Assemblea Pastorale Diocesana 2019

Venite e Vedrete

Generare i giovani alla fede e accompagnarli nella vocazione

I giovani e il futuro della Chiesa

Si può pensare a un futuro del cristianesimo nelle nostre terre, guardando i nostri giovani? Sì, se si tiene però presente la “crisi” della Chiesa, per la svolta epocale che stiamo vivendo. Due esempi di questa crisi che nasce dal cambiamento sono le urgenze pastorali individuate dai sinodi recenti sulla famiglia e sui giovani. I due documenti finali e le esortazioni di Papa Francesco Amoris Letitia e Christus vivit, hanno analizzato molti aspetti critici della situazione del cristianesimo nei giovani e nelle famiglie, a livello mondiale. E sembrano davvero tanti i terreni non raggiunti dal buon seme del vangelo e gli stili di vita estranei alla fede cristiana! Ovunque le Chiese particolari sono alla ricerca di nuove vie, di linguaggi e soprattutto di testimoni che sappiano diffondere il vangelo e contagiare i nostri contemporanei.

Ci sono fatti recenti e clamorosi, come lo scandalo degli abusi sui minori e sulle persone vulnerabili, finalmente venuti alla luce e perciò affrontabili, ma sotto questi e altri problemi immediati, c’è un fatto di grande rilievo: la “condizione di minoranza delle comunità cristiane che non viene percepita e accolta come un’opportunità dai credenti e dal clero, e quindi non viene elaborata in maniera positiva” (cfr. Christoph Theobald, Il futuro del cristianesimo in Europa, Settimana News, luglio 2019). E ancora più in profondità, c’è la difficoltà che la tradizione cristiana ha nel raggiungere la vita quotidiana degli uomini e delle donne, soprattutto dei giovani, di oggi. (Qualcuno dice, per es. in Francia, che il cristianesimo è ormai fuori dalla cultura europea: es-culturato!).

L’essere in condizione di minoranza o Chiesa in diaspora, nelle terre della Romagna è un dato ormai antico. Anche se la maggioranza fa ancora battezzare i figli e li manda al catechismo per i sacramenti, poi però la vita parrocchiale è quasi abbandonata e si sposa in chiesa solo una coppia su quattro. A parte qualche celebrazione annuale o che tocca la propria famiglia, la frequenza domenicale e festiva è minima; il giorno del Signore è vissuto come giorno libero; molti fanno il funerale civile o non lo fanno neppure; la preghiera in famiglia è rarissima; inoltre il peso sociale e culturale dei cattolici è scarso… Solo per fare qualche esempio. E i giovani presenti nelle nostre comunità sono ancor più minoranza, tra gli altri giovani (i giovani tra i 13 e i 25 anni sono circa il 10% della popolazione, quindi nella nostra diocesi dovrebbero essere circa 20.000… quanti sono presenti nelle nostre attività?).

Setta, cittadella o comunità missionaria?

In realtà il cattolicesimo nel mondo globalizzato di oggi è presente dappertutto, ma numericamente, è quasi ovunque una minoranza. Se questo è vero, – e ci dispiace perché tutti hanno un bisogno profondo della speranza cristiana –, ci sono davanti a noi due vie. Come minoranza, rispetto alla Chiesa popolare di massa, la comunità ecclesiale di oggi ha due vie davanti a sé: può diventare una “setta”, una cittadella chiusa con tutte le sue caratteristiche difensive, oppure può diventare una significativa comunità missionaria.

Essere una comunità missionaria presuppone, però, un processo individuale e collettivo di conversione: il cristianesimo di oggi e soprattutto di domani è e sarà sempre più un «cristianesimo di scelta», che si edifica sulla persuasione interiore dei fedeli. Non basterà più la tradizione familiare o del paese, l’abitudine, il consenso sociale, l’adeguamento ad un gruppo, l’obbedienza alle figure di autorità… i credenti saranno sempre più persone che fanno una scelta personale perché convinti che vale la pena essere cristiani per l’esperienza positiva che hanno fatto. E questo suppone l’incontro con una Chiesa missionaria, accogliente, provocante, attiva nelle proposte di fede e carità. Come ci ha chiesto papa Francesco nel primo capitolo della Evangelii gaudium, quando parla di una «riconfigurazione missionaria della Chiesa».

Se è vero che ogni generazione deve ripartire da capo e ha bisogno di essere evangelizzata perché “cristiani non si nasce, si diventa” (Tertulliano), le nuove generazioni di oggi hanno un problema in più, che deriva dalla forte difficoltà di comunicazione e di trasmissione di valori e atteggiamenti da parte degli adulti.

La permanenza del bisogno di credere

Ma non dobbiamo gettare la spugna! Anzi, la condizione di minoranza del cristianesimo nelle nostre terre, e tra i giovani in particolare, non significa la scomparsa di ogni bisogno di «spiritualità» intorno a noi.

Anche i nostri contatti quotidiani ci confermano che oggi è sempre più chiaro che non è possibile una vita senza una fede “elementare” (C. Theobald), che dia ai giovani (e agli adulti!) i motivi per cui vale la pena vivere, o merita di andare avanti a vivere quando si sperimenta la “crisi”: la debolezza, la malattia, la morte dei propri cari, l’insuccesso, il tradimento, la povertà, l’abbandono, e tutte le altre condizioni di vulnerabilità. Oppure quando sorge un sogno o un progetto o un innamoramento o si condivide un ideale che va oltre le proprie forze. E’ difficilissimo rimanere sempre nella condizione di indifferenza o di agnosticismo (ancor meno di ateismo): prima o poi si rende necessario credere in qualcosa o in qualcuno, per orientarsi e fare le scelte importanti.

In queste «situazioni di rivelazione» dove il giovane si scontra, con sofferenza, con il suo limite, il Vangelo trova un terreno accogliente. Solo un Dio – e in particolare il Dio misericordioso rivelato da Gesù Cristo – può togliere il male e il dolore del mondo, solo un Dio che ama l’umanità può generare il bene impossibile all’uomo. Non i potenti di questo mondo, né i personaggi di successo, né i venditori di promesse, tutti giganti con i piedi di argilla!

Sono queste le grandi “occasioni” della vita, i passaggi che fanno crescere: da una fede come bisogno elementare di credere in qualcosa per sopravvivere, si può passare ad una fede come incontro, scoperta, sorpresa e sequela di Gesù maestro di vita nuova e Signore che vince la morte. Una fede non convenzionale o abituale o di gruppo, ma scelta, convinta e personale.

Insomma il cristianesimo ha ancora un futuro e ce l’ha, proprio tra i giovani!

I giovani discepoli missionari dei giovani

Ci vogliono però dei “mediatori”: dei genitori, degli amici, dei compagni di vita, dei testimoni che gratuitamente introducano nella conoscenza della persona di Gesù e del suo Vangelo, che si mettono a servizio del bisogno di credere degli altri. Ci vogliono dei “discepoli missionari” per aiutare i compagni di viaggio a compiere il “salto” della fede (Kierkegaard). Questo è vero per tutti.

Ma vale in modo particolare per quell’età della vita che va dall’adolescenza alla piena giovinezza, l’età dell’autonomia, della capacità di riflettere, dell’apertura all’amicizia e all’amore, delle scelte ideali, dell’inizio del lavoro e dell’ingresso nella società degli adulti. In mezzo ai giovani di oggi, come tra quelli di ieri, abbiamo bisogno di inviare dei «discepoli missionari» a servizio della fede elementare nella vita dei loro contemporanei. Essi devono mettere in atto, nei loro ambiti di vita e secondo le condizioni odierne, quel servizio e quella dedizione all’umano che Gesù ha praticato in Galilea verso i suoi contemporanei.

I nostri discepoli missionari giovani, hanno però bisogno per loro stessi di una autentica fede in Cristo vivo e di potersi conformare a lui. E qui scatta il compito degli “adulti” nella fede (quelli che indipendentemente dall’età, sono credenti convinti e sperimentati) che sono responsabili della loro educazione ai valori della vita e a una fede cristiana vissuta nei contesti laici e quotidiani. Ai giovani che ci impegniamo a fare crescere nelle nostre comunità parrocchiali, associative o nei movimenti, dobbiamo saper assicurare un’effettiva sequela di Gesù. Spetta a noi adulti dire loro “venite e vedrete” e li dobbiamo accompagnare a Gesù, non ad altro. Così ogni percorso che proporremo sarà vocazionale in senso ampio e anche specifico: se si assume Gesù come criterio di vita, si scopre anche il proprio carisma, il proprio servizio specifico nella Chiesa.

Non abbiamo altre vie più facili: strategie comunicative, nuovi linguaggi permessi dai social, formule aggregative centrate sui bisogni individuali, ritorno a forme devozionali e al miracolismo, ecc. sono scorciatoie che non portano alla meta! Lo strumento principe di evangelizzazione dei giovani sono i giovani stessi, quelli che avranno accettato di farsi discepoli missionari.

Se avremo fatto conoscere Gesù e se attraverso di lui avranno fatto qualche esperienza personale di Dio come Amore, in un cammino intenso sulla Parola di Dio, nella preghiera personale costante e nell’impegno non occasionale nelle opere di carità… allora potranno trasmettere la gioia del Vangelo, anche in mezzo alle mille difficoltà e pericoli presenti nella vita quotidiana propria e in quella dei loro amici, dei colleghi di studio e di lavoro.

Quale Chiesa proponiamo ai giovani

E la dimensione ecclesiale? Rimarrà secondaria rispetto all’incontro personale con Cristo?

No, anzi. Sarà proprio l’esperienza di Chiesa che li potrà attrarre, se entreranno nell’amicizia con un compagno, con un gruppo, con una comunità, con una compagnia di giovani credenti. E potranno arrivare alla scoperta della presenza di Dio nella loro vita attraverso il Gesù conosciuto nell’incontro con una comunità, se troveranno in essa dei giovani discepoli missionari. Potranno anche oggi, pur nelle condizioni di secolarizzazione e di indifferenza religiosa, arrivare all’intimità con Dio, a sentire in sé l’ispirazione dello Spirito. Ma quale Chiesa trovano i giovani che rimangono dopo la cresima, che entrano nelle associazioni o nei movimenti, o che si lasciano attrarre dai loro amici “missionari” a fare un cammino nella comunità ecclesiale?

I giovani vedono subito cosa sta a cuore a noi adulti circa il futuro della Chiesa: se la sopravvivenza dell’istituzione, delle nostre abitudini e dei nostri riti, oppure il futuro di una Chiesa che sa mettersi a servizio dei suoi contemporanei. Vedono subito se ci interessa avere tanti giovani ai nostri eventi o nelle attività pastorali a qualunque prezzo, abbassando la qualità o le esigenze della proposta, adattandoci allo spirito del tempo che magari oggi soffia sulla accentuazione degli egoismi, sulle discriminazioni verso i deboli o gli stranieri, sulle aggregazioni per compiere atti di forza, sulle adunate dell’industria del divertimento o sulla diffusione delle sostanze alienanti…

Oppure se ci interessa edificare una Chiesa dove i giovani sono in prima linea nella carità, nella missione verso i popoli e anche tra i popoli presenti qui da noi, nella custodia della terra e del creato, e sanno distinguere tra l’amore come bisogno e l’amore come dono e cura dell’altro soprattutto se vulnerabile, povero o piccolo. Vedono subito se ci interessa che i giovani non stiano nei gruppi o nelle comunità per avere un nido caldo attorno a se stessi, ma per vivere il battesimo e la loro vocazione nel servizio agli altri, dentro la grande diaconia della Chiesa verso il mondo.

Educare all’incontro con l’altro

È impossibile tutto ciò? Attenzione, è vero che siamo cristiani nella diaspora, ma abbiamo detto che non ci troviamo davanti a un vuoto «spirituale». Come Gesù in Galilea, abbiamo a che fare con le dimensioni profonde della avventura umana di molti nostri contemporanei e lo verifichiamo soprattutto nelle attese giovani anche in quelle espresse con modi che ci sembrano incoerenti o autodistruttivi.

Questo significa però che non possiamo limitare l’annuncio alla liturgia e agli incontri di formazione catechetici, ma dobbiamo sviluppare una pedagogia dell’incontro con l’altro e del «dialogo umano–spirituale» con chiunque, nel grigiore del quotidiano. Il che richiede una profonda trasformazione della nostra consapevolezza e una conversione di fondo, poiché nei nostri spazi ecclesiali molto spesso siamo fissati soprattutto sulla liturgia e sulle celebrazioni para-liturgiche e solo raramente viviamo i nostri incontri quotidiani come «discepoli missionari». Per questo facciamo fatica a educare i giovani a diventarlo.

Perciò bisogna far crescere in noi adulti e in loro, la passione per il Vangelo di Dio, che viene da Cristo, ci è comunicata col battesimo e con la nostra vocazione particolare: questa implica contemporaneamente un interesse ardente e gratuito sia per la vita quotidiana dei nostri contemporanei che per lo sviluppo della loro «fede elementare». Quello che ci sta davanti è un compito che possiamo realizzare solo se entriamo in un processo permanente di “riforma” per edificare la Chiesa a partire da quello che ci è dato, ossia di essere Chiesa in cammino e quindi missionaria.

+ Lorenzo G., Arcivescovo

 

Appendice:  Spunti da una ricerca sugli educatori

Nella ricerca condotta sugli educatori del mondo giovanile in Italia, a cura di Rita Bianchi e Paola Bignardi, Il futuro della fede. Nell’educazione dei giovani la Chiesa di domani, Vita e Pensiero, 2018, (soprattutto le pag. VII –XXII della Presentazione e 193-200) si è giunti ad alcune conclusioni che rappresentano il pensiero degli educatori, e che riprendiamo.

  • Il futuro della fede passa attraverso l’educazione (indispensabile! È richiesto un nuovo e forte impegno degli educatori per non disperdere i valori evangelici e per trasmetterli in modo nuovo)

 

  • Le buone pratiche, che secondo gli educatori sono necessarie oggi e promettenti verso il futuro (i giovani vogliono essere coinvolti):

– Relazioni che accompagnano  ( i giovani chiedono vicinanza, presenza, relazioni autentiche e profonde; comunità dal clima familiare; fiducia)

– Esperienze che lasciano il segno (sia straordinarie, come GMG e Pellegrinaggi, campi estivi, ecc. che nell’ordinario come i percorsi di gruppo che coinvolgono corpo, mente, affetti e relazioni)

– Dialoghi che fanno pensare (giovani dicono che hanno domande che devono essere accolte e suscitate almeno in certi momenti chiave della vita, i più drammatici o i più gioiosi)

– Servizi che fanno scoprire l’altro e l’Altro (molti chiedono servizi ai poveri, ai bambini, ai malati, con le caritas, ecc. volontariato, situazioni di emergenza)

 

  • Nuove figure educative (i giovani faticano a riconoscere le vecchie figure come valide oggi), e ne tratteggiano alcune caratteristiche:

educatori testimoni (propongono quello che vivono con coerenza, umili e convinti)

adulti autorevoli (maturità umana, credibilità, disinteresse, competenza, fiducia in loro)

uomini e donne empatici (vicini e comprensivi, partecipi, capaci di ascolto e accoglienza)

compagni di viaggio (più che rigorosi propugnatori di norme, capaci di accompagnare a scelte libere ma graduali, condivise e praticate insieme)

 

  • Il rinnovamento della comunità cristiana (le difficoltà del dialogo coi giovani è una occasione per convertirsi, cambiare, aprirsi, diventare più chiesa in missione)
22-09-2019