La Chiesa che non tace

La Chiesa che non tace

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 47/2011
 
Venerdì 16 dicembre al ridotto del teatro Alighieri di Ravenna, alla presenza di un pubblico attento ed interessato, Mons. Domenico Mogavero, vescovo della diocesi di Mazara del Vallo (TP) e Commissario della Cei per l’immigrazione, ha presentato il suo libro ‘La Chiesa che non tace’ in cui il prelato solleva un grido di protesta contro l’intollerabile situazione dei migranti, abbandonati sulle coste italiane in condizioni di tragica miseria. Erano presenti: Marcella Nonni (direttore organizzativo di Ravenna Teatro), Angelo Nicastro e Franco Masotti (direttori artistici di Ravenna Festival), Valter Fabbri, presidente della Società Romagnola di Mutuo Soccorso, moderatore della serata. Ha portato il suo saluto l’Arcivescovo di Ravenna, Mons. Giuseppe Verucchi felice di accogliere un amico e un vescovo con il quale ha lavorato nella Cei e con il quale ha avuto occasione di confrontarsi anche sul tema dell’immigrazione.
La serata è stata l’epilogo della tre giorni di spettacolo teatrale dal titolo ‘Rumori di Acque’, un monologo, definito dall’autore Marco Martinelli un ‘oratorio dei sacrificati’ dove Alessandro Renda interpreta un generale-traghettatore di anime che tiene il conto dei morti annegati nel tentativo di raggiungere l’Europa dalle coste dell’Africa, accompagnato dai musicisti siciliani Enzo e Lorenzo Mancuso, con le loro potenti voci di satiri antichi. Una fantomatica isoletta situata in quella striscia di mare sede negli ultimi quindici anni di una devastante tragedia: lì, in quella vulcanica e ribollente porzione di terra vive un solo abitante, un generale dai tratti demoniaci e dagli occhi lampeggianti. In relazione a un altrettanto fantomatico Ministro dell’Inferno, pratica la ‘politica degli accoglimenti’: l’isoletta è abitata dagli invisibili spiriti dei morti e dei dispersi in mare, i rifiutati, che il generale accoglie e stiva nella sua isola-zattera. Ognuno di loro è un ‘numero’, vite e morti ridotte a statistica.
Monsignor Mogavero, da soli cinque anni è vescovo di Mazara del Vallo, ma da quello che ci racconta, si rende subito evidente la passione che ha per quegli uomini e per quella terra, definita da tanti ‘terra di confine’. Lo stesso filmato di alcuni minuti che ha voluto fare vedere ai presenti è stato un assaggio di colori, di visi, di ambiente urbano, mancavano solo odori e sapori che si possono gustare solo in loco. Una volta che li abbiamo accettati, integrati, cosa significa questa integrazione rispetto alla salvezza dei nostri valori e della nostra cultura? Questa è stata la domanda che Valter Fabbri ha rivolto in apertura a Mons. Mogavero.
La prima cosa, ha affermato monsignor Mogavero, per cogliere bene il senso di questa problematica è l’esperienza diretta. A Mazara abbiamo prima di tutto una esperienza passiva: il primo movimento migratorio è stato dalla nostra città verso la Tunisia tra la metà del diciannovesimo secolo e i primi del ventesimo. Nell’accoglienza che questi popoli del mediterraneo hanno fatto ai nostri migranti, non c’è stata nessuna pretesa, ne di carattere culturale ne religioso. Nell’800 c’era una situazione molto più aperta, chi è emigrato ha potuto portare a Tunisi le nostre tradizioni e le nostre devozioni; in un quartiere tunisino c’è una chiesa dedicata alla Madonna di Trapani con una bella croce sulla cuspide della facciata. La chiesa è integrata nel tessuto urbano ed è tuttora aperta al culto e officiata. A un certo momento i nostri amici cattolici si posero un problema di armonizzazione di quel segno religioso cattolico con l’assieme e pensavano di togliere la croce, per un malinteso senso di rispetto, tanto malinteso che furono costretti dai musulmani a lasciarlo perché per loro significava un segno che identificava il territorio, non era un simbolo di inimicizia o di contrapposizione religiosa. Un piccolo elemento che ci fa capire come il mondo musulmano non sia etichettabile in modo uniforme in tutte le sue manifestazioni. Prima condizione per dialogare con chi è diverso da noi è che noi siamo disponibili a metterci in discussione, a fare un tratto di strada insieme senza arroccarci nella certezza dogmatica della verità che pure ci illumina e possediamo. Dobbiamo metterci in ricerca, facendo comprendere che siamo compagni di viaggio e che non siamo per loro maestri, che la meta del nostro itinerario non è la loro conversione ma è un cammino e in questo ognuno deve testimoniare l’esperienza che va conducendo, non con parole, ma con una atteggiamento di vita. Come Chiesa di Mazara del Vallo, ha proseguito il vescovo Mogavero, abbiamo scelto di metterci, nei confronti di quelli che sono venuti nella nostra terra, nell’atteggiamento di chi si fa servo, che non chiede nulla e che dà tutto quello di cui è capace, una Chiesa che agisce nella gratuità, annunciando un vangelo che guarda la persona nella prospettiva di un amore che viene da Dio e che a Dio comunque porta. L’integrazione si pone in un momento successivo, quando dalla sponda sud si arriva alla sponda nord e noi della sponda nord non possiamo non tenere conto di quello che è successo nella prima fase dell’esperienza e con la stessa moneta con cui siamo stati pagati abbiamo cercato di ricambiare, non c’è stato problema di adattamento, né di difese, né di integrazione. Per il popolo di Mazara non è stato un fatto traumatico l’arrivo di tanti magrebini, non ha sconvolto l’assetto della nostra città. Sono state delle presenze che hanno cercato di costruire un modo di vivere originale. Contesto, ha voluto con forza affermare mons. Mogavero, il fatto che Mazara del Vallo sia definita come un modello di integrazione. Non lo è, manca tutto ciò che dal punto di vista ordinamentale può creare veramente un contesto di integrazione. Quale è il nostro modello? E’ quello della convivenza pacifica e costruttiva. II modello di integrazione è il peschereccio, perché italiani e non italiani vivono la stessa esperienza, fanno la stessa vita, ognuno non è impedimento all’altro.
Il vero problema è dell’identità e se anche indirettamente l’integrazione dovesse ventilare l’ipotesi di una perdita di identità, allora dico ad alta voce, che non avvenga mai! La mia scelta politica, ha affermato monsignor Mogavero, è quella di pensare ad un umanesimo mediterraneo dove questo mare non divide le due terre ma le unisce, e questa unione significa andare li e non aspettare che vengano, ma se vengono gli accogliamo a braccia aperte.
Al termine il vescovo ci ha lasciato una bella immagine: i pescatori quando ricevono una richiesta di aiuto dicono ‘noi obbediamo alla legge del mare, non c’è legge dello stato, non ci sono ministri o capi di stato che ci possono trattenere, la legge del mare dice che se uno ha bisogno, chi sente il grido di bisogno lascia tutto e va a salvarlo, perché se lui fosse nelle stesse condizioni, desidererebbe solo questo. Di qualunque fede essi siano, questo è quello che Gesù dice nel Vangelo ‘fate agli altri quello che vorresti fosse fatto a te’ ed è su questa legge che si costruisce un umanesimo che unisce e non divide.
Giorgio Re