Il Museo Arcivescovile, appunti di storia – 1

Il Museo Arcivescovile di Ravenna, appunti di storia/1

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 3/2011

 

Il Museo Arcivescovile di Ravenna nasce nella prima metà del XVIII secolo e la sua origine è indissolubilmente legata alla storia dell’antica Basilica Ursiana che negli anni ’30 del 1700 veniva ‘rinnovata’. Nel 1734 la Mensa Arcivescovile, allora era Arcivescovo Niccolò Farsetti (1727-1741), promosse ingenti lavori di ristrutturazione che cambiarono definitivamente il volto della Cattedrale ravennate.
Incaricato dei lavori di rinnovo dell’edificio fu il riminese Gianfrancesco Buonamici il quale nel volume ‘Metropolitana di Ravenna‘ ci ha lasciato i disegni dell’antico edificio, i progetti per il nuovo (non tutto venne realizzato e alcune parti realizzate vennero poi modificate) ed una sezione dedicata proprio al Museo Arcivescovile che già nel 1748 ‘ anno di stampa del volume ‘ così veniva significativamente definito.
Alle pagine XXIII e XIV del testo suddetto abbiamo un paragrafo intitolato ‘Delle Lapidi, e Iscrizioni‘, dove, in sintesi, abbiamo raccontata la genesi del Museo Arcivescovile.
‘Allora, che disfar si volle la cadente fabbrica della basilica Orsiana, cominciossi dal pavimento. Listato era questo in molte parti di lunghe, e larghe lastre di marmo greco, le quali abbandonate alla discretezza dei muratori, altre intere, altre in pezzi venivano levate dal suolo, e ammassate. Volle la buona sorte, e certamente così possiamo chiamarla, che a questo dissotterramento de’ marmi presente si trovasse l’eruditissimo Domenico Vandelli, matematico modenese, il quale per affari del suo Sovrano tratteneasi da que’ tempi in Ravenna. Osservò egli fortunatamente, che nel luogo, donde cavansi le lastre di marmo, rimanevasi impresso di caratteri il sottoposto terreno. Se ne avvide appena l’uomo letteratissimo, che ne comprese il mistero, e subito parlatone all’architetto, acciocché ai muratori ne incaricasse la cautela, e avvertitone l’arcivescovo Farsetti, lo innamorò di quelle preziose antichità, quali esse si fossero, e facilmente lo persuase a salvarle. Tali erano i fatti. Moltissime di quelle lastre scolpite in se portavano varie iscrizioni, quali idolatre, e quali cristiane. Fece tutte gelosamente raccogliere il bel genio, che quell’ottimo Prelato inclinava alle cose erudite. Risolse egli ben tosto di formarne a pubblico benefizio un Museo, per la qual cosa non appagandosi delle ritrovate sotto del pavimento della sua Metropolitana, ne radunò di qua, e di là tutto quel numero, che poté mai.
Nella sala del palazzo Arcivescovile, che d’atrio serve all’antichissima cappella di S. Pier Crisologo, furono tutte queste lapidi in bell’ordine disposte, e formatone il museo”.
Il Museo Arcivescovile nasce quindi come lapidario il quale trova collocazione all’interno dell’Episcopio nella sala che, allora, faceva da atrio alla Cappella Arcivescovile detta allora di ‘S. Pier Crisologo’ perché a lui era attribuita la committenza dell’edificio (oggi la committenza è legata alla figura del Vescovo Pietro II), meglio conosciuta oggi con il nome di ‘S. Andrea‘.
Va precisato che la sala di cui si parla nel testo sopracitato è il primo ambiente che il visitatore trova entrando nel Museo Arcivescovile, sala confinante con la piccola abside dell’oratorio, che ora non funge più da atrio alla Cappella grazie ai lavori di restauro condotti da Giuseppe Gerola, Soprintendente ai Monumenti, che hanno restituito all’oratorio la sua spazialità originaria. Fino a quel momento infatti si entrava attraverso l’abdise, che sfondata e messa in relazione con la grande sala, ne costituiva l’accesso (vedi incisione tratta dal Buonamici). L’altare, tolto dalla sua originaria collocazione, era posto verso il fondo, addossato alla parete del vestibolo rettangolare. 
L’allestimento di questa primissima fase del Museo è noto attraverso delle incisioni riportate dallo stesso Buonamici nel volume la ‘Metropolitana di Ravenna‘, nella parte seconda data alle stampe nel 1754.
Lungo le quattro pareti di questa sala vennero disposti 85 pezzi ordinati in blocchi da 10, 40, 19, 16 (è il Buonamici stesso a darci informazione di questo) dove trovarono spazio materiali provenienti dal pavimento della Basilica Ursiana, e altri materiali lapidei degni di nota: l’Arcivescovo Farsetti infatti ‘non appagandosi delle ritrovate sotto del pavimento della sua Metropolitana, ne radunò di qua, e di là tutto quel numero, che potè mai’.
Il ‘Lapidario Farsetti’ venne successivamente riallestito nella prima metà dell’800 sempre all’interno della stessa sala. Alcuni disegni del Fondo Piancastelli conservati nella Biblioteca A. Saffi di Forli permettono un confronto con l’originaria esposizione.
Con Giuseppe Gerola, Sovrintendente ai Monumenti (1909-1918), il Museo conosce una fase di riallestimento ed ampliamento. Venne ripristinata l’abside della Cappella Arcivescovile e venne aperto il grande arco che oggi collega la sala primitiva del Lapidario con l’ambiente oggi conosciuto come ‘Sala della Statua di Porfido’. Il Museo venne quindi dotato di nuovi spazi e nuovi materiali provenienti dalle chiese della Diocesi. Un esempio significativo al proposito è legato alla Capsella marmorea (reliquiario) dei Santi Quirico e Giulitta proveniente dalla Chiesa di San Giovanni Battista (popolarmente conosciuta come San Giovanni della Cipolla).
Negli anni ’50 e’60 Mons. Mario. Mazzotti, sacerdote diocesano e archeologo, Direttore del Museo nonché dell’Archivio Arcivescovile, ampliò le collezioni inserendo anche reperti venuti alla luce dagli scavi da lui condotti all’interno della diocesi. Mons. Mazzotti, inviato a Roma da sua Ecc. Mons. Giacomo Lercaro, si era formato al Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana e, una volta tornato in Diocesi, partecipò attivamente alla campagne di scavo spesso legate alla ricostruzione post-bellica.
La situazione è rimasta immutata fino agli anni 2010 quanto il 6 febbraio 2010, dopo anni di chiusura per il restauro dell’Episcopio e dei materiali lapidei, il Museo ha riaperto le porte rinnovato non solo negli ambienti e nell’allestimento, ma soprattutto nella sua identità.
Fino a quel momento infatti il Museo Arcivescovile era stato considerato esclusivamente un Museo Archeologico che conservava materiali sostanzialmente entro il VI secolo con eccezioni legate a motivi storici particolari come ad esempio per i mosaici medievali dell’antica basilica Ursiana (datati al 1112) che nel Museo erano stati inseriti già dal suo primo allestimento come testimonianza dell’abside crollata durante i lavori settecenteschi della cattedrale.
Così i successivi allestimenti, da quello ottocentesco a quello legato sostanzialmente alla figura di Gerola, e anche le aggiunte dovute a Mons. Mazzotti ne avevano mantenuto ‘il volto paleocristiano‘.
Il nuovo allestimento del 2010 è andato oltre e ha voluto accostare all’identità ormai storicizzata del Museo quella più legata ai Musei Diocesani che raccolgono il patrimonio storico artistico delle diocesi senza particolari riferimenti temporali.
E’ stata aggiunta quindi una quadreria con opere dal XV al XIX secolo – sala della Pinacoteca – e una sala con i più suggestivi arredi del Duomo – Sala Medioevale ‘ con materiali legati soprattutto ai secoli XVIII e XIX.
Queste ultime collezioni hanno occupato parte del secondo piano del Palazzo Arcivescovile, quegli ambienti che fino ai primi anni del ’90 del secolo scorso erano adibiti alla custodia dell’Archivio Arcivescovile.
Giovanni Gardini
Commissione d’Arte Sacra Diocesana
giovannigardini.ravenna@gmail.com
 
ARTICOLI CORRELATI:
Museo Arcivescovile: storia e collezioni