Come celebrare la solennità del Corpus Domini oggi? Siamo in un momento difficile della nostra storia: ci sono in atto una guerra europea, una nel Medio Oriente, altre gravissime guerre e conflitti continuano in Asia, in Africa, in America latina. Come evitare che il nostro sia solo un rito consolatorio, ripetitivo, una buona abitudine religiosa, ma astratta dalle vicende dei nostri giorni? Ci può aiutare il titolo dato al prossimo Congresso eucaristico internazionale: “Fraternità per sanare il mondo” (Quito, settembre 2024).
Certo anche quando nacque la festa del Corpus Domini, in Belgio, all’inizio del XIII secolo e i monasteri benedettini furono i primi a adottarla, poi il papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264 (anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, oggi venerato a Orvieto), i tempi non erano migliori.
La preoccupazione dei religiosi e del Papa era rivolta soprattutto a confermare la fede nell’Eucaristia come vero sacramento del Corpo e del Sangue del Cristo Risorto. Dove in quel pane e quel vino santificati e consacrati dalla discesa delle Spirito all’inizio della grande preghiera eucaristica, durante l’epiclesi, raccontando a conferma della trasformazione quello che era avvenuto nell’Ultima Cena, si affermava la presenza viva e personale del Signore risorto. Una presenza che il concilio di Trento nel XVI secolo tornerà a definire, “vera, reale, sostanziale”. Contro ogni dubbio e contro altre interpretazioni, per esempio quelle dei protestanti, che accettavano il significato personale e sociale della santa Cena, ma negavano il valore e l’efficacia oggettiva e trascendente del sacramento dell’Eucaristia e della Grazia che ne deriva. Il concilio di Trento chiarirà in modo definitivo il valore di questo e degli altri sei sacramenti: segni e strumenti di una Grazia che ci santifica, ci purifica, ci illumina, ci trasforma, sempre in dialogo con la nostra libertà umana, chiamata a rispondere in pienezza.
Ai nostri giorni c’è ancora bisogno di mantenere questa festa? La Chiesa non ricorda l’istituzione dell’Eucaristia il Giovedì Santo nella messa in Cena Domini? Non la celebra ogni domenica e ogni giorno dell’anno? Infatti. Ma la solennità che stiamo celebrando si collega e esalta tutte le nostre Messe. Oltre a confermare una affermazione dogmatica, essa ha uno scopo educativo: vuole ricordarci la grandezza del miracolo che avviene ogni volta. Anche nelle messe più semplici e feriali l’Eucaristia è quel rendimento di grazie al Padre, per mezzo del Figlio Gesù Cristo, nello Spirito santo che è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa e di ogni cristiano. È lì che noi incontriamo tutti insieme il Signore Risorto come i discepoli di Emmaus e siamo chiamati ad annunciare al mondo la nostra fede nella “risurrezione della carne e nella vita eterna”. In ogni messa ci è dato di toccare, come Tommaso, il Corpo e Sangue del risorto. Ci è dato quel nutrimento simbolico, ma reale, che alimenta non tanto il nostro corpo, ma il nostro spirito, la nostra interiorità, l’uomo nuovo che sta crescendo in noi dopo il battesimo. Tanto si è abbassato il nostro Dio, fino a farsi nostro nutrimento. Ma non perché noi assimilassimo Lui, ma perché fossimo noi assimilati a Lui, resi simili al Capo di cui siamo il Corpo, uniti tra noi e con Lui, con un legame di amore e di vita, di grazia e di santità.
Ricordo queste verità, ben note, perché ripensiamo a tutte le nostre Messe, celebrate o partecipate o appena ascoltate, spesso con troppa superficialità e distrazione, mentre un miracolo avviene davanti a noi!
Noi stasera portiamo in processione quel Pane della Vita che adoriamo e che soprattutto consumiamo come vero cibo che dà la Vita eterna, non solo come un rito esteriore, annuale, che ci permette di testimoniare in pubblico la nostra fede eucaristica. Ma rinnoviamo la nostra fede nella potenza dell’Eucaristia, che risana il mondo, guarendo ciascuno di noi, e riannodando i fili della fraternità lacerata.
Saremmo scoraggiati e impotenti se dovessimo affrontare da soli guerre, carestie, povertà, emigrazioni, conflitti tra popoli, pregiudizi razzisti, e ancora di più se volessimo curare da soli quelle ferite del cuore umano che ostacolano la giustizia, la pace e la riconciliazione. La nostra venerazione per l’Eucaristia e la nostra partecipazione alla Messa in modo attivo, cosciente, coinvolgente, ci permettono di ravvivare il dono di Dio e di riconoscere che solo abbracciati dal suo amore gratuito che ci arriva dalle mense della Parola e del Pane eucaristico, torniamo a riconoscerci come fratelli, figli dello stesso Padre, operatori di pace, diffusori di misericordia e costruttori di fraternità. Senza l’eucaristia non potremmo essere Chiesa e non riusciremmo a essere fratelli, tra noi e con tutti gli altri figli di Dio, ovunque dispersi.
Anche il percorso sinodale che, seppur faticosamente, stiamo facendo, ci ha messo in un processo di discernimento, come chiese locali e come chiesa universale, che ci chiede di aprirci a camminare insieme nella disponibilità alla missione. Ma potremo essere missionari solo se diventiamo quella Chiesa che dovremmo essere: un luogo fraterno di inclusione, di appartenenza condivisa, di ospitalità profonda. Tutte caratteristiche che solo l’Eucaristia creduta e vissuta genera nella comunità ecclesiale.
E la missione non potrà essere solo di annunci a parole e di riti, anche se belli. C’è un mondo ferito di fragili, di piccoli, di persone vulnerabili, di diseredati ed esclusi dalla giustizia umana, dalla libertà e dai diritti fondamentali, privati della dignità, che ci chiedono di farci fratelli verso di loro, nei fatti, nell’impegno caritativo, sociale, politico, culturale, per far crescere nonostante tutto una civiltà dell’amore. L’eucaristia ci spinge fuori delle sagrestie, dai nostri gruppi e comunità accoglienti, ma ristrette, dalle nostre amicizie privilegiate, verso tutti i fratelli, verso una società fraterna, perché siamo fratelli di tutti, come dice S. Paolo ai Galati: “Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).
+Lorenzo G. arcivescovo