Domenica 23 nelle parrocchie della diocesi si celebreranno le prime Sante Messe festive dopo il lockdown dovuto all’epidemia da Covid-19, con le norme stabilite dal protocollo firmato il 7 maggio dal Ministero dell’Interno e dalla Cei recepite a livello diocesano con le indicazioni che alleghiamo. Un momento di ritrovo importante per le comunità parrocchiali della Diocesi alle quali l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni ha voluto inviare un messaggio, attraverso una videointervista pubblicata sul sito e sul canale Youtube del settimanale diocesano Risveglio Duemila.
“In questo periodo di celebrazioni a porte chiuse – ha spiegato monsignor Ghizzoni – abbiamo condiviso la situazione di molti fratelli nella fede che vivono in luoghi in cui non c’è la Messa o non ci sono i sacerdoti o peggio Paesi in cui la Chiesa è perseguitata. Noi non siamo in questa situazione, e ora potremo tornare a celebrare”, con tutti i nostri fedeli, finalmente.
Ma il partecipare all’Eucaristia in questo momento di pandemia dev’essere per i cristiani, avverte l’arcivescovo, un’occasione di solidarietà e di attenzione per i più fragili: “Bisogna che allarghiamo lo sguardo e il cuore – spiega nella parte finale della videointervista – verso le persone che vivono questo periodo di abbandono e solitudine. Stiamo ripartendo e la solidarietà si deve manifestare, oltre che nell’andare a Messa insieme, anche nell’aprirci alle persone che sono in difficoltà nei nostri condomini, nei nostri paesi, per cogliere i bisogni e fare di questo un tempo di ulteriore carità e attenzione alle povertà materiali e morali presenti in mezzo a noi”.
Timore, da un lato ma anche grande gioia: sono i sentimenti espressi su questo passaggio delicato in una lettera firmata da mons. Ghizzoni assieme a tutti i vescovi della Conferenza episcopale emiliano-romagnola: “Timore – affermano nella nota – perché viviamo ancora nell’incertezza circa l’evoluzione della pandemia, della quale non si esclude un’ulteriore diffusione: di qui la prudenza, continuamente raccomandata dalle autorità civili, dal Papa, dai vescovi. Ma anche gioia grande perché possiamo cominciare ad incontrarci, a recuperare l’integralità dell’esperienza ecclesiale: di qui la speranza, alimentata per noi cristiani non tanto dalle proiezioni e dalle statistiche, quanto dalla parola di Dio e dalla fede”.
“È una condizione che richiede estrema prudenza, prima di tutto per una ragione di giustizia – concludono i vescovi –: non possiamo mettere a rischio la vita e la salute dei fratelli, specialmente quelli più fragili ed esposti; il principio di precauzione è una esigenza del principio di responsabilità. Per noi cristiani c’è inoltre una ragione di carità: il rispetto per l’altro, anzi la custodia dell’altro, è una traduzione pratica del comandamento dell’amore. Non avrebbe senso quindi partecipare alla mensa del Signore, qualora mettesse a rischio la salute dei fratelli. La prudenza si traduce in gradualità nella ripresa, osservanza scrupolosa delle disposizioni, attesa ulteriore nei casi di dubbio”.