Don Sandro nella sua San Biagio
Dal “RisVeglio Duemila” N. 28/2017
Per le feste di compleanno (quello degli 80 anni ad esempio) in genere “scappa” dalla parrocchia per non indulgere a festeggiamenti. Ma agli anniversari di sacerdozio tiene parecchio e venerdì prossimo, se la salute glielo consentirà, alle 18.30 don Giansandro Ravagna celebrerà Messa nella sua San Biagio assieme alla comunità nella quale ha vissuto per 60 anni (è diventato cappellano qui nel ’57 e poi parroco), all’arcivescovo Lorenzo e a don Paolo Trentini, ordinato con lui, per ringraziare dei tanti doni ricevuti.
E i doni sono stati tanti, non solo per lui. “Stare in mezzo alla gente: questo è fondamentale per un sacerdote”, aveva detto qualche mese fa in un’intervista a Risveglio. Prima di tutto ai suoi parrocchiani, ai quali ha voluto dire, lo scorso 3 febbraio della malattia (un tumore in fase avanzata) che oggi lo costringe a letto e a frequenti ricoveri.
“Oggi è forse più difficile – ragiona don Sandro nell’intervista del maggio scorso – ma i sacerdoti devono sempre stare vicino alle persone, entrare nelle case, non restare troppo legati al passato”. Ed è quello che don Sandro (come lo chiamano) ha cercato di fare per 60 anni, creando legami, dando fiducia e responsabilità e al contempo cercando di rendere la sua parrocchia sempre più ‘in uscita’ verso gli uomini e le donne del suo tempo. In una parola, donandosi, soprattutto nella celebrazione dei sacramenti, cioè donando Dio.
“In don Sandro vedo e ho sempre visto una risposta alla chiamata di Cristo che porta ad amare Dio e poi gli altri, e che ama Dio lo si capisce da come si amano gli altri – racconta Roberto Trevisan, parrocchiano anche lui da 60 anni a San Biagio e amico di don Ravagna –. Un esempio solo: eravamo a fare un ritiro di tre giorni, in silenzio assoluto. La prima sera gli arriva una telefonata, che poi scoprimmo essere della perpetua che gli annunciava che il padre sarebbe entrato in ospedale il giorno dopo, con il rischio di non uscirne più. Lui proseguì senza dirci nulla: solo la domenica ci disse di tornare da soli perché aveva bisogno di andare a casa. Da quello capii che eravamo importanti”. “Non ricordo che abbia mai fatto un giorno di ferie, se non per andare ai campi famiglie – aggiunge Pino Farinelli, altro parrocchiano storico di San Biagio e suo amico –. Io ancora gli do del ‘lei’ ma fu il primo a sapere che mi ero fidanzato con mia moglie”. È fatto appunto di legami quotidiani, di benedizioni nelle case, di formazione e assistenza spirituale ai giovani che negli anni ’70, ricorda Trevisan, erano in mille attorno alla parrocchia il rapporto di don Sandro con la sua comunità. “Quel che sapeva fare era dare fiducia – spiega –. Mi chiamò a fare catechismo, senza che avessi competenze specifiche, poi nel ’73, chiese a me e ad altri tre di prepararci per distribuire la Comunione, perché dopo il Concilio anche i laici potevano farlo. Fummo i primi in diocesi”.
Ma soprattutto è la fedeltà alla Messa e ai sacramenti a colpire i parrocchiani, oltre al tentativo di mostrare Dio e non se stesso: “Quando gli attribuivano un merito diceva che era per la santità del parroco precedente”.
“L’augurio che gli vorrei fare? Che possa celebrare ancora nella sua chiesa, nonostante la malattia”, butta là Pino. Il modo migliore per festeggiare 60 anni vissuti con Dio e in mezzo alla gente.
Daniela Verlicchi