S. Messa per il 12° anniversario della morte di don Giussani e il 35° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione – 25 febbraio

27-02-2017

S. Messa per il 12° anniversario della morte di don Giussani e il 35° anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione

25 febbraio 2017, Santa Maria Maggiore (RA)

 

 L’intenzione di preghiera: Chiediamo a Dio la grazia di seguire senza riserve l’invito di Papa Francesco a mendicare e imparare la vera povertà che “descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui”, per vivere la vita sempre come un inizio coraggioso rivolto al domani.

 

1. Mendicare e imparare la vera povertà: non preoccupatevi per la vostra vita

L’intenzione di preghiera suggerita per questa messa e il Vangelo di questa domenica sono in forte corrispondenza. La ricerca della vera povertà è ben orientata dalle frasi di Gesù: non preoccupatevi per la vostra vita; né per il vostro corpo, né per il vestito, non preoccupatevi dunque del domani.

 Possiamo però interpretare correttamente le frasi e gli esempi di Gesù se leggiamo queste parole nel contesto in cui l’evangelista Matteo le ha messe: il discorso della montagna (Mt 5,1 – 7,12). Abbiamo già ascoltato infatti nelle domeniche passate sia l’annuncio delle beatitudini (5,1-12) che le sei antitesi o argomenti che confrontano l’antica Legge con la nuova data da Gesù (5,21-48): vi è stato detto, ma io vi dico.

Gesù si rivolge alle folle e poi direttamente ai suoi discepoli, con una grande autorità. È evidente il richiamo al Sinai e la presentazione di Gesù come superiore a Mosè stesso, egli porta a compimento le esigenze della Legge antica, ma in modo sorprendentemente nuovo. Il Vangelo di Giovanni riassumerà questa novità dicendo: Dalla sua pienezza¿noi tutti abbiamo ricevuto¿e grazia su grazia.¿Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,¿la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1,16-17)

Il messaggio di Gesù, che inizia proprio con il Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli, si concentra su una felicità che non è data dagli eventi quotidiani, spesso segnati dalla sofferenza, dalla fragilità e dalla persecuzione; né è data dalla conquista delle virtù che diventano merito davanti a Dio e rivendicazione di un premio; ma è una felicità, una beatitudine, che è donata per grazia dal nostro Padre dei cieli. La riceviamo senz’altro nel futuro, ma la possiamo già sperimentare nel presente, nel discepolato, nella sequela amorosa e obbediente di Gesù.

Per questo Gesù può chiedere non alle folle, ma ai suoi discepoli, una giustizia superiore, quella propria del regno dei cieli (5,17-7,12). Perché ai discepoli non sono dati dei precetti più alti o diversi rispetto agli altri, ma essi sono portatori di una giustizia donata in anticipo, che li rende liberi dalle paralisi del peccato e capaci si lottare contro ogni forza del Male. Una giustizia che deve poi diventare luce del mondo e sale della terra. Scrive Paolo ai Filippesi: «avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede» (Fil 3,9). Seguendo e imitando Gesù Cristo, il solo giusto, si può essere rinnovati e si può diventare operatori di misericordia, di giustizia e di pace. Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo (Rom 14,17) scrive Paolo ai Romani.

 

2. descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui

Dopo gli insegnamenti sulla preghiera, l’elemosina e il digiuno, si inserisce quello su uno stile di povertà che i discepoli hanno già conosciuto, perché era quello di Gesù stesso. È Lui per primo che aderisce con tutto il cuore e l’anima al Padre suo e non ama che un solo padrone, Dio, e si dedica a lui solo. Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

C’è qui un comando, ma prima ancora c’è la constatazione di una verità del cuore umano, che non può vivere diviso, non può sopportare a lungo una doppia vita, e prima o poi cadrà nella schiavitù. È qui che Gesù chiede la scelta: è meglio mettere la propria libertà nelle mani di Dio o divenire schiavi di un idolo, per esempio, la ricchezza? E per orientare la nostra libertà a fare la scelta giusta oltre alla grazia che agisce interiormente, Gesù per coinvolgere anche la nostra affettività, la nostra ragione, la nostra volontà, rivela ancora una volta quale tipo di padrone è Dio. Dio è un Padre che custodisce tutta la sua creazione, dal macrocosmo al microcosmo, ogni forza cosmica e ogni più piccola forma di vita. Tutto l’esistente è suo e dipende da Lui, a maggior ragione i suoi figli.

E qui sorge il rimprovero di Gesù ai discepoli attaccati alle ricchezze: gente di poca fede! Chi infatti ha il dono della fede e la vive, ha fatto l’esperienza che il Padre sa di cosa abbiamo bisogno; ci dona l’unica cosa davvero necessaria: l’incontro e la conoscenza di Lui. L’affanno per le cose materiali invece ci fa perdere la cosa più necessaria (Lc 10,38-42) e ci riempie di una futile inquietudine.

I pagani purtroppo sono costretti a preoccuparsi di tutte quelle cose materiali che sono da loro ritenute necessarie per la vita, per il benessere, per la sicurezza, per la felicità, per salvarsi dalla morte, …perché non hanno scoperto il loro Padre dei Cieli, né la sua misericordia, né la sua provvidenza, né il suo amore per la loro vita.

 

3. vivere la vita sempre come un inizio coraggioso rivolto al domani

Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Diventare poveri in spirito è fare l’esperienza di abbandono nelle sue mani paterne e provvidenziali, quelle di un Dio compassionevole che ha cura dell’erba del campo, provvede il nutrimento ai passeri, ma ancor più ama i suoi figli.

Attenzione, sappiamo bene che non è una conversione facile: i Vangeli ci riportano l’incontro col giovane ricco, al quale Gesù chiede di abbandonarsi con fiducia, lasciando le proprie sicurezze nei beni materiali, per poterlo seguire liberamente (Mc 10,17-31; Mt 19,16-30). Sappiamo come è finita: a volte non è sufficiente nemmeno l’esperienza di essere fissati con amore da Gesù e chiamati personalmente, per lasciare ciò a cui siamo più attaccati e da cui dipendiamo di più! Le vocazioni tradite ce lo stanno a ricordare, purtroppo.

Scrive J. Carron, commentando un pensiero di d. Giussani sulla conversione: “Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli: questa potrebbe essere la formula riassuntiva di una vera educazione del senso religioso. E per questo Cristo chiama beati coloro che vivono tale originale apertura: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Questi testi ci mostrano il vero scopo di una educazione del senso religioso: spalancare totalmente il nostro io affinché possa essere riempito da una realtà che non possiamo produrre noi, ma che dobbiamo accettare, accogliere, abbracciare come un regalo. Solo chi ha questa semplicità di bambino, questa povertà di spirito, ha la disposizione per accoglierla. Da questo dipenderanno, di conseguenza, la nostra realizzazione come persone e il contributo che potremo dare ai nostri fratelli uomini” (La bellezza disarmata, p.136-7).

Accogliamo dunque la parola forte di Gesù: Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. ¿E domandiamoci: quali conseguenze pratiche ha questo atteggiamento nella mia vita, nella nostra vita di famiglia, nella nostra comunità ecclesiale? Anche quando sono in affanno, vivo il mio rapporto con Dio Padre con una vera fiducia in lui? Nell’ultimo momento della sua esistenza terrena, sulla croce, Gesù ha saputo confidare e affidarsi al Padre: con Lui, come Lui, per mezzo di Lui rinnoviamo la nostra fede in Dio Padre.