Ordinazione presbiterale di Matteo Papetti – 22 settembre 2018: “Seguimi!”

Ravenna, Cattedrale, 22 settembre 2018
22-09-2018

Caro Matteo, abbiamo scelto per la tua Ordinazione presbiterale le letture che la Liturgia propone per san Matteo – un pubblicano, divenuto discepolo, poi apostolo ed evangelista – non solo perché è e sarà il tuo santo protettore, avendo lo stesso nome, ma perché nello svolgimento del ministero che ti sarà affidato tu possa avere come direttrici le parole chiave appena ascoltate.

La Parola di Dio e la vocazione

La Parola ascoltata infatti è adatta – con Atti (13,1-3) – a mettere in luce la ecclesialità della vocazione di speciale consacrazione, che si rivela attraverso la manifestazione concreta dello Spirito santo nel consenso della comunità sui nomi dei chiamati, nella preghiera, nell’invio condiviso in missione. Dietro ogni autentica vocazione prima del nostro sì, c’è lo Spirito che muove i desideri e la Chiesa che prega e li accoglie, poi diventa essa stessa voce che chiama e invia in missione: in questa corretta dinamica di vita ecclesiale le vocazioni si trovano e crescono.

Ma la Parola di Dio ci indica anche – con Efesini – che ogni vocazione ha la sua parte nella comunione complessiva della comunità cristiana, non per motivi di ordine e di organizzazione, ma perché il dono di Cristo è diverso per ciascuno (Ef 4,11ss.). È la dimensione personale della vocazione che coinvolge la libertà e soprattutto la responsabilità della persona davanti a un dono esclusivo e percepito come dono di Dio “per me”, anche se viene dato per l’edificazione della Chiesa, non per la propria realizzazione personale!  Come dire che ciascuno nel Regno di Dio ha una parte insostituibile: ogni vocazione mancata è come una tessera che manca su un mosaico, un vuoto di luce.

La Parola del Vangelo (Mt 9,9-13) ci indica poi che la risposta alla vocazione di speciale consacrazione ancora prima di essere un compito o un impegno, è il dono di poter seguire il Cristo più da vicino. “Seguimi”, dice Gesù, e Matteo su quella parola getterà tutta la sua vita.

Vocazione e sequela

Questa chiamata personale, come carisma, cioè come dono e grazia, ci fa da faro in mezzo alle tempeste; ce ne ricordiamo e ricorriamo a essa nei momenti di oscurità. Ci diciamo che Gesù è nella nostra barca, lo cerchiamo e lo invochiamo certi che ci offrirà la mano, se rischieremo di affondare. Ma quando le nostre attività pastorali ci prendono tutto il tempo e le energie e magari hanno qualche successo, tendiamo a dimenticarla. Abbiamo così la tentazione di attribuire a noi stessi il merito delle nostre opere, e di credere che sia giusto che i fedeli vengano dietro a noi. Rischiamo di imporre noi stessi agli altri, di metterci davanti a Gesù, come fece Pietro per tentare di distoglierlo dalla croce, guadagnandosi il rimprovero: “Vai dietro a me, satana!” Per fortuna il Signore fa andare le cose nel mondo e nella nostra pastorale, in modo che ci possiamo abbondantemente disilludere!

Siamo chiamati a seguire Lui, ogni giorno, in ogni ora!

E dobbiamo rinnovare questa coscienza, ripetercelo come fosse una preghiera del cuore, riascoltando interiormente quella parola che ci ha commosso le prime volte e che ora ci dà sicurezza, consolazione, fiducia, coraggio. Gesù continua a dirci sempre: “Seguimi!”.

Perché noi ministri ordinati dopo l’Ordinazione e dopo i primi incarichi, quando iniziamo a impratichirci nel ministero, rischiamo di abbassare lo sguardo e ascoltare le voci intorno a noi, quelle dei confratelli, dei fedeli, o anche quelle ambigue del mondo. Tendiamo a cercare in noi stessi le energie e i motivi per agire, per svolgere i nostri compiti. Con il rischio di modellare il nostro ministero sui nostri criteri, sulle nostre abitudini, sul nostro carattere, su quello che abbiamo capito noi del Vangelo. E vista la posizione che abbiamo nelle comunità, via via ci sentiamo sempre più sicuri nel chiedere alle persone di accogliere quello che siamo e di adattarsi alle nostre visioni. I fedeli lo percepiscono subito e alle interpretazioni troppo soggettive del ministero reagiscono con altrettante interpretazioni soggettive della fede, della morale, della vita cristiana. Peraltro oggi il pensiero dominante va tutto in questa direzione!

L’amore di Cristo ci spinge

Ma non dobbiamo temere troppo il Signore. A Lui non fanno paura, né disprezza i pubblicani e i peccatori, quindi neanche quei ministri che peccano facendo ruotare troppo intorno a sé il gregge, perché la sua misericordia è sempre attiva prima, durante e dopo la chiamata: Lui sa di che pasta siamo fatti! Però il suo dono ci chiede una conversione, ci ricorda che le pecore ci sono solo affidate, non regalate; rimangono sue, lui rimane il Buon Pastore da seguire. Ci ricorda che anche noi, prima di essere apostoli, profeti, evangelisti, pastori, maestri, siamo discepoli; e dobbiamo rimanerlo! Dal Papa fino all’ultimo prete e diacono, passando per i vescovi: siamo discepoli e servi.

E proprio Lui ci offre una via di conversione: saremo efficaci trasmettitori della fede e della grazia che salva, come ministri, solo se continueremo ad amarlo personalmente, in modo speciale e singolare, (“Mi ami, tu, più di costoro?”) e solo se ci lasceremo modellare da Lui e dalla sua Chiesa.

Dice Paolo a proposito del suo ministero (2 Cor 5,14ss.): “L’amore del Cristo ci spinge. Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova”.

Ci vuole tanta preghiera e tanta “ruminazione” della Sacra Scrittura, tanta partecipazione autentica alla Messa e tanti passaggi dal sacramento della Penitenza, tanta serietà e distacco nei rapporti con le persone che la Chiesa ci affida a nome del Signore, perché quel vaso di creta che siamo noi ministri sia modellato dalle mani del vasaio, lo Spirito santo, e diventiamo quello che vuole Lui! Ci vogliono tanti anni di servizio, tante obbedienze e non solo al Vescovo, per scoprire nuovi aspetti della vocazione che si integra con la nostra personalità, ma per trasformarla. Possiamo anche essere dei bravissimi pescatori, degli abili incassatori di tasse, dei buoni scribi o dottori della Legge, degli appassionati discepoli di un profeta che grida nel deserto, ma quando Lui ci chiama a seguirlo ci dà un nome nuovo e cambia la nostra “missione”, cambiando dal di dentro il cuore, la mentalità, lo scopo del vivere. L’amore di Cristo ci spinge, l’amore di Cristo ci cambia.

Il sacramento e la vocazione

Come il Battesimo ti ha immerso nella Fede, caro Matteo, il sacramento dell’Ordine, ti immerge nel Servizio,  e quando riemergerai sarai dotato di una nuova personalità ecclesiale, di una nuova Grazia che, se sarai trasparente, diffonderà una luce diversa da prima, in vista di una operazione difficile:

“… preparare i fratelli a compiere il ministero,

allo scopo di edificare il corpo di Cristo,

finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio,

fino all’uomo perfetto,

fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Chi potrebbe con le sue sole capacità umane, anche se fosse una grande personalità, realizzare una missione così alta e universale?

Oggi il Signore ha versato questo tesoro nel tuo “vaso di creta”, egli sa tutto di te, si è fidato, ti chiama, ti manda, con la preghiera della Chiesa e l’imposizione delle mani del Vescovo di Ravenna–Cervia e del suo presbiterio. Davanti a te non si aprono solo gli ampi spazi di una nuova evangelizzazione in queste terra di Romagna ancora assetata di Dio. Non solo nuovi compiti da svolgere sempre più in collaborazione con i nostri laici più preparati e disponibili a servizio dei giovani e della loro vocazione. Non solo l’impegno a coltivare una nuova fraternità con il presbiterio diocesano che condivide col Vescovo la responsabilità della nostra Chiesa locale. Ma si apre stasera davanti a te anche un cammino di trasformazione e di santificazione personale, nell’unione con il Cristo, senza la quale non ci sarebbe né efficacia, né gioia nel tuo ministero. Ti auguro perciò, insieme al nostro presbiterio, col procedere delle tappe della tua vita, di essere sempre meno il Matteo di prima e di diventare sempre più trasparenza di quel Signore Gesù che ti ha chiamato a seguirlo, affinché la nostra Chiesa cresca nella fede e nella gioia.

+Lorenzo G. Arcivescovo