio. Ero perennemente alla ricerca di una risposta su cosa potesse soddisfare il mio desiderio, su chi fosse l’uomo e che senso avesse la vita. A me interessava me stesso e con me stesso l’uomo.
Scelsi di fare la tesi nell’unica materia che nel piano di studi della facoltà avesse a che fare con l’uomo e cioè l’antropologia fisica e di conseguenza l’archeologia preistorica. Studiai l’evoluzione dell’uomo e riuscii quasi a convincermi che la scienza potesse essere l’unica a darmi una risposta sull’uomo, su chi sono, da dove vengo e dove vado.
Fu in un momento di piena crisi che decisi di riprendere in considerazione le parole che quel prete pronunciava dal pulpito e in grado ti toccare le corde del cuore di un ragazzino di dodici anni. Decisi di mettermi nell’ipotesi che quel prete potesse avere ragione. Ciò che fino a quel momento avevo accantonato diventava ora ipotesi positiva di ricerca. Ricordo come se fosse ora il momento preciso in cui ciò accadde. Mi trovavo in aperta campagna a raccogliere degli insetti per il mio camaleonte. Ricordo la luce rossa del tramonto e il profumo della paglia. Il giorno seguente andai in libreria a comperare qualche libro religioso perchè di Gesù non mi ricordavo più nulla. Ma Gesù non lo si può incontrare appena sui libri. Ciò che mi servì fu imbattermi in universitá in un volantino che in quel momento mi risultò provocante. Il titolo del volantino era ‘Non basta essere nati per vivere’. Il volantino terminava con l’invito alla presentazione del libro di Don Giussani intitolato ‘Il senso religioso’. Ci andai. Rimasi folgorato: quel libro, quelle persone stavano parlando di me, della mia domanda di felicità. Ora non ero più l’unico ad averla, non ero più solo. Immediatamente andai al banchetto per acquistare il libro.
La ragazza del banco libri mi chiese chi ero, mi fece conoscere altre persone e mi invitarono a cena la sera stessa. Andai e fu una cena stupenda. Iniziarono con un canto e terminarono con una preghiera. Durante la cena, quando uno parlava gli altri ascoltavano. Non avevo mai visto una cosa del genere. Ero l’ultimo arrivato eppure mi sentivo a casa. A distanza di un mese ero già agli esercizi spirituali per i giovani universitari che si tengono ogni anno a Rimini. Piansi come un bambino e capii che dovevo restare con quelle persone per trovare la risposta alle mie domande.
Non passò molto tempo che una sera, mentre tornavo a casa in bicicletta dagli allenamenti mi venne in testa l’ipotesi del sacerdozio. Ricordo che sul subito l’idea mi spaventò, ma non mi abbandonò più e a distanza di poco tempo era diventato un pensiero felice. Però ero fidanzato. Nel Duemila partii per il militare, destinazione Gruppo sportivo dell’Aeronautica. Un anno da professionista. Tornai dal militare, mi laureai e iniziai a lavorare nell’ambito educativo presso dei centri di aggregazione giovanile situati in diversi comuni del basso ferrarese.
Intanto il rapporto con Sara si incrinò e ci lasciammo. Lasciai anche la casa dei miei genitori e decisi di andare ad abitare con altri tre amici del movimento, in centro città. Insegnai un anno presso un Centro di Formazione Professionale e dopo un anno e mezzo di verifica vocazionale capii di essere chiamato al sacerdozio.
Fu così che nel 2005 al Meeting dell’amicizia fra i popoli che si tiene ogni anno a Rimini incontrai l’allora rettore della Fraternità, che mi invitò a Roma a parlare con il Superiore Generale Don Massimo Camisasca il quale diede il suo consenso e io entrai.
Simone Gulmini