Omelia della Messa per tutti i defunti, malati di Covid e le loro famiglie

08-01-2021

Celebriamo una messa per tanti nostri fratelli e sorelle che sono stati colpiti del virus Covid 19 e il loro fisico non ha resistito. Alcuni sono noti a tanti, altri sono conosciuti solo dai parenti e dagli amici più stretti. Vogliamo ricordare tutti e vogliamo celebrare una liturgia di memoria e di raccomandazione al Signore della vita e della risurrezione, soprattutto perché almeno una parte di loro non hanno potuto ricevere né i sacramenti, né un accompagnamento personale da parte dei loro cari nell’ultima ora, né si è potuto decidere il modo del funerale, come avviene nei tempi normali. Per molti è stata una tristezza che si è aggiunta al dolore della perdita e della morte.

Ma il Signore che vede tutto e continua sempre ad amare i suoi figli, siamo sicuri che avrà dato loro la giusta ricompensa per il bene che hanno compiuto in vita, e avrà risposto alle loro preghiere esplicite o mute degli ultimi giorni, con un amore ancora più intenso, vista la sofferenza che hanno dovuto sopportare a causa della malattia. Ricordiamo tanti passi del Vangelo dove Gesù si avvicina con un amore preferenziale ai malati, con vera compassione, e di fronte alla loro preghiera o a un atto di fede, risponde sempre, con una guarigione del corpo e soprattutto dell’anima, perché la sua missione è liberare l’umanità da tutto il male, ma specialmente dai mali del cuore e dello spirito. “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò riposo” (Mt 11,28).

Chi più è nella sofferenza, più è amato dal Signore. Stare vicino ai sofferenti e curarli, è stare vicino anche a Lui, che si è sempre identificato con loro: “Quello che avrete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me”. (Mt 25) La cura verso il malato, il carcerato, lo straniero, verso i poveri di ogni tipo, dice il Vangelo di Matteo nel racconto del giudizio finale, sarà il metro su cui saremo giudicati tutti, credenti e non credenti, perché lì si vede se abbiamo osservato il grande comandamento dell’amore del prossimo, quello che li riassume tutti.

Lo abbiamo sentito proclamare nella prima lettura stasera: carissimi amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio. Chi ama conosce Dio, cioè mentre ama sta facendo l’esperienza di Dio. Perché Dio si rivela e si fa conoscere mentre noi ci lasciamo amare e amiamo gli altri, che diventano così nostri fratelli e sorelle, chiunque essi siano, vicini o lontani. Non è una conoscenza intellettuale, ma esperienziale, attiva.

Qui ha la sua radice anche ogni impresa o attività umana di cura. Il prendersi cura dell’altro ha generato nella storia innumerevoli “istituti a sollievo dell’umanità sofferente: ospedali, ricoveri per i poveri, orfanotrofi e brefotrofi, ospizi, ecc.” come ci ha ricordato Papa Francesco nel messaggio della giornata mondiale per la pace, il 1 gennaio. Quindi la risposta di cura che oggi è data dalle strutture ospedaliere e socio–assistenziali, dai laboratori di ricerca, ed è di fatto sostenuta da tante persone che hanno messo la loro professionalità e competenza, il loro lavoro quotidiano, la loro pazienza, la loro capacità di compassione, a servizio della vita degli altri, la dobbiamo vedere come una vera opera di Dio in mezzo a noi. So bene che diversi operatori sanitari e scienziati si rifanno solo ai valori umani ed etici per motivare il loro impegno, ma noi leggiamo nella loro opera, comunque, una ispirazione profonda che viene dalla bontà del Signore e dal suo amore per ciascuno dei suoi figli, sia per l’ammalato che per chi si prende cura di lui.

Perciò in questa celebrazione mentre raccomandiamo al Signore chi ci ha lasciato, vogliamo chiedere anche per tutto il mondo sanitario e chi è ad esso collegato, fino al volontariato e all’assistenza religiosa, che ci sia data ancora forza interiore per continuare a lottare, a sperare nonostante tutto e a ricercare con l’intelligenza che Dio ci ha dato, altri rimedi, altre cure, altre pratiche di prevenzione e di protezione dei più deboli.