Esequie di Don Giovanni Giussani – 6 marzo 2019

Don Giovanni Giussani (omelia per le esequie – 6 marzo 2019)
06-03-2019

Don Giovanni era nato a Milano l’11 dicembre 1967.

Arrivato in Diocesi di Ravenna dopo una ricerca vocazionale prolungata, con una esperienza anche di vita religiosa francescana, era stato accolto nel nostro seminario e accompagnato dai formatori, soprattutto da don Giansandro Ravagna, col quale ha sempre conservato un rapporto di particolare gratitudine. Dopo alcune esperienze pastorali ad Argenta e a S. Biagio in città, anche come animatore vocazionale a favore del Seminario, era stato ordinato il 26 settembre 2009 da mons. Giuseppe Verucchi.

Dopo due anni di servizio come collaboratore a S. Biagio, assunse l’incarico di Parroco della parrocchia Madonna della Fiducia a Fornace Zarattini il 1 ottobre 2011. Oltre a collaborare con gli organismi della Curia, è stato Direttore per un triennio della Scuola di Formazione Teologica (2014-2017); era attualmente membro del collegio dei Consultori. Più recentemente era stato nominato Amministratore Parrocchiale a Godo e Cortina dal 1 ott. 2017.

 

Carissimi presbiteri, diaconi, cari parenti di don Giovanni,

– sono qui presenti la mamma Adele, la sorella Fiorella, il fratello Daniele con la moglie –

con tanta sofferenza diamo l’ultimo saluto ad un nostro prete, 51 enne, con nemmeno 10 anni di messa. Ancora nel pieno delle sue possibilità umane e pastorali, è stato portato via da una malattia inguaribile in pochissimi mesi. Solo poche settimane fa era venuto da solo a Ravenna per sistemare alcune cose in parrocchia, a Fornace Zarattini e salutare qualche persona, si era fermato una notte ospitato in S. Biagio. Era già molto sofferente. Nell’incontro in vescovado, mi disse che aveva ricevuto una diagnosi seria, di malattia invalidante che forse avrebbe dovuto curare per tutta la vita, sempre che le terapie in programma avessero funzionato. Ma lui sperava comunque se non di sconfiggere il male, almeno di tenerlo sotto controllo, anche se con dei limiti per la sua attività pastorale. Ancora non sapeva quello che pochi giorni dopo mi disse il chirurgo al Centro Tumori di Milano, che cioè non si poteva più intervenire chirurgicamente, ma solo sostenerlo e fare cure palliative perché non sentisse il dolore.

Molto ha fatto per d. Giovanni la sorella Fiorella, che si è spesa in questi mesi in molti modi per lui, con una grande cura e un affetto profondo, seguendolo ora dopo ora nei passaggi dagli ospedali e da un medico all’altro. Anche la mamma Adele lo ha accompagnato con la sua preoccupazione, la preghiera, e ha condiviso la sua sofferenza, insieme al fratello Daniele. Il Signore ne renderà merito a tutti loro.

Anche i suoi amici, i nostri preti più giovani, gli sono stati vicini e lo hanno sostenuto, accompagnato con discrezione e grande partecipazione nella sua ultima battaglia, dove ha conservato la fede, ma ha dovuto consegnare la vita, anche se troppo presto, almeno secondo i nostri criteri.

Ce lo ha ricordato nella prima lettura, San Paolo, rivolto a Timoteo suo collaboratore e successore: il ministero ordinato, allora come ora, chiede un grande impegno per annunciare l’unica Parola che salva, il Vangelo di Gesù, in mezzo a tante parole che distraggono, disorientano, deludono anche se promettono la felicità, – “favole”, come le chiama l’apostolo. A Don Giovanni è stato chiesto come a tutti noi, Vescovo, preti, diaconi, di non adottare né gli atteggiamenti né i linguaggi che prevalgono nel momento attuale, ma di “vigilare attentamente, sopportare le sofferenze, compiere la nostra opera di annunciatori del Vangelo: insomma di dedicare la vita all’adempimento del nostro ministero.”  Anche per lui è stato importante l’annuncio, la catechesi ai bambini e ai ragazzi, nella quale si è impegnato direttamente con dei gruppi di ragazzi in preparazione ai sacramenti, la predicazione, l’ascolto delle persone e le confessioni.  Lo stesso impegno che ha messo nell’animazione vocazionale a favore del seminario incontrando tanti gruppi di ragazzi, aiutato in questo anche da una facilità di linguaggio e da uno spirito brillante che lo caratterizzavano.  C’era qui certamente la sua gratitudine per essere stato accolto in seminario dopo anni di ricerca vocazionale personale, ma anche la sua stima per la vocazione sacerdotale: un dono da rispettare e onorare, a servizio del Signore e della comunità ecclesiale.

Don Giovanni non aveva timori a fare le sue battaglie per le cose giuste, per rimettere ordine nelle situazioni confuse, per chiedere l’osservanza delle norme della Chiesa, ma aveva anche lui i suoi timori, per esempio di fronte ai cambiamenti o alla possibilità di assumere una nuova parrocchia, come è successo per Godo e Cortina, ma quando si è messo nella logica dell’obbedienza e ha accettato, subito si è saputo inserire nella nuova comunità, dove ha stretto un buon rapporto sia con i collaboratori più stretti che con tutti i fedeli. E si è impegnato a fare bene le cose con decisione e precisione. Prima dell’ultima battaglia, contro la sua malattia, aveva vinto quelle quotidiane per conservare la fedeltà al ministero e alla vocazione, per mettersi a servizio secondo le sue possibilità. La gente delle parrocchie ne hanno dato testimonianza in questi giorni e l’ho toccato con mano nelle domeniche dove sono andato a celebrare a Godo al suo posto.

Abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca la chiamata di Pietro e degli altri discepoli, dopo una pesca straordinaria, frutto della fiducia in Gesù. Anche a noi oggi, nelle nostre chiese locali, sembra di stare lavorando per pescare uomini per la Chiesa e per il Signore, ma senza prendere nulla. A un Vescovo e a dei preti può venire il serio dubbio di non essere dei buoni pescatori, di aver sbagliato i tempi e i modi dell’evangelizzazione, di dover cambiare qualcosa, ma di non riuscire, perché “il nostro mestiere lo sappiamo fare solo così”. Resistiamo a pescare “nella notte”, ma senza riuscire a vedere se questo sia un tempo favorevole per la pesca. Anzi guardandoci intorno, in tutte le nostre diocesi, stanno diminuendo anche i pescatori, soprattutto i sacerdoti. E se vengono a mancare quelli più giovani, come don Giovanni, la nostra preoccupazione aumenta.

La Parola di Dio però ci dice che nemmeno i pescatori più anziani e collaudati, come Pietro, senza la potenza e la guida della Parola di Gesù, possono fare miracoli. L’indicazione è quindi quella di modellare la nostra azione pastorale e la vita comunitaria delle parrocchie sul Vangelo, non sulle mode ecclesiastiche del momento o sulle risorse personali, o ancor più pericolosamente sui bisogni o le pretese individuali, ma è quella di fare tutto basandoci sulla sua Parola. Una Parola accolta con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le nostre forze, che può convertire e trasformare noi e gli altri. Come Pietro, dovremo assumere un atteggiamento di umiltà per riconoscere e tagliare ambiguità e compromessi poco evangelici del nostro agire, per vivere in prima persona ciò che predichiamo agli altri. Allora la parola di Cristo sarà efficace e le reti si riempiranno.

Dice poi il racconto che Pietro deve chiamare quelli dell’altra barca per non sciupare il tanto pesce che Gesù gli fa trovare. Che non sia un’indicazione per noi ministri ordinati, perché impariamo a prendere più seriamente i doni e le potenzialità di servizio che i tanti nostri fratelli e sorelle battezzati possono mettere a disposizione della missione della Chiesa? Non basta la barca di Pietro, ci vuole anche quella degli altri “discepoli missionari”, per portare a termine il compito di evangelizzazione del mondo e di edificazione della Chiesa. La messe è abbondante, abbiamo bisogno di operai, certo, ma soprattutto oggi il Signore della messe chiama a lavorare tutte le vocazioni cristiane, ciascuno col suo dono.

La perdita di un sacerdote, per di più giovane, come don Giovanni, ci mette tanto dolore per la separazione e la sua scomparsa. Ma ci deve anche dare una spinta in più per chiedere al Signore altri operai per la sua messe: altri presbiteri, altri diaconi, altri consacrati, altri sposi cristiani, altri giovani ancora in cammino che si possono aprire nel dono sincero di sé al Signore e alla sua Chiesa. Lo facciamo anche in questa Eucaristia, sapendo che la preghiera per le vocazioni è stata sempre molto a cuore a don Giovanni, e lo farà contento.

+Lorenzo, Arcivescovo