Omelia di Mons. Ghizzoni alla Messa del Crisma

Omelia di Mons. Ghizzoni alla Messa del Crisma

 

L’obbedienza nella vita del ministro ordinato

 

I testi biblici 

Marco 14, 22-39: “Abba! Padre, non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu

E, mentre mangiavano, Gesù prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”.

Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. 
Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea”. Pietro gli disse: “Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!”. Gesù gli disse: “In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. Ma egli, con grande insistenza, diceva: “Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò”. Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.

Giunsero a un podere chiamato Getsèmani ed egli disse ai suoi discepoli: “Sedetevi qui, mentre io prego”. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate”. Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole.

 

Efesini 4, 11-16: Pastori e maestri per edificare il corpo di Cristo

Fratelli, il Signore ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo. Così non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore. Al contrario, agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità.

 

OMELIA

 

“Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?”

Questa richiesta ci è stata fatta il giorno della ordinazione presbiterale o diaconale. E abbiamo risposto: “Sì, lo prometto”. Anche nell’ordinazione del Vescovo c’è una richiesta di obbedienza al Papa.

È stato un atto solenne, pubblico, davanti ad un’assemblea di fedeli in preghiera, durante la celebrazione dell’Eucaristia. Non è stato la firma di un contratto, né l’impegno di un militare con un superiore, né una risposta a un’esigenza di ordine e di buon funzionamento di una organizzazione sociale. Per un presbitero questo è l’atto con cui si lega a un vescovo e a un presbiterio, in una Chiesa particolare, davanti al Signore, per sempre. È anche la risposta definitiva alla vocazione.

Nello stesso rito – che riviviamo nelle promesse della Messa Crismale e nella lavanda dei piedi, in quella in Coena Domini– ci era stato chiesto se ci impegnavamo nel servizio del popolo di Dio “per tutta la vita”, cooperando con l’ordine dei Vescovi e sotto la guida dello Spirito. Poi ci era stato chiesto se volevamo dedicarci al ministero della Parola, alla celebrazione dei misteri di Cristo, alla preghiera assidua per implorare la misericordia sul popolo affidatoci. Infine ci era stato chiesto l’impegno più completo: se volevamo consacrare tutta la nostra esistenza al Padre, come Cristo e uniti a Lui, per la salvezza di tutti. E, a suggello di tutto, l’impegno dell’obbedienza filiale. Abbiamo sempre risposto: “Sì lo voglio; con l’aiuto di Dio”.  Obbedienti come Cristo e uniti a Lui, che disse: “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. Con quelle parole Lui accettò la croce. E accettò la legge del chicco di grano che solo se muore, produce molto frutto (Gv 12, 24).

Come quella di Cristo, anche quella del prete è un’esistenza espropriata, messa completamente nelle mani del Vescovo, per metterla nelle mani di Dio, attraverso la Chiesa.

Ed è necessario che sia così, non per far funzionare bene la società ecclesiale, ma perché se il ministero ordinato deve essere la ripresentazione sacramentale del Cristo (cf. PDV 16), deve anche esserlo del Cristo obbediente al Padre, fino in fondo, nel più completo dono di sé, della propria volontà, dei propri desideri, dei progetti, delle aspirazioni. Il prete più è obbediente e più è segno e presenza del Cristo Servo, che è obbediente fino alla morte di croce; e del Cristo Figlio, che vive nella comunione perfetta col Padre.

Obbedire è ancora una virtù?

Non è facile vedere nell’obbedienza un valore, in questa epoca che sta cambiando rapidamente i punti di riferimento della società e della cultura o mette in dubbio la loro autorevolezza. Sembra che il soggetto debba obbedienza solo a se stesso; sembra che solo lui conosca la via della sua felicità. D’altro lato ci si affida o ci si identifica a volte in modo ingenuo a personaggi che promettono tanto, ma non sempre garantiscono proprio il rispetto della libertà e dell’autonomia che si vorrebbe. E non è facile vivere oggi l’obbedienza anche per noi: sia perché respiriamo l’aria della autodeterminazione che un po’ ci inquina, sia perché siamo dentro una Chiesa in cammino, che sta tentando di trovare le vie di una nuova identità e di una nuova pastorale missionaria, in un cantiere ancora aperto.

Aggiungiamo a questo una difficoltà tutta nostra. Il nostro è un presbiterio abbastanza disomogeneo per storie vocazionali e percorsi di formazione diversi che hanno generato visioni della obbedienza e atteggiamenti abbastanza personali e non sempre complementari. Questa realtà non è senza conseguenze per la vita comune del nostro clero e per la nostra azione pastorale: i collegamenti personali e amicali tra tutti i membri della nostra fraternità presbiterale sono parziali e le collaborazioni tra parrocchie e zone pastorali sono ancora piuttosto deboli. Ora se è vero che la storia non si cambia, è però vero che dipende da noi come la affrontiamo. E uno dei modi è ritornare alle motivazioni di fondo teologiche e spirituali che alimentano l’obbedienza cristiana e quella del ministro ordinato. Poi resta sempre un lavoro personale da condurre su se stessi per guardare in faccia i propri compromessi o le proprie giustificazioni e per affrontare le tentazioni contro di essa. Papa Francesco ha individuate alcune delle tentazioni degli operatori pastorali o degli operatori della Curia che potrebbero esserci utili per un serio esame di coscienza e una revisione di vita.

Ritorno alle fonti dell’obbedienza

Intanto come indicazione generale mi pare necessario per tutti noi un ritorno alle fonti, per riaprire il cuore a questo valore che Gesù ha vissuto fino all’ultimo respiro, fino al sangue. E per noi le fonti più vicine sono, dopo la Sacra Scrittura, nel Concilio Vaticano II, massima autorità magisteriale per la Chiesa oggi.

Nella Presbiterorum Ordinis 15, il Concilio, definisce l’obbedienza come quella “disposizione d’animo per cui (i presbiteri) sempre sono pronti a cercare non la propria volontà, ma il compimento della volontà di colui che li ha inviati (Cf. Gv 4,34; 5,30; 6,38)”. Tratteggiando poi le esigenze spirituali nella vita dei presbiteri, mette subito in luce la premessa indispensabile all’obbedienza: l’umiltà. Essa si sposa con l’amore filiale e apre il cuore alla volontà del Padre. L’umiltà ci aiuta a riconoscere che solo Lui è Dio e noi siamo solo sue creature, ma ci mette anche nella disposizione giusta di figli che obbediscono perché si riconoscono amati da un Padre così grande.  

“Consapevole quindi della propria debolezza, – dice PO 15 –  il vero ministro di Cristo lavora con umiltà, cercando di sapere ciò che è gradito a Dio (Cf. Ef 5,10), come se avesse mani e piedi legati dallo Spirito (At 20,22), si fa condurre in ogni cosa dalla volontà di colui che vuole che tutti gli uomini siano salvi. E questa volontà la può scoprire e seguire nel corso della vita quotidiana, servendo umilmente tutti coloro che gli sono affidati da Dio, in ragione della funzione che deve svolgere e dei molteplici avvenimenti della vita.”

Abbiamo ascoltato nella lettura dalla Lettera agli Efesini che tutti i ministeri con i carismi che li vivificano, sono dati per edificare il Corpo di Cristo. E questo è il criterio di discernimento iniziale della vocazione del seminarista e del futuro diacono, perché nessuno è chiamato per realizzare se stesso, ma per il servizio al Popolo di Dio. Questo è anche il criterio della nostra missione, che è efficace solo se è svolta in comunione tra tutti noi ministri ordinati e con tutti gli altri fedeli. Il valore dell’obbedienza dei ministri è dunque a servizio del valore fondante della comunione ecclesiale: senza obbedienza cristiana e ministeriale non c’è comunione né missione, non c’è Chiesa. La Presbiterorum Ordinis (15) dice:

“Il ministero sacerdotale, dato che è il ministero della Chiesa stessa, non può essere realizzato se non nella comunione gerarchica di tutto il corpo. La carità pastorale esige pertanto che i presbiteri, lavorando in questa comunione, con l’obbedienza facciano dono della propria volontà nel servizio di Dio e dei fratelli, ricevendo e mettendo in pratica con spirito di fede le prescrizioni e i consigli del sommo Pontefice, del loro vescovo e degli altri superiori, e dando volentieri tutto di sé in ogni incarico che venga loro affidato (2 Cor 12,15), anche se umile e povero. Perché con questo atteggiamento custodiscono e rafforzano la necessaria unità con i fratelli nel ministero, specialmente con quelli che il Signore ha costituito reggitori visibili della sua Chiesa, e lavorano per la edificazione del corpo di Cristo (Ef 4,11-16)”.

Il Concilio poi definisce le caratteristiche che rendono l’obbedienza non solo virtuosa dal punto di vista morale e spirituale, ma anche capace di promuovere la piena umanità del ministro. L’obbedienza infatti deve essere libera, attiva e creativa, e inoltre responsabile e volontaria.

“Questa obbedienza, che porta a una più matura libertà di figli di Dio, esige per sua natura che i presbiteri nello svolgimento della loro missione, mentre sono indotti dalla carità a cercare prudentemente vie nuove per un maggior bene della Chiesa, facciano sapere con fiducia le loro iniziative…  Con questa umiltà e obbedienza responsabile e volontaria i presbiteri si conformano sull’esempio di Cristo, e arrivano ad avere in sé gli stessi sentimenti di Cristo Gesù… (Fil 2,7-8).

Pastores Dabo Vobis e primato dell’obbedienza

Nel Giovedì santo del 1992, il grande Papa Giovanni Paolo II, quasi trent’anni dopo il Vaticano II, confermò e arricchì l’insegnamento sul Ministero ordinato dal punto di vista teologico e spirituale con la Pastores Dabo Vobis.

Anche l’obbedienza fu riproposta (PDV 27 e 28), nel contesto della santificazione del ministro ordinato, configurato col sacramento dell’Ordine a Cristo Capo e Servo, Pastore e Sposo della Chiesa, perché agisca nel nome e nella persona di Cristo, mosso dalla carità pastorale. Poi essa è vista come espressione del radicalismo evangelico che caratterizza la sequela e l’intima comunione col Cristo per noi pastori, che siamo chiamati non solo a stare «nella» Chiesa, ma anche «di fronte» alla Chiesa.

Certo le virtù necessarie alla nostra identità e al nostro servizio pastorale – dice PDV – sono tante: per esempio la fede, l’umiltà di fronte al mistero di Dio, la misericordia, la prudenza; poi i diversi consigli evangelici, che Gesù propone nel Discorso della Montagna. Tra questi però dalla tradizione ereditiamo in particolare quelli di obbedienza, castità e povertà, espressi proprio in questo ordine, come dire che l’obbedienza per noi ministri ha un certo primato e una funzione di sostegno per la castità e la povertà.

L’esortazione apostolica presenta poi una novità (PDV 28), perché vengono approfondite tre caratteristiche dell’obbedienza, peculiari della nostra vita spirituale: l’apostolicità, l’esigenza comunitaria e la pastoralità.

Obbedienza “apostolica”

La nostra è un’obbedienza prima di tutto «apostolica», nel senso che “riconosce, ama e serve la Chiesa … nella comunione con il sommo Pontefice e con il Collegio episcopale, in particolare con il proprio Vescovo diocesano, ai quali sono da riservarsi «il filiale rispetto e l’obbedienza»”. Questa «sottomissione» “…deriva dalla libertà responsabile del presbitero, che accoglie… quella grazia di discernimento e di responsabilità nelle decisioni ecclesiali, che Gesù ha garantito ai suoi apostoli e ai loro successori, perché sia custodito con fedeltà il mistero della Chiesa” e perché la comunità cristiana venga servita nel suo unitario cammino verso la salvezza.

E c’è una riflessione che i presbiteri non devono dimenticare: solo chi sa obbedire in Cristo, sa come richiedere, secondo il Vangelo, l’obbedienza agli altri! “L’obbedienza cristiana autentica, rettamente motivata e vissuta senza servilismi, aiuta il presbitero a esercitare con trasparenza evangelica l’autorità che gli è affidata nei confronti del Popolo di Dio: senza autoritarismi e senza scelte demagogiche”.

E qui a proposito dell’obbedienza apostolica, chiedo a me e a voi: quanto stiamo obbedendo come clero alle indicazioni spirituali e pastorali della Evangelii Gaudium e dell’Amoris Laetitia, circa lo slancio missionario e la famiglia come centro della pastorale? E quanto stiamo orientando parrocchie, associazioni, uffici pastorali verso i tre obiettivi generali che abbiamo promosso in diocesi in questi cinque anni: crescere nella comunione, approfondire la formazione a tutti i livelli, aprirci coi fatti a una riforma missionaria nella pastorale ordinaria (nella catechesi, nella carità, nelle comunicazioni sociali, verso la famiglia e verso i giovani)? Ci lasciamo orientare e aiutare dagli uffici pastorali diocesani nel rinnovamento della pastorale? Quanta preghiera e attività per le vocazioni di speciale consacrazione e per la nostra missione diocesana proponiamo e incentiviamo? Lo chiedo anche a me.

(continua)

 

+Lorenzo, Arcivescovo 

 

Mons. Lorenzo Ghizzoni – Omelie e Interventi