Il Pellegrinaggio in Terra Santa con l’Arcivescovo

Il Pellegrinaggio in Terra Santa con l’Arcivescovo
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 44/2012
 
Si è svolto dal 9 al 16 novembre il pellegrinaggio in Terra Santa guidato da Mons. Giuseppe Verucchi. Nel ringraziare l’Arcivescovo per il ruolo svolto come guida spirituale per noi pellegrini, riporto una sintesi dei suoi interventi in quello che è stato un viaggio alla scoperta delle radici della fede cristiana, visitando i luoghi in cui è nato, vissuto e morto Gesù. Per motivi di spazio, non è possibile citare tutti i luoghi visitati, davvero numerosi, e per ciascuno dei quali Mons. Verucchi ha fornito un profilo storico, un approfondimento sui relativi passi del Vangelo e dell’Antico Testamento e proposto un momento di preghiera. Oltre a Mons. Verucchi, ci hanno accompagnato Don Marco Cavalli della Parrocchia di Lido Adriano, Don Giuseppe Negretto della Parrocchia di Porto Maggiore, Don Alessio Baggetto di Punta Marina, Don Gabriel Kapko di Madonna dell’Albero. Agli organizzatori Don Arienzo Colombo (direttore dell’Ufficio Pastorale del Turismo della Diocesi e parroco di Porto Corsini) e Licia Olmi va un ringraziamento particolare per la competenza e la pazienza. Durante il pellegrinaggio sono riprese le ostilità fra arabi e israeliani ed è con grande dispiacere che ripenso a questo Paese martoriato dai continui scontri e bombardamenti dove il nostro gruppo di pellegrini, circa una settantina (provenienti dalle Diocesi di Ravenna-Cervia, Bologna, Modena e Milano) ha vissuto una intensa esperienza di fede. Nel momento in cui sto scrivendo è stato firmato un accordo per il cessate il fuoco, grazie agli interventi diplomatici di Stati Uniti ed Egitto. L’augurio da parte di noi tutti è che un giorno questa bellissima terra possa finalmente trovare la pace.
Dall’aeroporto di Tel Aviv ci siamo spostati in pullman in direzione di Haifa, una delle città più industrializzate di Israele, vivace e relativamente tranquilla per quel che riguarda la convivenza tra ebrei e musulmani. Raggiungiamo Cesarea Marittima al tramonto; ciò che rimane della città romana fondata da Erode sono solo resti archeologici arenati nei pressi del lago di Galilea. Qui, ci spiega Mons. Verucchi, fu battezzato da Pietro il primo pagano, Cornelio, e sempre qui venne catturato l’apostolo Paolo che si appellò alla sua cittadinanza romana per essere giudicato dal tribunale; nell’attesa di ricevere una risposta da Roma, rimase a Cesarea da 58 al 60. Il primo giorno di viaggio si conclude con la celebrazione della Messa al Monte Carmelo. In realtà il Carmelo è una catena montuosa; su una di queste montagne, lunga 25 km e coperta da una rigogliosa vegetazione, andavano a vivere gli eremiti, fra i quali anche il profeta Elia, che fu costretto a fuggire perché in conflitto con le autorità, da lui criticate perché adoravano divinità pagane. Ai tempi delle crociate un altro gruppo di eremiti devoti alla Madonna fece ritorno qui e costruì per Lei una chiesa-fortezza, la Stella Maris. Nel 1798 arrivò Napoleone a saccheggiarla e a combattere contro i turchi. In ricordo di questo tragico evento davanti all’edificio si trova una piccola piramide che ricorda le vittime. Il secondo giorno ci troviamo a Nazareth e ci dirigiamo verso il lago di Galilea, dove Gesù ha compiuto il maggior numero di miracoli. A 30 anni Gesù lascia la famiglia e si trasferisce a Cafarnao, forse a casa della suocera di Pietro, forse da Giacomo e Giovanni e qui, dopo il battesimo nel Giordano, inizia a predicare. E’ uno dei pochi luoghi rimasti intatti, sfuggendo all’industria balneare e anche in una giornata piovosa e grigia come quella che accompagna il nostro giro sul battello questo semplice paesaggio naturale riesce a trasmettere il senso del sacro. L’esperienza del lago, ci dice il Vescovo, può essere una delle più intense del pellegrinaggio. Si parte da nord e si vedono Magdala, il Monte delle Beatitudini, Tabga, Cafarnao, fino al fiume Giordano. Si intravedono anche le alture del Golan, dove gli ebrei si sono organizzati in kibbutz, anche se i territori apparterrebbero alla Siria e si teme, se un giorno se ne riappropriasse, possa utilizzare per lanciare la bomba atomica contro Israele. In questo lago avviene la pesca miracolosa; nelle sue vicinanze, a Tabga, c’è stato il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci: è da qui che Gesù vede la folla che lo sta seguendo, disorientata, e ne ha compassione; qui vicino i maiali si sono gettati in mare; qui Gesù ha sedato la tempesta che aveva spaventato i suoi discepoli. Qui, infine, ha camminato sulle acque dominando il male e la paura che fa sprofondare l’uomo nel peccato. Sono circa una sessantina i luoghi della vita di Gesù, molti dei quali sacralizzati attraverso la costruzione di una chiesa, che oggi possiamo visitare grazie all’impegno dei frati francescani che vi si sono trasferiti poco dopo la morte di Francesco nel 1226. Nel 1342 il Papa affida loro la custodia dei luoghi della Terra Santa e a suggello di questa missione vi è il simbolo della croce cosmica. I francescani non sono però gli unici custodi, anche il Patriarcato della Chiesa ortodossa si adopera affinché rimanga viva in Medio Oriente la testimonianza cristiana, malgrado le crescenti difficoltà dovute ai continui scontri e alla scarsità di lavoro che spingono i fedeli ad emigrare. A Cafarnao, che oggi non esiste più, visitiamo gli scavi archeologici di una sinagoga e la grotta vicino alla quale si trovava la casa di Pietro. Nel pomeriggio visitiamo la chiesa nei pressi del Monte delle Beatitudini sul quale Gesù ha pronunciato il discorso della Montagna, una magnifica costruzione con ampi porticati, circondata da un giardino pullulante di fiori e pervasa da un’atmosfera serafica, che invita alla preghiera e al silenzio. La serata si trascorre a Nazareth, nella Basilica dell’Annunciazione a Maria, siamo a centinaia, accompagnati dai canti dei cristiani arabi e da moltissimi cristiani di altre nazionalità. A Nazareth vivono 70.000 ebrei, 38.000 musulmani e 32.000 cristiani divisi in varie confessioni. Foucauld rimase qui tre anni sviluppando la ‘spiritualità di Nazareth’ detta anche ‘spiritualità del quotidiano’, ispirandosi alla vita che ha condotto Gesù fino a 30 anni, con una famiglia, un lavoro, la preghiera in sinagoga. Quest’ultima è andata distrutta, quindi i francescani hanno acquistato una casa trasformandola in una ‘finta’ sinagoga, dove il Vescovo ci ha spiegato le fasi principali di una funzione religiosa ebraica del tempo e le aspettative degli ebrei verso il messia annunciato dall’Antico Testamento: un uomo trionfante in grado di sollevare le sorti di un popolo vessato per secoli; invece ecco che Gesù, figlio di un falegname, si proclama figlio di Dio e recita i passi di Isaia, ‘lo spirito del Signore è sopra di me’ e questo li scandalizza. Il pomeriggio è dedicato al Monte Tabor e a Cana. Il Tabor è stato acquistato dai francescani presso facoltose famiglie musulmane in un periodo (1600-1650) in cui l’Islam era più moderato, ora la proprietà è divisa tra cristiani ortodossi e cristiani latini (cattolici). La basilica dedicata all’episodio della trasfigurazione, uno dei più belli del Vangelo, ha al suo interno tre cappelle, quella centrale dedicata a Gesù e le altre due, più piccole, a Elia e Mosè. A Cana giungiamo quando è ormai sera, è il luogo in cui Gesù compie il primo miracolo trasformando l’acqua in vino ad una festa di nozze; qui le coppie di coniugi, una decina circa, hanno rinnovato le promesse matrimoniali. Il terzo giorno partiamo per le acque del fiume Giordano, ma facciamo prima una breve sosta nei pressi del mar Morto poi si va verso Gerico, la città più antica del mondo. Nel deserto, un paesaggio tra i più affascinanti che si possano ammirare in Terra Santa, Mons. Verucchi ha spiegato la natura delle tentazioni, l’attualità del messaggio cristiano che vale per l’uomo comune ma soprattutto per l’uomo di potere che cede spesso alla tentazione di usare la propria autorità per schiacciare il prossimo piuttosto che metterla a servizio alla comunità. Nel deserto del Qumran, invece, Mons. Verucchi ci ha parlato di un’altra tentazione, che riguarda i gruppi religiosi: quella di credersi degli eletti, di qui la necessità di formare un gruppo chiuso e di isolarsi. E’ quello che fecero gli esseni, frangia estremista degli ebrei che vennero a vivere tra queste montagne rocciose per studiare la Torah e vivere in piccole comunità. In seguito ad un incendio furono costretti a scappare, ma rimasero i loro manoscritti, custoditi dentro vasi di terracotta che trovò per caso un pastorello nel 1947. Il giorno dopo siamo a Betlemme, nella basilica dentro alla quale è custodita la grotta della Natività, anch’essa gestita da ortodossi, mentre i latini custodiscono la sola mangiatoia e gli armeni una nicchia. Dopo un’estenuante attesa riusciamo a vedere e toccare il luogo in cui Gesù è nato, una stella d’oro indica il punto in cui ‘il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. L’imperatore Adriano si adoperò per cancellare la memoria di Gesù facendo costruire sopra la grotta un tempio pagano, finché il vescovo Macario non andò a lamentarsi da Costantino che ordinò di erigere la basilica. Al suo interno si trova anche la cappella di Santa Caterina dove viene celebrata la Messa da Mons. Verucchi, poi ci dirigiamo nella chiesa dedicata all’annuncio ai Pastori, una categoria sociale disprezzata, all’epoca, perché a contatto con le bestie e incline al furto. Anche in questo caso il Signore ha voluto ‘far piazza pulita’ del senso comune, portando l’annuncio del Salvatore proprio a loro per primi, affinché tutti comprendessero che Dio ama l’umanità e che la salvezza è possibile, se la si desidera, per tutti, non solamente per i bravi, i puri, i probi. Betlemme sta vivendo un profonda crisi economica che colpisce soprattutto i cristiani e la costruzione del muro che la separa da Gerusalemme, alcuni anni fa, ha peggiorato le cose; d’altra parte, i continui attentati kamikaze dei palestinesi hanno portato gli israeliani ad esasperare il loro bisogno di sicurezza che emerge ancora di più il giorno seguente quando raggiungiamo finalmente la Città Santa. Una città controllata in modo capillare da giovani soldati che dedicano ben due anni al servizio militare (e per i maschi è obbligatorio prestare un mese all’anno di servizio fino a 40 anni). Ciò però non toglie bellezza a una metropoli che è moderna e arcana al tempo stesso, perché qui si trovano i santuari più importanti delle tre grandi religioni monoteiste (cristiana, ebraica e islamica), perché in nessuna città come questa, credo, la propria identità religiosa è così orgogliosamente manifestata e anche per i cristiani è sorprendente vedere la stragrande varietà di confessioni esistenti. Ce ne rendiamo conto ancora di più all’interno della Basilica del Santo Sepolcro, un luogo buio, che suscita malinconia e sofferenza, perché è il posto in cui è stato deposto il corpo di Cristo flagellato. Al piano di sopra, invece, si trova la roccia del Calvario dove si pensa sia stata piantata la croce; accanto c’è un dipinto in cui la Vergine Maria, vestita di nero e sfigurata dal dolore, non ha più un volto e l’apostolo Giovanni piange ai piedi del suo Maestro. La roccia, nella parte inferiore risulta spaccata, quindi il terremoto che schiantò la terra dopo la sua morte narrato nel Vangelo pare essere avvenuto veramente. Ogni confessione cristiana ha all’interno della basilica una sua cappella: latini, ortodossi, copti, armeni, siriani, ognuno rivendica qui un proprio spazio, a volte anche con piglio polemico. Alcuni pellegrini sono rimasti all’interno della basilica anche durante la notte per una veglia di preghiera, descrivendola come un’esperienza molto toccante. Il portone viene chiuso tutte le sere alle 7 seguendo un lento e preciso rituale a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere e, sempre all’interno della basilica, abbiamo seguito una processione recitata dai francescani in latino accompagnata dai canti gregoriani, mentre l’ultimo giorno, al mattino presto, è stata celebrata la messa da Mons. Verucchi, a cui ha fatto seguito la via crucis all’interno del suk arabo. Ci congediamo da Gerusalemme per raggiungere Tel Aviv ormai molto stanchi, ma con una fitta di nostalgia che prende sempre più piede e diventa più forte all’aeroporto, quando ci si saluta, abbracciandoci e ringraziandoci a vicenda per le cose belle vissute insieme.
Anna Cavallo
 
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