Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano

Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 34/2012
Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano
Il fragore e il grido
Cristiani in un mondo dove l’egoismo soffoca la gratuità
Anche nell’ultima giornata del viaggio apostolico in Libano (14-16 settembre) Benedetto XVI ha avuto parole che hanno acquistato un significato e un valore ancora più pregnante e certamente definitivo per ricondurre gli animi di tutti a quel bene, che consente a tutti gli altri beni di svilupparsi e di consentire alle persone di trovare una quotidianità in cui l’angoscia e il timore non regnino più.
Questo esige una prassi reale, proprio come emerge dal commento della seconda lettura: ‘La sequela di Gesù, per essere autentica, esige degli atti concreti’. Gli stessi che innervano e costituiscono il tessuto dei rapporti umani e che si riassumono nel verbo ‘servire’ che conosce la sua precisa collocazione: la Chiesa, se vuole essere tale, deve riconoscerne ‘l’esigenza imperativa’, mentre i cristiani devono diventare ‘veri servitori a immagine di Gesù’.
Penso che nessuna persona possa sollevare obiezioni di sorta, il problema però sorge quando si passa dal terreno delle proposizioni a quello delle realizzazioni, siano esse micro o macro realizzazioni, che devono superare un serio esame prima di essere ritenute tali. Devono rispondere a quanto ‘il Signore stesso ha fatto’: ‘Gratuitamente’, senza conti, tornaconti o resoconti, semplicemente donando; ‘per tutti’, senza distinguere o discriminare una persona ma considerandola il fratello o la sorella che percorre lo stesso cammino.
Non mancheranno, allora, ‘la giustizia e la pace’, il Papa sa bene che in Libano ‘la violenza’ vuole soffocare il servizio, vuole portare avanti un piano ‘di morte e di distruzione’. La sollecitazione accorata, allora, mira a ‘una società fraterna’ che rispetti il servizio gratuito a tutti offerto e così si possa costruire la comunione.
La preghiera innalzata all’Altissimo, l’unico che può mutare i cuori e rendere sempre più vitale il sacrificio d’amore del Figlio e porgere la salvezza, otterrà il dono ‘di servitori della pace e della riconciliazione’ per la regione del Medio Oriente.
Nessuno può sfuggire a questo impegno, non conta la posizione sociale, il grado di cultura o il censo, non conta neppure il dolore e la sofferenza patita, conta solo lo sguardo lucido alla Parola evangelica e alla Parola fatta carne che ci ha dimostrato come assumersi questo gravoso ma salvifico compito di servire a tutti i costi: ‘Servo di tutti per la vita del mondo’.
‘La società fraterna’ non può avere altra base, altrimenti sarebbe costruita sulla sabbia e franerebbe. ‘La comunione’ sarebbe soltanto un contratto conveniente o una mistificazione provvisoria.
Per i cristiani l’appello è molto più stringente e ineludibile, è ‘una testimonianza essenziale’ da non rimandare ma da attuare esattamente ‘qui’, nelle terre devastate, nelle relazioni compromesse, nelle persone offese.
‘Siate pieni di speranza a causa di Cristo!’.
Il compito è immane, se osservato da quanto vediamo sugli schermi televisivi, valutato dalle cronache giornalistiche e continuamente bagnato di sangue, la reazione non può che essere quella di gettare la spugna e di sfuggire una situazione in cui la sconfitta è già garantita prima ancora della prima mossa.
Una strada però è sempre aperta per chi lo desideri davvero, in totale lealtà, non affidandosi a diplomazie umane o a parole che cadono nel vuoto, Benedetto XVI nell’Angelus che riassume tutta la sua preghiera, c’indica ‘Maria, la Madre di Dio’ con una denominazione che accoglie i figli tutti ‘i cristiani e i musulmani’, resi uno nello sguardo a Lei rivolto come ‘Nostra Signora del Libano’. È lei stessa che implora ‘il dono della pace in modo particolare, per gli abitanti della Siria e dei Paesi vicini’.
La catena dei morti, uccisi dalle armi, continua ad aumentare, al terribile ‘fragore delle armi’ risponde ‘il grido delle vedove e degli orfani’.
Il Papa innalza la sua voce e non parla solo alla Chiesa e ai cristiani ma si apre a tutto il mondo: ‘Faccio appello alla comunità internazionale! Faccio appello ai Paesi arabi affinché, come fratelli, propongano soluzioni praticabili che rispettino la dignità di ogni persona umana, i suoi diritti e la sua religione!’.
Non minimizza la difficoltà e non edulcora nulla: ‘Non è facile vedere nell’altro una persona da rispettare e da amare, eppure bisogna farlo, se si desidera costruire la pace, se si vuole la fraternità’.
Lo sguardo deve rovesciarsi, deve subire un’autentica conversione, ‘deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare’.
Il male è radicato dentro di noi stessi, dobbiamo scoprirlo, stanarlo, eliminarlo per fare spazio a quanto di buono e di bene Dio ci ha donato e continua a donarci e ‘convertirci per lavorare con ardore alla costruzione della pace necessaria a una vita armoniosa tra fratelli, qualunque sia l’origine e la convinzione religiosa’.
Cristiana Dobner