Omelia di Sant’Apollinare – 22 luglio 2023 “Il Signore è il Dio che stronca le guerre”

22-07-2023

(Letture: Giuditta 16,1-5, 13-15; Galati 5,13-25; Matteo 5,1-12)

 

“Il Signore è il Dio che stronca le guerre”, abbiamo ascoltato dal cantico di Giuditta, che rievoca l’intervento a favore del suo popolo minacciato dalla distruzione della guerra. E Giuditta vede questo intervento come l’espressione della più profonda intenzione di Dio: stroncare non solo questa, ma tutte le guerre.

Lo conferma la preghiera del salmista: “Farà cessare le guerre sino ai confini della terra, romperà gli archi e spezzerà le lance, brucerà nel fuoco gli scudi” (Sal 46). Perché questo avvenga però c’è una condizione: che l’uomo sia disponibile a lasciarsi trasformare da Lui, che abbia rispetto del Dio creatore, del Dio Signore della vita, il quale non vuole la morte di nessuno, nemmeno del colpevole o del malvagio, ma che si converta e viva (Ez 33,11). Egli protegge tutti i suoi figli e dona loro la sua pace, ma se ne rendono conto solo coloro che sono certi della sua presenza nella storia quotidiana, nella buona e nella cattiva sorte, che lo amano e sperano in Lui

 

Oggi, nella solennità di S. Apollinare, vescovo e fondatore della Chiesa di Ravenna e patrono dell’Emilia-Romagna, un martire che ha sperimentato secondo la tradizione più volte la violenza su sé stesso e l’opposizione dei pagani, fino al sangue, vogliamo fermarci un momento proprio su questa realtà che ci tocca drammaticamente e da vicino come cristiani e cittadini: la guerra e la pace.

 

Solo la pace è santa!

Non sempre è chiara nell’Antico testamento la percezione del Dio che mette la pace al vertice dei rapporti con lui e tra gli uomini. Anzi sono tanti i testi in cui si descrivono guerre e stermini, conflitti sanguinosi e violenze interpersonali anche a opera dei personaggi importanti. A cominciare dal racconto simbolico di Caino e Abele, i primi due fratelli che risolvono il loro conflitto, anche religioso, con la violenza e la morte di uno dei due. Nel racconto del libro della Genesi, Dio non approva Caino e gli chiede conto del sangue innocente del fratello e però impedisce anche che la violenza vendicatrice si riversi su di lui. La tendenza a vedere un volto di Dio più amichevole e vero alleato dell’uomo, emerge pian piano soprattutto ad opera della predicazione dei profeti, come Geremia o il secondo Isaia. Fino ai canti del “servo di Jaweh”, che preferisce offrire la sua vita in riscatto per gli altri, anziché rispondere al male col male (Is 50-53). Con Gesù di Nazaret la rivelazione del volto di Dio è completa e piena: egli insegnò con l’annuncio e con il suo stile di vita “mite e umile di cuore” (Mt 11,29), ad amare tutti, vicini e lontani, amici e nemici, uomini e donne, potenti o piccoli, peccatori o giusti. Non volle essere difeso con la spada da Pietro, nemmeno nell’ultimo atto della sua vita, e morì perdonando i suoi uccisori.

 

Ma questo messaggio potente del Vangelo di Gesù, che ha al centro l’annuncio del dono della sua pace e l’impegno da parte nostra circa la “non-violenza attiva e creativa”, è condiviso anche da altre religioni. Ha detto Papa Francesco (messaggio per la Giornata della Pace 2017): “Questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita». Lo ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista». La violenza è una profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!».”

Anche il grande Iman di Al-Azhar ha firmato il “Documento sulla fratellanza umana per la pace e la convivenza comune”, dove si dice che il nome di Dio non può essere usato per “giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione”. Dio è misericordioso. È una bestemmia usarne il nome per odiare il fratello; è un tradimento della religione.

 

Quindi secondo l’attuale insegnamento della Chiesa –che affonda le radici nel vangelo– non si possono più giustificare le guerre di religione. E le religioni non possono più utilizzare la guerra come mezzo per raggiungere fini “religiosi”, per esempio la difesa della propria fede o dei luoghi di culto o della libertà religiosa… Anche il pensiero tradizionale della “guerra giusta” oggi è messo fortemente in crisi[1], perché non si riconoscono più le condizioni di moralità sufficienti a sostenerla.

“Solo la pace è santa” e si devono sempre cercare altre vie per affrontare i conflitti, che rispettino l’integrità della vita e della dignità di ogni persona umana, anche del nemico.

 

Perché ci sono le guerre?

Intanto però le guerre continuano. E anche vicino, molto vicino, a noi sta continuando da oltre 500 giorni una guerra terribile, drammatica, tra due popoli fratelli per etnia, storia, lingua e fede religiosa. Una lotta per allargare il potere e il dominio di alcuni su tutti gli altri, condotta con ogni mezzo, che ha suscitato una controffensiva altrettanto violenta. Parliamo di centinaia di migliaia di nostri concittadini est-europei morti e di chissà quanti feriti, mutilati, invalidi fisici o psichici. La paura, o di perdere il potere o di perdere la vita e la libertà, sta guidando le scelte degli uni e degli altri, al di là delle giustificazioni e interpretazioni ideologiche o religiose, che sono solo una copertura delle vere intenzioni.

 

Qui ci sorgono almeno due grandi domande: perché le guerre, che tutti detestano, in quanto sono la massima espressione della violenza fratricida e della capacità umana di dare la morte, ci sono sempre e in tanti luoghi sulla terra? Da cosa sono generate?

E cosa possiamo fare come cristiani e come cittadini per stare dalla parte della pace e contro la guerra?

Scrive S. Giacomo nella sua lettera: “Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Gc 4,1-2). Anche S. Paolo, nella lettera ai Galati, andando ancora più a fondo, cerca l’origine delle guerre e dei conflitti nella natura umana stessa, nel cuore umano, che è diviso tra i desideri dello Spirito e quelli della nostra umanità ferita e segnata dal male. La possibilità di farci la guerra, nei rapporti interpersonali più intimi e familiari, come nei rapporti tra i popoli, è sempre in agguato. Se per la follia paranoica di qualcuno o per i calcoli di altri mossi da interessi materiali egoistici, o dalla ricerca del potere e della gloria, si innesca la spirale della paura, dell’odio, della violenza, della vendetta, allora il demone della guerra prende possesso della mente e del cuore di chi ha deciso di usare la sua libertà non per il bene, cioè per amare, ma per “mordersi e divorarsi a vicenda” (Gal 5,13ss).

 

Così il grandissimo dono della libertà, che ci rende simili a Dio, diventa lo strumento per distruggere l’armonia e l’amicizia tra le sue creature più nobili, le persone umane. Il dono che il Dio creatore non poteva non darci, se voleva che tra noi ci fosse amore vero e pienamente umano, cioè la libertà, viene da noi stravolto e diventa occasione per distruggere il creato, l’ambiente e l’umanità.

 

Non possiamo nemmeno immaginare la sofferenza di Dio Padre che vede i suoi figli uccidersi tra loro, rifiutando di riconoscersi tutti fratelli e custodi della vita l’uno dell’altro!

È il peccato di origine: l’uso della libertà per sperimentare tutto anche il male, con l’illusione di ricavarne qualche utilità o felicità, e finendo invece per farsi solo del male.

 

La legittima difesa e la “nuova etica della pace”

Dobbiamo anche ricordare però che secondo l’insegnamento attuale della Chiesa[2], quando qualcuno inizia una guerra, –come nel caso recente della Russia verso l’Ucraina– tutti hanno il dovere di cercare la pace e la riconciliazione con ogni compromesso utile a recuperare la giustizia ferita. Ma ogni Stato ha anche il dovere di proteggere la propria popolazione: è questa una applicazione del principio della legittima difesa. Non si tratta di approvare così una guerra “giusta” e quindi libera di servirsi di ogni tipo di arma e di violenza. La costituzione Gaudium et Spes del Vaticano II, nel cap. V (nn. 77-82) dedicato interamente al tema della promozione della pace e alla comunità delle nazioni, – una sintesi insuperata della “nuova etica della pace” –, condanna con fermezza la guerra totale, cioè la guerra nucleare, sempre e comunque, ma ammette il ricorso alla forza per la legittima difesa (individuale e collettiva), come ultima istanza esaurite tutte le altre risorse politiche e diplomatiche. Nello stesso tempo chiede anche che sia promossa una mentalità e una azione non violenta, attiva e creativa.

 

Ne ha parlato proprio Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2017: La nonviolenza: stile di una politica per la pace. L’uso della forza è comunque sottoposto a condizioni strette, per essere moralmente legittimo: deve essere a servizio della giustizia, perseguita con retta intenzione, deve usare mezzi proporzionati, con probabilità di successo. Anzi i contendenti devono impegnarsi in tutti i processi di dialogo tra loro e negli organismi internazionali, e collaborare a promuovere il cessate il fuoco e il progressivo disarmo reciproco. Non sono mai ammesse operazioni come quelle della “difesa preventiva” che, invece di fermare, innesca l’escalation delle ostilità.

Negli anni scorsi da parte di Giovanni Paolo II è stato accettato anche il concetto della “ingerenza umanitaria” quando esaurite effettivamente tutte le azioni diplomatiche e i processi previsti dalle organizzazioni internazionali, intere popolazioni sono sul punto di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore, qui gli altri Stati non hanno più il diritto all’indifferenza, ma hanno il dovere di disarmare l’aggressore (cfr. Discorso al corpo diplomatico, 16/1/1993).

E Benedetto XVI ha accolto il principio della “responsabilità di proteggere” da parte di ogni Stato i propri cittadini e dove ciò non avviene, c’è un dovere da parte della Comunità internazionale di proteggere la vita e la dignità delle persone contro le violazioni gravi e continue dei diritti umani (per es. il genocidio, la pulizia etnica, i crimini di guerra…). Senza tralasciare tutti i mezzi possibili per prevenire e controllare i conflitti, attenti a ogni piccolo segno di dialogo e desiderio di riconciliazione (cfr. Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 18/4/2008).

Dunque, come cristiani e cittadini vogliamo seguire questi insegnamenti del magistero della Chiesa non solo pregando e invocando il dono dal Signore di una nuova fraternità, che ristabilisca la giustizia, generi la pace, la riconciliazione, il perdono e la riparazione dei danni. Ma vogliamo anche impegnarci con tutti gli strumenti possibili a cercare le vie più degne dell’uomo per la prevenzione e la composizione pacifica e concordata dei conflitti, a livello di famiglia, di comunità, di popoli.

La nonviolenza attiva

Per i cristiani impegnati in campo sociale, culturale e politico, un obiettivo su tutti è la costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva, per limitare l’uso della forza attraverso l’insegnamento morale della Chiesa, mediante la partecipazione nelle istituzioni e dando un contributo competente all’elaborazione della legislazione a tutti i livelli.

Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa strategia di costruzione della pace nel Discorso della montagna. Le otto Beatitudini che abbiamo ascoltato nel vangelo (cfr Mt 5,3-10) ci illuminano sugli atteggiamenti di fondo: Beati i miti, i misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni, per i dirigenti delle imprese e dei media, per tutti noi cristiani e cittadini. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui siamo responsabili con lo stile degli operatori di pace. Come dice Papa Francesco, siamo chiamati “a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo. Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva – continua Papa Francesco – è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che le tensioni e gli opposti possano raggiungere una unità “pluriforme” che genera nuova vita (Messaggio per la giornata della Pace, 2017).

Questa conversione del cuore e questo impegno deciso e fedele lo invochiamo in questa celebrazione eucaristica dal Dio che stronca le guerre, anche per l’intercessione del nostro patrono S. Apollinare, Vescovo e confessore della Fede fino in fondo.

+Lorenzo Arcivescovo

[1] DAVID HOLLENBACH S.I., La non violenza e la tradizione della guerra giusta: verso il futuro. In La Civiltà Cattolica 2023 III 3-16 4153 (1/15 luglio 2023)

[2] Molto più ampie e articolate le considerazioni del Vescovo di Faenza mons. Mario Toso in Basta guerre: è l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: nonviolenza attiva e creatrice e impegno politico. Cittadella editrice, assisi, 2023