Il Vangelo della notte di Natale

Il Vangelo
della notte di Natale

 

Is. 52,7-10; Salmo 97; Eb. 1,1-16; Gv 1,1-18

Commento a cura di padre Mario Colombo, parroco di Pievequinta e Massa Castello

 

“Dio con noi” possiamo riassumere in questa affermazione il senso del Natale. Il Padre che si prende cura dell’umanità ferita attraverso l’Incarnazione del Figlio. La gioia, espressa nella prima lettura del profeta Isaia, si radica nella certezza della salvezza che opera nella storia “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: ‘Regna il tuo Dio’”. Gesù è la buona notizia e noi dobbiamo insistere su questa notizia che è il Verbo fatto carne. Dio ha fiducia nell’uomo nonostante tutto, fiducia nell’uomo nonostante le sue fragilità, il suo peccato, le sue chiusure. Dio non si smarrisce mai davanti alle nostre iniquità, ma accentua il suo amore, la sua misericordia, la sua tenerezza di padre facendoci dono del suo Figlio, facendoci dono della presenza più cara che aveva accanto a sé. Feriti da questo amore siamo chiamati ad aprire il nostro cuore, siamo chiamati a rialzarci e a riprendere il cammino d’amore che si estende ad ogni uomo nel segno dell’amicizia e della vita fraterna. La sorpresa è che Dio ha fiducia in me e mi invita a far uscire dal mio cuore ciò che c’è di bello per sconfiggere il male che cerca di riassorbire tutto e di togliermi la gioia e la possibilità della speranza.  La lettera agli Ebrei ci ricorda che “In questi giorni, Dio ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Oggi, nel nostro quotidiano, Dio parla a noi attraverso il Cristo. Non siamo mai soli, Lui è lì che offre ogni giorno all’uomo il suo amore e la sua misericordia. Da questa presenza impariamo un nuovo modo di essere che è fatto di attenzione verso l’altro, è fatto di accoglienza, di pietà, di pace, di giustizia. Lasciare il Cristo significa perdere quella gioia che genera amore e fiducia nei confronti della vita. Il Natale, la nascita dell’Emmanuele, è un inno alla vita, quella vita che noi contempliamo nel grembo delle mamme, quella vita fragile e debole che va amata, curata nel suo crescere perchè ogni età della vita ha una sua bellezza e una sua innocenza da custodire e da ritrovare quando questa si smarrisce nei sentieri del peccato.

Meravigliosa è la lettura del Prologo di Giovanni che partendo dal mistero Trinitario ricco di Luce e di Vita arriva nel v. 14 alla centralità della fede cristiana che è l’Incarnazione “E il verbo si è fatto carne”. Noi siamo abituati ad accogliere questa verità senza pensarla più di tanto, ma essa è inizialmente uno scandalo, come può un Dio assumere una dimensione umana, una carne che nell’arco della vita crea più disagi che gioie? Questa carne fragile, debole, sorgente di infinite inquietudini, è assunta dal Verbo, dalla seconda persona della Santissima Trinità per amore, solo per amore, una categoria che mancava ad ogni riflessione umana precedente al mistero dell’Incarnazione. La natura umana assunta da Dio noi la contempleremo nel mistero della Risurrezione dove ritroveremo in cielo Gesù, vero Dio e vero uomo. Dante osservando il secondo cerchio della Trinità, quella del Verbo, scrive “Quella circulazion che si concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circumspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che’l mio viso in lei tutto era messo” (Par. XXXIII,127-132).