Ordinazione diaconale di Matteo Papetti e Davide Riminucci – 4 novembre 2017

04-11-2017

La Diaconìa nella Chiesa

Ordinazione diaconale di MATTEO PAPETTI e DAVIDE RIMINUCCI

Per la nostra Chiesa di Ravenna Cervia la vostra Ordinazione diaconale, cari Matteo e Davide, è una gioia grande. È vero infatti che tutto il Popolo di Dio, a partire dai sacramenti dell’iniziazione cristiana e dalla adesione alla fede della Chiesa, riceve il mandato di testimonianza e di annuncio al mondo della gioia del Vangelo. È una responsabilità che condividiamo per il dono e la chiamata che tutti abbiamo ricevuto. Ma il Popolo di Dio ha bisogno di alcuni che con una grazia particolare si mettano a servizio della comunità e, se lo svolgono in modo pieno, totale, anche con il carisma del celibato per il Regno dei cieli, la loro presenza diventa una luce e un sostegno per tutti. Ne abbiamo molto bisogno di ministri ordinati che ripropongano al vivo il Cristo servo, colui che pur essendo della natura di Dio, non disdegnò di farsi uomo e di umiliarsi fino alla croce, per conquistarci la risurrezione e la vita, la vita eterna. Abbiamo bisogno di vedere tra noi alcuni che con una grazia, non per la loro abilità o merito, ripresentano il Cristo venuto per servire e non per essere servito. Perché se non si capisce il Cristo Servo, non si capisce il centro della sua identità rivelata ai discepoli e al mondo. Ma per capirla si deve farne l’esperienza, cioè essere serviti, e il ministero ordinato nasce nell’ultima Cena, con la lavanda dei piedi e con il “fate questo in memoria di me”, perché nella Chiesa continui l’esperienza e rifulga lo splendore del Servizio.

Il cardine del ministero ordinato è la diaconia.

Il cardine infatti del ministero ordinato è proprio la diaconia. Essa emerge nella vita cristiana lungo il cammino. Prima in ordine di tempo c’è il ricevere dalla Chiesa, – dalla propria famiglia, dalla comunità parrocchiale o da una comunità religiosa, da testimoni speciali – il Vangelo che suscita la fede in Gesù Cristo. La fede poi, alimentata dalla preghiera e dalla liturgia, unisce tutti i credenti in una comunione sempre imperfetta, ma sempre in movimento. E la comunione fraterna tenuta insieme dalla carità riversata nei cuori dallo Spirito, tende ad espandersi, sia per la sua natura di amore ricevuto che tende a diventare amore donato, sia perché la vita di Gesù e il suo comando sono sempre stati chiari: uscire da sé, uscire dal gruppo dei “nostri”, uscire dall’ovile dei già credenti, per andare a cercare le altre pecore che non sono del nostro recinto. Uscire per far conoscere Dio, la sua misericordi, la sua paternità, la sua voglia di salvare ognuna delle sue piccole creature. Magari anche uscire dalla propria terra e dalla propria cultura, per raccogliere anche i fratelli di altre terre, in missioni lontane solo geograficamente, ma vicine per l’unità in Cristo di tutto il Corpo della Chiesa.

La diaconia come frutto e fondamento

Di questo grande processo che è insieme la storia della nostra salvezza e dello sviluppo delle vocazioni particolari, come quelle al diaconato o al presbiterato, la diaconia è il frutto ma anche il fondamento. Ci si mette a servizio degli altri come risposta e quasi come “restituzione” piena di gratitudine per tutto quello che si è ricevuto dalla umiltà e generosità di una mamma o di un papà, di una catechista, di un parroco, di un religioso o di una suora, di qualche grande testimone o di qualche semplice fedele che ha pregato per la nostra vocazione. Ma il servizio diventa anche il fondamento di tutto il proprio agire pastorale di diaconi e presbiteri, perché è servizio l’annuncio, la preghiera, la lotta per rimanere nella comunione ecclesiale nonostante i nostri peccati contro l’unità; è servizio l’impegno a testimoniare “in ogni occasione favorevole e sfavorevole” (2 Tm 4,2) l’amore di Cristo per il mondo.

La diaconia come abbassamento

Ora, cari Matteo e Davide, perché il vostro servizio nella Chiesa sia autentico e lasci trasparire il servizio di Cristo ai fratelli, ha bisogno che vi impegniate in due grandi movimenti, verso il basso e verso l’alto. Verso il basso, perché il sacramento non conferisce né titoli né onori né gloria umana, anzi impegna chi ha la responsabilità pastorale nella Chiesa ad assumere quei comportamenti che ci raccontava l’allegoria del pastore nelle pagine del profeta Ezechiele e del vangelo di Giovanni: andare in cerca della pecora perduta, ricondurre la smarrita, fasciare quella ferita, curare quella malata, avere cura anche delle pecore forti e pascolare tutte con giustizia (Ez 34, 11-16); alla fine dare la propria vita per le pecore, come segno e strumento del Buon Pastore (Gv 10, 11-16). L’abbassamento, la rinuncia a sé stessi e alle proprie pretese, ai propri bisogni e alle proprie idee è veramente grande. Il discepolo che per vocazione diventa apostolo, si lascia espropriare da Colui che vuole rendere presente al vivo, il Cristo. “…quello che poteva essere per me un guadagno, – dice Paolo – l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo… Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo.” (Fil 3, 7-12)

La diaconia come visione dell’insieme

Il sacramento dell’Ordine però chiede anche un movimento verso l’alto, che è ben illustrato dalla figura del Vescovo, che possiede la pienezza del sacramento. L’“episkopos” infatti deve vigilare dall’alto, non solo nel senso di sorvegliare, ma anche di vedere tutto l’insieme della sua Chiesa, come quando si guarda una città da un’alta torre. Anche il presbitero e il diacono devono condividere questo sguardo che tiene insieme tutte le caratteristiche, i doni e le esigenze o anche le debolezze di una Chiesa particolare, e non si lasciano coinvolgere in giudizi affrettati o impulsivi circa le necessità o le azioni pastorali da fare in una situazione singola. Devono aiutare i fedeli a vedersi dentro un corpo più grande, a tenere conto di tutti i fratelli e le sorelle che compongono una comunità o una intera chiesa diocesana. Devono coltivare la spiritualità diocesana anche negando una facile risposta immediata ad un fedele o a un gruppo di fedeli che non sanno vedere oltre i confini di sé stessi o della propria comunità, per aiutarli ad aprirsi alla collaborazione o alla condivisione con le parrocchie vicine o della zona; o a riferirsi alla diocesi tutta. Anche la diocesi è una famiglia di famiglie, che chiede quel tipo di rapporti di cura e di solidarietà, di amore materno e paterno per ogni membro, come in famiglia. Di nuovo, l’atteggiamento di Paolo è esemplare per ogni ministro nella Chiesa: “…siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari”(2 Tess 2,7-9). In una cultura che esalta sempre l’individuo singolo, questo stile di Chiesa è compito necessario anche per la nostra società, non solo per far crescere la comunione nella Chiesa diocesana, che è l’unico modo reale per far comunione con la Chiesa cattolica universale.

La diaconia negli orizzonti della missione

Grazie a questo movimento, a questo sguardo d’insieme, si potrà vedere anche meglio che qui da noi ci sono tante altre pecore che non provengono dal nostro recinto (Gv 10, 15s). Se anche quelle il Buon Pastore “deve guidare”, se anche quelle devono ascoltare la sua voce per diventare “un solo gregge, un solo pastore”, il ministero dei presbiteri e dei diaconi dovrà allargare i propri orizzonti e mettersi a servizio di una azione pastorale che si ripensi tutta quanta in chiave missionaria. Ce lo chiede la Chiesa oggi per mezzo di Papa Francesco, che è stato chiamato a svolgere questo compito profetico di dare impulso ad una Chiesa che si deve riformare per essere pronta a seminare in tutti i terreni, e anche su quelli che a noi sembrerebbero del tutto improduttivi. Le letture scelte per questa celebrazione sono in parte quelle della festa del nostro ultimo Vescovo santo, S. Guido Maria Conforti, che avremmo celebrato domani, se non fosse caduto di domenica, ma che invochiamo ora, insieme a S. Martino de Porres peruviano ricordato ieri e a s. Apollinare il primo vescovo santo della nostra Chiesa diocesana e regionale. A loro affidiamo il vostro cammino, cari Matteo e Davide, perché diventiate sempre più nella vita ciò che ora celebriamo col sacramento: servi di Cristo e della Chiesa.

+Lorenzo, Vescovo