Cultura e azione della Chiesa – 3

Cultura e azione della Chiesa – 3
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 27/2012
                            
RisVeglio Duemila ‘ 110 anni di sabato 9 giugno, dalla prima pagina invitava i lettori con questo titolo di informazione: ‘Festa di San Vito: L’antica Pieve e la chiesa di Dogato danneggiate dal terremoto’. Nei notiziari della televisione quasi ogni giorno i corrispondenti trasmettono dal triste scenario di Finale Emilia mostrando il Castello in rovine. Finale ‘fortificata in epoca longobarda, appartenne all’Abbazia di Nonantola (sec. VIII) e successivamente ai Vescovi di Modena che vi fecero costruire un castello, ricordato nel 1039, detto del Finale per la sua posizione al confine con Ferrara’ (Città e Paesi d’Italia, De Agostini, vol. III, Novara 1967, p.276). ‘In considerazione della sua importanza strategica al confine tra Modena, Bologna e Ferrara, nel 1402 fu munita di una rocca, dove nel 1512 Gastone di Foix radunò le sue truppe prima di assalire Ravenna’ (Ibidem). Il millenario di S. Romualdo ci costringe ad andare a Bobbio, oggi legata a Piacenza, perché l’arcivescovo di Ravenna Gerberto di Aurillac, uomo di grandi studi, compositore di molte opere, ‘famoso ‘scholasticus’, certo uno dei più grandi sapienti del Medioevo’ (Massimo Oldoni, Enciclopedia (Treccani) dei Papi; II, p. 116), è abate di Bobbio negli anni 980-983. Viene a Ravenna nel 980 per la disputa con Otrico di Magdeburgo della cerchia degli imperatori Ottone I e II, poi anche III. ‘Nel 980 a Pavia Adalberone e Gerberto incontrano Ottone II: scendendo in battello lungo il Po la nobile comitiva si porta a Ravenna (‘). Alla fine del 980 Ottone II nomina Gerberto abate di Bobbio’ (Ib., p. 119) ‘Nel 998 Ottone III decide di stabilirsi a Roma (‘) per Gerberto è pronto l’arcivescovato di Ravenna (‘) Dopo aver incrociato tante esistenze decisive per il X secolo e la storia d’Europa, Gerberto trova a Ravenna l’eredità del monaco Romualdo, già venerato come santo (morirà nel 1027)’ (Ib., 121). Gerberto sarà papa con il fatidico nomen di Silvestro II dal 999 al 1003. A questo scritto interessa sottolineare che personaggi come Gerberto hanno arricchito la biblioteca di Bobbio. Da questo arricchimento trarrà vantaggio il Cardinale Federico Borromeo per la fondazione di quella Biblioteca Ambrosiana che il Manzoni, moderno ‘scholasticus et alumnus’, celebrerà nei Promessi sposi (Capitolo XXII). Come ho già anticipato sarà questa Ambrosiana la biblioteca di Giovanni Mercati reggiano dopo di essere stata la biblioteca del più colto dei papi tra ̉800 e ̉900: Papa Ratti, Pio XI (1922-1939), il più erudito del secolo passato, il fondatore di tante Istituzioni superiori della chiesa da superare i suoi successori messi tutti insieme. Leggiamo (Ibidem sopra p. 121) che ‘I possedimenti ravennati sono ampi, e comprendono anche l’abbazia di Bobbio’. Con Bobbio può competere solo Nonantola, ‘L’abbazia di Nonantola’, troppo scarse le informazioni su Nonantola nel volume Guida ai Monasteri d’Italia (Piemme 1994). Una lacuna da colmare. Nonantola fu fondata nel 751-52 in onore degli Apostoli Pietro e Paolo. In Modena è dedicato a San Pietro e Paolo il grande Monastero benedettino fondato, dopo Nonantola, nel 996. La ragione per cui si indulge sul collegamento è per illustrare gli interessi di Ludovico Antonio Muratori che tanto si avvalse delle opere del quasi contemporaneo abate Benedetto Bacchini (1651-1721), monaco di S. Pietro e primo editore del Liber Pontificalis di Ravenna. Nonantola al titolo di Santi Apostoli congiunge presto S. Silvestro il ‘papa di Costantino’ (Silvestro II sarà Gerberto) c’è stata necessità di mettersi nell’influenza romana forse di fronte a quella ravennate. L’unione del Monastero con Modena è evidente nel fatto che la costruzione della basilica monastica ripete le maniere di linee di Lanfranco nella cattedrale modenese, e il portale mostra evidenti somiglianze con le sculture di Wiligelmo nella fronte del duomo di Modena. L’evangeliario del sec. XII è detto particolare per dire che tutta la storia di Matilde e dei suoi possedimenti è oggetto degli studi menzionati di Vito Fumagalli a cui ci si deve rivolgere, per questo nostro territorio colpito dal terremoto in chiese città, borgate. Ma lo scrittorio di Nonantola è da vedere in rapporto anche con quello fisico architettonico assai bene conservato di Fonte Avellana anche per le seguenti ragioni. Ad Avellana, a S. Pier Damiani (che muore a Faenza nel 1072), succede il nipote Damiano che da monaco di Nonantola diventa abbate di Avellana. E’ in questi anni che due codici particolari nonantolani su dodici vengono traslati ad Avellana. Certamente sono quei due codici di scrittura dello scrittorio di Nonantola che poi da Avellana passeranno alla Biblioteca Vaticana dove chi scrive ha potuto studiarli dopo il suggerimento di Marco Palma, ‘Da Nonantola a Fonte Avellana, a proposito di dodici manoscritti e di un ‘ in ‘Scrittura e civiltà’ 2 (1978), 221-230. Guglielmo Cavallo (Libri e lettori‘, p. 44) invita allo studio di Corpus dogmaticum, codice onciale di Nonantola, con materia antiariana tipica di letteratura proveniente da Ravenna. L’interesse Ravenna-Nonantola viene dal fatto che sbrigativamente, anche gli storici ravennati nostri padri (o nonni) hanno scritto dell’occupazione di Ravenna da parte del re langobardo Astolfo. Meglio è offrire il testo del compianto Mario Pierpaoli: ‘Quando Ratchis (744-749) si ritira in Monastero, sale al trono Astolfo, che invece passa decisamente all’azione puntando all’Adriatico ed entrando in Ravenna nel 750/751 (‘) la residenza di Astolfo nel palazzo di Ravenna è attestata anche dalla dotazione di un suo atto a favore dell’abbazia laziale di Farfa: ‘data da Ravenna nel Palazzo il 4 luglio dell’anno terzo del nostro felicissimo regno durante l’indizione quarta’ (M. Pierpaoli, Storia di Ravenna, Longo Editore, Ravenna 1990, pp. 199-200). Si è costretti a scrivere che il dominio di Astolfo su Ravenna, cioè sull’Esarcato e tutto il resto, non si ferma alla conquista del 750-51 perché tre o quattro anni dopo scrive nel palazzo che era stato Palazzo imperiale e di Teoderico (anni 494-526) dopo di Odoacre (476-494). Astolfo, prima di Carlo Magno, ha avuto tempo per fare incetta di codici e documenti usurpando, forse, anche l’Archivio Arcivescovile. Certamente sono scritti a Nonantola, abbazia di fondazione e protezione Langobarda, i due codici in scrittura carolina portati ad Avellana da Damiano nipote di S. Pier Damiani: cioè i codici, copiati a Nonantola da più mani di scribi monastici del XI secolo, poi portati a Fonte Avellana e quindi passati alla Vaticana. Interesse rimarchevole per Ravenna è che questi due codici contengono ambedue e con identità indiscutibili il testo di un antigrafo battezzato, negli studi, Collezione Avellana = Collectio Avellana, dall’abbazia di prossima provenienza. Sono 244 documenti contro i 468 delle Variae di Cassiodoro. Ma a partire dalla prima collezione documentaria, sezione dell’imperatore Onorio e dell’imperatrice Galla Placidia, si dà solo Ravenna come sede di produzione e conservazione nel V secolo. Del secolo VI, seguente, è il documento papale di Vigilio (537-555) il consacratore dell’arcivescovo Massimiano, a Patrasso (Massimiano 14 ottobre 546 ‘ 22 febbraio 556). Documento di Vigilio, del 553 da Costantinopoli, critico del Concilio di Giustiniano del 553. Solo la Collectio Avellana tra tutte le sillogi antiche, riporta nella epistola 83 il documento di papa Vigilio,. L’ipotesi che la Collezione sia stata ordinata, ‘confezionata’, a Ravenna da Massimiano stesso, e vista e male adoperata da Andrea Agnello nel Liber Pontificalis (che finirà a Modena), portata a Modena dai Langobardi dopo o con Astolfo che pare anche fondatore di Nonantola oltre che conquistatore di Ravenna, da più studiosi è considerata ipotesi candidabile. (fine)
Don Giovanni Montanari – Presidente Archivio Arcivescovile