Intenzione proposta al movimento: Chiediamo, per l’intercessione della Madonna “di speranza fontana vivace”, di vivere e testimoniare ogni giorno in prima persona, nella fedeltà totale alla Chiesa, la responsabilità del carisma donato dallo Spirito di Cristo a don Giussani a beneficio di tutto il santo Popolo di Dio e dei fratelli uomini.
Vangelo della VII domenica (C) Lc 6,27-38: “Amate i vostri nemici”
Gesù si rivolge ai dodici e ai discepoli, “a voi che ascoltate”, non a tutta la folla. Quello che dirà come continuazione del discorso delle beatitudini (di domenica scorsa), non è comprensibile a chi non si è messo alla sua sequela, a chi non ha ancora iniziato la rinuncia a sé stesso e non ha ancora deciso di prendere la sua croce – la sua parte della croce di Cristo (cfr. Mc 14).
Solo chi ha iniziato realmente a camminare da discepolo di Gesù riesce a smettere di considerare sé stesso come misura di ogni cosa; riesce rinunciare a difendersi e ad accettare, come i santi, i sacrifici necessari alla propria identificazione con Gesù Cristo, anche fino alla morte come i martiri, di ogni tempo; e riesce a uscire dai tentativi di autogiustificazione per abbandonarsi totalmente al Signore. Solo il discepolo che accetta di iniziare a fare questo può conoscere Gesù Cristo e conoscere sé stesso in Lui; in caso contrario finirà per rinnegare Gesù, come Pietro, che tentava di dissuaderlo dal cammino della croce (cfr. Mc 14,71).
Perché il centro del messaggio delle beatitudini nel Vangelo di oggi è l’amore per i nemici. Un atteggiamento nuovo e umanamente assurdo, che non è la pura tolleranza, la rassegnazione, gli accordi reciproci per farsi il minor male possibile, le manovre della diplomazia e della politica… tutte cose utili per la convivenza umana, o atteggiamenti umanitari che sono anche necessari per sopravvivere ai conflitti e alle guerre.
Gesù ci dà un comando: amate… fate del bene… benedite… pregate, per i nemici, per chi ci odia, chi ci offende, ci maltratta, ci perseguita a causa della fede, a causa sua e del vangelo.
Siccome un comando non è un consiglio, e l’obbedienza al Vangelo non è opzionale, le parole di Gesù non si possono ridimensionare. Sono le condizioni della santità.
Ci possono essere modi diversi di raggiungere questo livello di santità, dal martire alla consacrata nel monastero, dal missionario al prete che si dedica totalmente al suo ministero, dagli sposati che sacrificano tutta la loro esistenza all’amore coniugale e per i figli che non conosce né orari né limiti, ai laici che testimoniano la carità senza compromessi nella società e nel lavoro… e così via. Ma nessuno può farsi sconti su questo Vangelo dell’amore per i nemici.
Nemmeno in nome della difesa della Chiesa e della fede, come si è fatto in altri tempi, col rischio di trasformarsi da perseguitati in persecutori. Siamo, e dobbiamo restare, agnelli in mezzo ai lupi, così ci ha detto il Maestro, “astuti” come serpenti per la Sapienza che viene dall’alto e “candidi” come colombe per la purezza di intenzioni dono dello Spirito.
Qui siamo davanti al carisma fondamentale del Cristianesimo e tutti gli altri carismi devono essere coerenti e modellati su questo, come spiega Paolo ai Corinzi: se anche avessi tutti i carismi, fino a dare i beni e la vita per una causa giusta, ma non ho la carità, non serve a nulla!
Perciò se si vuole vivere e testimoniare ogni giorno in prima persona la responsabilità del carisma donato dallo Spirito di Cristo a don Giussani per il bene di tutto il Popolo di Dio, non si può evitare o reinterpretare questo comando del Signore. Altrimenti si possono fare tante opere e proclamare tante verità, ma non si porta frutto. Dobbiamo desiderare intensamente i carismi più grandi, dice sempre Paolo (cfr. 1 Cor 13), ma una sola è la via più sublime, la carità, che ama, perdona, accoglie, comprende, scusa, serve, spera… e tratta l’altro come il proprio fratello preferito, come il più amato.
Abbiamo però due grandi aiuti per adempiere questo comando che contrasta la natura umana e mette in stato di rivolta la nostra psiche, che non accetta di passare dall’odio all’amore per un nemico, dall’essere odiati all’amare il persecutore.
Il primo è l’azione dello Spirto del Risorto in noi che ci fa passare lentamente ma realmente dall’uomo terrestre all’uomo celeste (II lettura), dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. Il cammino del discepolato comporta infatti un progressivo morire e un contemporaneo progressivo risorgere, la rinuncia a sé stessi che sfocia non in una croce di morte, ma nella croce gloriosa che Cristo porta come trofeo dopo la risurrezione, insieme con i suoi santi (cfr. mosaici di Ravenna).
Amare tutte le persone e trattarle tutte come fratelli e sorelle, è la croce principale del cristiano, come lo fu per Cristo stesso. Ma lo Spirito di Cristo in noi ci spinge (caritas Christi urget nos, 2 Cor 5,14) grazie anche alla forza del Battesimo e dell’Eucaristia, grazie alla parola di Dio che aumenta la nostra fede, grazie alla misericordia del Padre che perdona sempre i nostri peccati quando ci volgiamo a Lui. È un amore divino che viene riversato in noi, non è amore umano. E però trasforma la nostra umanità e la fa diventare quello che il Signore voleva fina dall’inizio, creandoci a sua immagine e somiglianza. Raggiungiamo così la pienezza della nostra umanità, non nella sconfitta dell’altro, ma nella riconciliazione che genera fraternità; non tanto nel cambiamento dei sentimenti umani sempre ambigui, ma nella decisione di voler bene al mio simile, che è “simile” a Dio, come me.
L’altro aiuto per questa trasformazione viene dal vivere nella Chiesa con fedeltà e con una adesione ad essa come la vera “famiglia dei figli di Dio”. Un aiuto più complesso, certamente concreto perché fatto dei volti, delle parole, dei cuori di tante persone, ma anche segnato dai limiti propri della umanità di ciascuno. Eppure, è una Chiesa di santi, anche se ci sono dei peccati e dei peccatori. Il suo Capo è santo, il suo Spirito è Santo, il suo Corpo è continuamente purificato dall’azione di Colui che agisce in tutti. In essa c’è “un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6).
Questa è la Chiesa. In essa esistono tante famiglie e comunità, tante forme di aggregazione e di affiliazione, perché “ciascuno ha il proprio dono da Dio” (1Cor 7,3), ma queste sono cellule che vivono solo se rimangono nel Corpo, se sono di Cristo e della Chiesa. Essa è una Madre e una Maestra, che ci ama e ci guida con il suo insegnamento, ci nutre e ci insegna a camminare, ci fa crescere nella libertà, ma non ci perde d’occhio, è contenta di vederci intraprendenti, ma ci educa alla responsabilità.
Amiamo dunque la Chiesa, amiamo la nostra Chiesa. Ogni altra fedeltà è dentro a questa.
Lo Spirito del Risorto ci conduca alla carità e all’unità.
Ravenna, 19 febbraio 2022 +Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo