Don Giovanni Minzoni. Educatore e martire
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 31/2013
Nicola Palumbi, animatore di circoli culturali e giovanili, fa parte del ‘Centro Studi Cristiani Don Minzoni’ di Argenta e ha pubblicato nel 2003 il libro ‘Don Giovanni Minzoni. Educatore e martire’ (ed. San Paolo) Dal capitolo 7 (L’educatore dei ‘forti e liberi’) presentiamo alcune pagine che ben mostrano la forte impronta educativa che ebbe l’azione di Don Giovanni Minzoni.
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Il 1923 trova il potere fascista ad Argenta pienamente legale, con un suo sindaco, voluto, come abbiamo scritto nel precedente capitolo, dalla maggioranza dei cittadini con le elezioni del dicembre, 28 consiglieri su 30. Quindi più forte. Ma anche più sicuro perché a Roma, dall’ottobre precedente, capo del governo è Mussolini. L’amministrazione, le forze di polizia, la maggioranza delle strutture economiche e sociali tutte o del o con il Fascio. Un vero blocco. Don Minzoni è sempre più solo. Il prenderne atto acuisce la sofferenza, ma non si arrende. Ha già scelto la sua strada. Non verrà a patti. Sa che deve convivere, dialogare, trattare per difendere e, se possibile, ampliare gli spazi per attuare il suo progetto pastorale. Comincia con l’adattarlo alla nuova situazione e decide di attuarlo con rinnovato impegno. Non si fa illusioni sul tipo di lotta che l’attende. Sarà di certo più dura di quella conosciuta nei primi anni di apostolato, forse più di quella stessa di trincea, ma quella va affrontata a viso aperto, compromettendosi senza riserve.
Scrive in quei giorni:
‘Come un giorno per la salvezza della patria offersi tutta la mia giovane vita, felice se a qualcosa potesse giovare, oggi mi accorgo che battaglia ben più aspra mi attende. Ci prepariamo alla lotta tenacemente e con un’arma che per noi è sacra e divina, quella dei primi cristiani: preghiera e bontà. Ritirarmi sarebbe rinunciare a una missione troppo sacra. A cuore aperto, con la preghiera che spero mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo’. Per chi sa come poi andarono i fatti, non rimane che ammirata condivisione. Perfetta l’analisi della situazione (‘battaglia ben più aspra mi attende’), profetica la previsione del futuro (‘forse la morte’), coraggiosa e coerente la sua risposta (‘preghiera e bontà’).
Da questa lettera apprendiamo anche che Don Mesini, forse a più riprese, doveva avergli suggerito prudenza. Infatti scrive: ‘Seguirò pure il suo consiglio circa la prudenza’. Sembra un bimbo che promette più per affetto che per convinzione! Dopo l’elenco di tutte le sue attività, Don Mesini conclude: ‘Pastore benefico e caritatevole, consigliere apprezzato e ricercato, aveva la casa sempre aperta ai parrocchiani, specialmente ai giovani e ai bisognosi’. Nonostante il suo fervore apostolico, oggi dobbiamo riconoscere ‘ ma, di certo, ne prese coscienza anche don Giovanni allora ‘ che si era creato uno scollamento tra la proposta di un Vangelo incarnato nella società e il modo con cui era di fatto vissuto, specie a livello degli adulti. Ma per l’essenza del suo progetto pastorale, che è l’educazione dei giovani, sa che non può e non deve arrendersi. Ripone in loro piena fiducia. Sa che il domani è nelle loro scelte. E desidera con tutte le sue energie che siano scelte responsabili, coscienti e coraggiose. E’ in gioco la peculiarità della sua vocazione sacerdotale: essere educatore.
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Dietro i valori dello scoutismo, è immediato leggere quelli del progetto educativo di don Minzoni. La decisione di fondare ad Argenta un reparto scout consacra questa identità di giudizi e di mete. Inizia subito il lavoro organizzativo. In due mesi cresce e fiorisce mirabilmente. Non uno, ma due reparti. Svanisce ogni speranza per i fascisti di poter organizzare un gruppo balilla. Giustamente soddisfatto, don Minzoni scrive a don Mesini il 9 agosto: ‘Ho vinto la battaglia: abbiamo già gli esploratori in montura: 10 li ho mandati al campo, su a Vergato’: Erano quelli destinati a diventare i capi. (‘) A conclusione riportiamo uno scritto di quei giorni di don Minzoni. Vi è spietata lucidità di analisi, unita a eroica scelta di campo.
‘Quando un partito, il fascista, quando un governo, quando uomini in grande o in piccolo stile denigrano, violentano, perseguitano un’idea, un programma, un’istituzione quale quella del Partito Popolare e dei circoli cattolici, per me non vi è che una soluzione: passare il Rubicone e quello che succederà sarà sempre meglio che la vita stupida e servile che ci si vuole imporre’. Passiamo alla lettera. Rivela i pensieri e i sentimenti, i progetti, le scelte di don Minzoni che precedettero la morte. Rivela anche un tentativo estremo di ottenere rispetto per lo spazio educativo che era riuscito a conquistare per i suoi giovani. (‘)
‘In Argenta è sorta l’associazione dei giovani esploratori italiani, associazione che ha 10 anni, che in Italia opera nelle grandi città, che ha alte benemerenze’ e che in una parola non è né più né meno che una di quelle forme di associazione giovanile benedetta ed incoraggiata direttamente dal papa. I programmi sono conosciuti da chi vuol tenere aperti gli occhi, le finalità non sono dubbie, in una parola per gli onesti e per i sinceri è una grandiosa rinascita della nostra gioventù italica che alla scuola limpida, costante e profonda della religione si prepara a formare una patria più pura e più grande. In Argenta l’istituzione ha trovato degli oppositori tenaci, tiranni, uomini che sono veramente le mentalità del 1919, che dinanzi ad ogni onda di spiritualismo si ubriacano e vanno in incandescenza. (‘)
Quando promossi quest’associazione oltre che la benedizione di tante madri pensavo di avere il placet delle autorità e di coloro che pensano di dirigere le sorti di questo martirizzato paese. Dalle madri ne ho avuto le benedizioni’ ma dagli uomini così detti nuovi no, perché son ancora le coscienze di ieri.
Mi si vorrebbe contrapporre un solo argomento per infirmare la logica dei tristi fatti da me citati. ‘Tutto sarebbe ammissibile se ella non facesse della politica!’. Ebbene sono così sereno ed in buona fede che offro l’arma per colpirmi se ciò fosse possibile’. (‘)
Una lunga citazione che sembra concludere bene la narrazione. E’ una conferma che la più importante tra le ragioni del contrasto è la nascita e il consolidarsi del gruppo degli esploratori. Don Minzoni si presenta come sacerdote educatore. Fa appello alla coscienza (la parola compare ben sette volte!) e vuole formare coscienze evangelicamente libere, come uomo libero si dimostra lui scrivendo: ‘offro l’arma per colpirmi’.
E’ da sottolineare il coraggio che dimostra nel confronto dei fascisti con i socialisti: ‘gli uomini nuovi si dicono diversi ma si comportano come quelli del 1919, e anche peggio’.
Riafferma così l’antifascismo delle coscienze nella libertà e soprattutto nella libertà di educare. Non per vincere sull’altro ma per vivere per l’altro. Il conflitto è profondo e radicale, è certamente politico, le ragioni si scontrano sul piano educativo. Il Fascio decide di ‘dargli una lezione’. Ma è ucciso.
Certo era prete, ed era dal suo sacerdozio che attingeva animo e anima per i suoi ideali educativi. Ma fu ucciso, lo ripetiamo, perché educatore.
Martire per la libertà di educare.