Ravennanotizie.it – Intervista a Monsignor Lorenzo Ghizzoni Arcivescovo di Ravenna-Cervia – 28 marzo 2020

Ravennanotizie.it – Intervista a Monsignor Lorenzo Ghizzoni Arcivescovo di Ravenna-Cervia

Monsignor Ghizzoni, una volta, una pandemia come questa si sarebbe definita “castigo di Dio”. Oggi come possiamo definire questo Coronavirus?

“Diciamo che questa frase era e forse è ancora abbastanza diffusa. Non è pronunciata in modo così esplicito, ma l’ho sentita anch’io. Rispondo con una frase che abbiamo letto proprio domenica durante la messa, quando c’è un cieco dalla nascita che portano davanti a Gesù, e al Nazareno chiedono: ‘ma chi ha colpa per la sua malattia, lui o i suoi genitori?’ Gesù risponde: ‘non ha colpa nessuno. È così perché si manifesti la bontà e la gloria di Dio’, che lo guarirà. Io credo che non dobbiamo cadere in una specie di trucco psicologico per cui tutte le volte che c’è qualcosa che non va bene dobbiamo cercare la colpa in qualcuno. E quando non c’è nessun colpevole, dobbiamo stare attenti ad attribuire il tutto semplicemente a Dio. È un modo per fuggire dalla realtà e per scaricarsi delle nostre responsabilità. Ci sono risposte che vanno cercate e date a questo fenomeno, altrimenti rimane davvero un fatto senza senso.”

Ma se Dio esiste, perché consente tutto questo dolore? Perché non viene incontro alla sofferenza degli uomini, dei suoi figli? Sono domande che si fanno spesso i credenti e anche i non credenti, ovviamente con prospettive diverse.

“Sì, è una domanda che ci facciamo, naturalmente. Allora dobbiamo saper dire che il male, i mali, hanno origini fisiche, nella natura, a volte nella cattiva organizzazione o nella cattiva volontà degli uomini. A volte il male è originato dall’uomo che fa il male, dal delinquente, da chi procura un incidente, fino al male di chi esercita potere su altri uomini. Ci sono tanti mali figli del male che produciamo noi umani. Forse nell’origine del Coronavirus c’è anche qualche responsabilità degli uomini, per come abbiamo gestito male l’ambiente, per come ci siamo rapportati in modo sbagliato con la natura, forse con gli stessi animali, per cui capitano poi di questi “incidenti”. Non è la prima volta. È già successo anche con virus meno aggressivi e mortali di questo.”

E Dio?

“Ecco, Dio. A partire dal Vangelo, non vediamo un Dio che fa miracoli a ogni piè sospinto. Non entra nella nostra storia e cambia le cose solo perché noi pensiamo che ce ne sarebbe bisogno o che sarebbe giusto. Perché il male che Dio ha assunto su di sé con Gesù Cristo – che ha subito il male del mondo, il male degli uomini – diventa nel Vangelo e nella fede cristiana una spinta per combatterlo, per guarirlo. Se uno rilegge i Vangeli nota che Gesù comincia la sua missione annunciando l’arrivo del Regno dei Cieli e proprio guarendo i malati. E quando alla fine dà mandato agli Apostoli di continuare la sua azione lui dice: ‘andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo e guarite i malati’.”

La malattia fisica come metafora del male tout-cort.

“Sì. C’è un’attenzione particolare che i cristiani debbono avere nel combattere contro tutte le malattie e tutti gli altri mali del mondo. Anche il male morale. La delinquenza. L’inganno. L’ingiustizia. La violenza. Tutto quello che è male va combattuto dal cristiano. E Dio ti dà la forza, l’intelligenza, la sapienza, la capacità per distinguere il bene dal male, per fare il bene e combattere il male. Per cui Dio ha reso noi protagonisti nella lotta contro il male e vuole che siamo noi che ci assumiamo le nostre responsabilità. In questi giorni guardando i telegiornali ho visto medici, infermieri, personale sanitario, volontari, tutti impegnati e allo stesso tempo preoccupati, gente che va a lavorare tutti i giorni senza avere una protezione sicurissima e rischiando a volte la vita. Qui c’è qualcosa che sta spingendo tutta questa grande quantità di persone non solo a fare il proprio dovere, ma di più, di più. C’è una spinta al bene. Alla solidarietà, all’aiuto per gli altri, alla protezione e alla cura degli anziani e dei più deboli. È una cosa meravigliosa.”

È un grande patrimonio spirituale, di valori, che gli uomini stanno mostrando. La bellezza dell’umanità.

“Sì. Sì. Sta venendo fuori il volto migliore dell’Italia che noi abbiamo spesso sottovalutato e che invece andrebbe messo in mostra molto di più. Dio agisce attraverso le persone che compiono il bene e lottano contro il male. E in questo che sta succedendo sotto i nostri occhi io vedo la sua presenza.”

Quanto è importante la fede in un momento drammatico come questo? I laici in questi frangenti si trovano spesso più soli e meno attrezzati rispetto a chi crede.

“(Ride, ndr) Sì. Sa che c’è un famoso filosofo tedesco Ernst Bloch  che ha riflettuto sul “principio speranza”. Lui dice che il martire cristiano ha dei vantaggi rispetto all’ “eroe rosso”, lui lo chiama così, perché il cristiano ha la speranza anche nella vita eterna. Mentre l’altro no, se compie un gesto di eroismo e rischia la vita, lo fa solo per la causa dell’uomo, senza questo traguardo. Ci vuole più coraggio, in un certo senso, perché la morte per lui è definitiva”

Senza premio finale.

“Sì. E senza questa fiducia nel fatto che c’è un’altra vita, bella e piena, dopo. Ma questo è un monito per gli stessi cristiani, per dire, attenzione questa speranza non è proprietà esclusiva di qualcuno. Quasi tutte le religioni aprono uno spiraglio alla vita ultraterrena, noi cristiani però abbiamo l’annuncio della Resurrezione che ci permette di dire che la vita non finisce qui. Essa ci permette di vivere con meno ansia il presente, e nel presente di vivere non solo per noi stessi ma anche per fare il bene, essere altruisti, dedicarci agli altri. Perché se in questo impegno io dovessi perdere la vita, dopo avrò un’altra vita che mi riempirà di tutto quello che sulla terra non ho potuto avere. È questa la consolazione, la grande speranza del cristiano.”

Lei prima parlava di questo patrimonio di solidarietà e di altruismo che stanno tirando fuori oggi gli italiani. Lei è certo che dopo tutto questo l’Italia sarà migliore di prima?

“(Ride, ndr) Certamente è una speranza. Noi uomini e donne siamo tutti deboli e di fronte alle difficoltà e ai problemi della vita possiamo anche ripetere gli errori del passato. Però è anche vero che un’esperienza collettiva così intensa come quella che stiamo vivendo è una cosa che segna e che ti rimane dentro. Spero che domani favorisca delle relazioni di maggiore disponibilità e attenzione agli altri. Di maggiore umanità. Quest’esperienza ci ha fatto scoprire quello che c’era già anche prima e che magari non veniva fuori: quella solidarietà fra le persone, nelle famiglie, nei gruppi, nei condomini, nelle piccole comunità, nei quartieri, quei rapporti positivi di vicinanza che hanno portato a aiutare le persone sole, anche prima. Adesso tutto questo è uscito fuori in modo clamoroso. E ci sono anche tanti giovani protagonisti, che aiutano, danno una mano. Sono esperienze che segnano in profondo, che fanno crescere. Certi valori quando si scoprono e si praticano, poi rimangono impressi nel cuore, nell’anima. Quindi c’è la speranza che non vengano ricacciati dentro, che continuino a influenzare anche dopo le decisioni e le scelte di vita. Certamente, questo non significa che diventiamo poi tutti santi.”

Insomma per dirla con Papa Francesco questa tragedia è anche un’occasione che non va sprecata per diventare migliori.

“Sì, sì. Questa tragedia potrebbe essere una tentazione perché rischia di gettarci nella disperazione. Ma se la viviamo con questo atteggiamento positivo e di raccolta di forze e persone per combattere insieme la battaglia per il bene, direi che diventa un’occasione positiva. Sta un po’ a noi fare questo.”

Quanto è crudele e difficile in questo momento non potere nemmeno stare accanto ai malati e dare degna sepoltura ai morti?

“Questa è davvero una cosa tragica. Io stamattina sono andato al nostro cimitero a pregare, a cancelli chiusi, una preghiera per tutti i morti ma soprattutto per quelli di questi giorni che non hanno ricevuto nessun conforto. Perché anche per chi è malato al massimo, se va bene, c’è una videochiamata se l’infermiere che ti assiste riesce a organizzarla con un cellulare e se lui ce la fa. Altrimenti ti portano via in ambulanza e non rivedi più nessuno; i tuoi cari ricevono una telefonata che non ci sei più e ti ritrovano solo al cimitero, quando sarà aperto. Se penso a tutto quell’insieme di affetti, comportamenti, riti e valori anche culturali, che ruotano intorno al passaggio dalla vita alla morte: sono tutte cose ora scomparse, ne siamo privati. Una privazione che dà una sofferenza indicibile e che non permette nemmeno di elaborare pienamente la perdita, il lutto. Devi macinare tutto da solo. È terribile.”

Anche per la comunità dei credenti è un momento difficile. In fondo al centro dell’esperienza cristiana c’è la comunione, c’è il pregare insieme, c’è l’unione dei credenti e la loro riunione con il pastore. Quanto mancano questi momenti oggi? Quanto è straniante il rito della messa a distanza?

“Sì, sì. Ho celebrato anch’io la messa in questi giorni senza fedeli di fronte, in una chiesa vuota, e debbo dire che proprio non è la stessa cosa. Viene meno un’esperienza umana fondamentale che è quella dello stare insieme, del guardarsi, del parlarsi, dello scambiare il segno di pace che oggi è proibito. Manca la comunione ecclesiale e comunitaria. Abbiamo cercato di sopperire con i media e i social per rimanere comunque in contatto con i fedeli: questi mezzi ti danno almeno la possibilità di immaginare che dall’altra parte c’è la condivisione di quel momento. Però manca qualcosa.”

Ma che umanità è quella che non si può incontrare, abbracciare, toccare?

“Manca qualcosa, appunto, il contatto diretto. È pur vero che la comunicazione a distanza, con i mezzi messi a disposizione dalle nuove tecnologie, potrà vedere nascere, sulla base di questa esperienza, qualcosa di nuovo e di positivo per mettere le persone in comunicazione anche quando sono distanti. Però niente può sostituire il contatto diretto.”

Nella tragedia che stiamo vivendo quanto la chiesa di Ravenna è impegnata con le parrocchie, i preti, le mense, i volontari, le associazioni?

“Abbiamo preso anche noi le opportune misure di sicurezza come sapete, che non ripeto qui. E ci siamo organizzati per fare la nostra parte. Ci teniamo in contatto fra noi con gli strumenti della tecnologia. Quasi tutti i parroci si sono organizzati a loro volta per poter comunicare a distanza con gruppi di fedeli, per esempio attraverso Facebook. Per quanto riguarda le opere di carità ci siamo attrezzati ma naturalmente non sono pochi i problemi. Per esempio nelle mense adesso distribuiamo con i sacchetti o pacchi senza che l’utente della mensa si possa fermare, c’è un rispetto rigoroso delle norme che rende meno accogliente e fraterno il servizio, ma è necessario. Ma c’è un impegno notevole perché la richiesta è calata da una parte, ma è cresciuta soprattutto da parte di anziani soli in casa.”

In una tragedia che accomuna tutti, le dispute ideologiche fra guelfi e ghibellini, fra laici e cattolici, fra partiti e religioni… tutto passa in secondo o terz’ordine. Non è così?

“Secondo me non è male questo. Perché a volte noi giochiamo troppo con le parole, ci arrampichiamo sulle nostre idee, alziamo muri di incomprensione o divisione. Vogliamo far emergere noi stessi, il nostro narcisismo, in certe dispute che giustamente questo dramma rimette a posto, per quelle che sono: piccinerie. Il Coronavirus ci ha riportato con i piedi per terra, ci fa vedere che ci sono valori fondamentali ben più importanti che dobbiamo difendere insieme, mettendo da parte individualismo, affermazione di sé, esibizionismo, partigianerie. E oggi quelle vecchie manifestazioni ci danno perfino fastidio, perché sono davvero fuori luogo. Spero che molti prendano lezioni anche da questo per il dopo.”

28-03-2020