Si è svolta la prima lezione del Corso Diocesano di Giornalismo
Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 43/2012
Si è svolta la prima lezione del Corso Diocesano di Giornalismo
Le nuove tecnologie e la metodologia dell’educatore
Mons. Guido Marchetti, nella serata del 15 novembre, ad apertura del 10° Corso Diocesano di Giornalismo che si svolge nella sala di Piazza Arcivescovado, 11 a Ravenna, ricordava che la primogenitura, l’idea di ricorrere alla formula del giornale, come mezzo di comunicazione, è da ascrivere al cardinale Agostino Gaetano Riboldi, pastore di Ravenna per una breve periodo, dal 15 aprile 1901 al 25 aprile 1902. Da allora, da quella nascita, la farina, impastata con debito lievito, ha generato un pane longevo ed ancora oggi vivo, dopo 110 anni, nel forno della nostra comunità diocesana.
Il 1902 era un momento storico difficile, quasi saccheggiato da molteplici cause di sofferenza, compresa la divisione del clero in tante fazioni. Un momento che assillava l’ultimo Cardinale a Ravenna con un interrogativo fisso. Come è possibile diffondere la parola del Signore in un ambiente dove non c’è partecipazione e la comunità dei sacerdoti è divisa? La soluzione fu trovata con il ricorso ad una luminosissima idea, quella di redigere un piccolo giornale che ha visto l’uscita con l’imprimatur del Cardinale solamente nel numero ristretto di sette edizioni. L’ottava, con le successive, ebbe vita con il suo successore, Guido Maria Conforti.
Dopo la debita puntualizzazione sulla genesi del nostro settimanale cattolico Mons. Marchetti si è ampiamente soffermato sull’insita caratteristica che appartiene allo strumento cartaceo di comunicazione. Come tale esso ha lo scopo di essere letto, è la sua funzione primaria, di ogni giornale. Se poi questo si identifica come cattolico il tema dell’evangelizzazione, specialmente quest’anno, anno della fede, non può mai essere ignorato, o tralasciato all’interno delle proprie righe. Di buon auspicio pertanto è stato considerata la formulazione di un nuovo corso diocesano di giornalismo, il decimo. Con esso si aggiunge un ulteriore tassello, una opportunità in più per fendere, mettere in luce e rinverdire tutti gli elementi che fanno da cardine all’annuncio evangelico.
Prerogativa inoltre del settimanale è quella di distinguersi per il suo contenuto. In esso non possono trovare spazio le cosucce, rimarremmo in questo caso relegati nel semplice pettegolezzo, si razzolerebbe in ambiti angusti, tetri, nelle minuterie, non si cambierebbe. Sono le idee invece che devono trovare dimora, fare da apripista nella costruzione del suo contenuto e sostanza. Con esse infatti si generano le grandi cose, i cambiamenti. Pieno titolo di inserimento e radicamento in questo contesto lo si deve attribuire con certezza alla Evangelizzazione, che possiamo e dobbiamo annoverare senz’altro come parte integrante della famiglia di quei contenuti che aprono la mente ed il cuore e rendono l’uomo, memori delle le parole indelebili del cardinale Tonini, un capolavoro nelle mani di Dio. Non dimentichiamo poi che a Fede, citando il Papa, è una porta sempre aperta per noi. Se il giornale quindi, come altoparlante, è una porta aperta a tutti, spetta a noi il compito, il coraggio di diffonderlo, di far maturare il desiderio di attenderlo il mercoledì presso le nostre abitazioni. Un desiderio probabilmente troppo azzardato, di grande respiro. Sarebbe comunque incoraggiante almeno fare riferimento a quelle famiglie cristiane che frequentano.
Rimane al giornalista, al collaboratore l’impegno, l’assillo, il coraggio, nonostante i paletti dei vari indugi, di diffondere, diffondere il linguaggio con il quale viene incarnata la grande Parola. Con il giornale cattolico, con la Parola annunciata infatti si aiuta il lettore a compiere il salto, come fece Bartimeo, figlio di Timeo, sulla soglia della porta di Gerico. Il suo fu un salto di gioia, ormai libero dall’impiccio del mantello, lanciato via, per aver riacquistato la vista dopo aver urlato con tutte le proprie forze la voglia di incontrare il Signore buttandosi ai suoi piedi, pur ostacolato dai vicini, da quanti sono dediti alle piccole cose, preoccupati non della sua cecità, ma di zittirlo perché elemento che recava disturbo. Un insegnamento attuale, calzante per il giornale che deve porre attenzione, attraverso le risposte date al Signore, all’ascolto, all’annuncio della Fede che salva, che fa riacquistare la vista ed invita alla sequela. Un compito che guarda gli avvenimenti con l’occhio della fede e si innesta nel rinnovamento della Chiesa attraverso la propria testimonianza, quella dei credenti, i chiamati in causa in prima persona.
In merito è opportuno pertanto chiederci: chi parla oggi di Dio?
La crisi che attanaglia la Chiesa è dettata dal fatto che non parliamo più di Dio. Per uscirne bisogna conoscere e vivere il pensiero cristiano. L’amore è in forza dell’amore e più mi impegno, più lo amo e lo diffondo. Gli animatori del giornalismo devono vivere questo impegno.
Mons. Marchetti concludeva il suo intervento esprimendo un desiderio ed un augurio per l’anno della fede. Abbiamo anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, serviamoci di questo sussidio prezioso, indispensabile. Facciamolo conoscere promulgandolo e contemplandolo. La famiglia, ogni comunità cristiana si esprima in modo corale, all’unisono, intonando e cantando lo stesso spartito, diretto dal medesimo maestro. La melodia che emergerà farà parte delle cose grandi che l’uomo, specialmente il cristiano può edificare.
Una introduzione ricca di immagini,forti, appropriate, di una persona che non manca di modernità. Nella Chiesa non c’è vecchiaia, ne vecchiezza, c’è solo giovinezza sottolineava il relatore della prima lezione, Don Giovanni Desio che, dopo l’espletamento di rito e prima di affrontare l’argomento della serata, ha auspicato per la decima edizione, nel 110° anno, altrettanta incisività come è stato per le edizioni precedenti.
Il tema estremamente attuale e di rilevante importanza, sia dal punto di vista umano, ma soprattutto per l’aspetto religioso, se si vuole dare una prospettiva autenticamente dinamica al destino dell’umanità, ha messo in luce l’encomiabile immagine dell’Educatore, immerso nella dinamica delle nuove tecnologie e didattiche generali di intervento.
Innanzitutto l’Educatore è un soggetto sul quale occorre ridimensionare caratteristiche, finalità e metodologie. Un secolo fa la sua figura, per il relatore ben espressa nell’immagine della nonna (quarta foto del dépliant del programma), rispondeva a certi requisiti epocali: storico, sociale, religioso. Aveva indubbiamente un peso specifico del tutto diverso. Oggi l’operatore, l’educatore, l’addetto alla formazione, il formatore è una realtà che si è enormemente complicata e si è confusa. Metodologia da una parte e finalità dall’altra. Anzitutto perché spesso non è chiaro il punto di arrivo, l’obiettivo, e non si conosce l’oggetto. Ovvero cosa passa tra l’educatore e il soggetto che è destinatario dell’agire, dell’atto, dell’azione del formatore, perché il fatto educativo richiede innanzitutto la dimensione irrinunciabile del fight back. La dove non c’è una risposta ad uno stimolo, dove non passano contenuti e non si ottengono risultati, la missione è fallita. Questo vale anche per la Chiesa che si propone l’Evangelizzazione. Se non ho chiaro il punto di arrivo e non ho ben delineati e non posseggo i mezzi idonei per trasmettere il contenuto per giungere a quei determinati destinatari, la missione è fallita. Ecco allora la necessità dell’essere consapevoli che quando si tratta di educazione parliamo anche di una connessione stretta con il termine missione.
Sappiamo benissimo che le dinamiche del marketing sono essenziali alla collocazione del prodotto sul mercato. Senza una strategia mirata, oculata il prodotto rimane sullo scaffale, rimane invenduto. Questo vale anche per i giornali, il reso. Un dato che riferito al Risveglio sarà affrontato, in modo compiuto, senza tralasciare i suggerimenti, anche con tono di richiamo, espressi in apertura da Mons. Marchetti, il 21 febbraio quando verranno celebrati solennemente i 110 anni di vita del settimanale.
Ritornando al tema dell’educazione, proseguiva Don Giovanni, dobbiamo tenere presente che oggi non si può prescindere dalla constatazione di un disagio, fortemente problematico, che attraversa un istituto giuridico quale è la famiglia. Una crisi sia in ambito politico, culturale ed anche religioso, in una parola sociale. Infatti se analizziamo l’ambiente in cui vive il destinatario dell’agire educativo, anche attraverso lo sforzo di quanti agiscono in questo settore, cioè il minore, il bambino, il ragazzo, le cose si complicano molto. Siamo di fronte al dato delle coppie di fatto, alle unioni omosessuali, al dibattito su adozioni da inserire nelle situazioni più difformi. Una evoluzione che stordisce e non si sa bene dove potrà sfociare. Pertanto è necessario l’azzeramento della riflessione. Il tutto deve essere ripreso daccapo.
In definitiva, riferendosi alla citazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, il relatore si diceva convinto che, o si educa cristianamente o la semplice educazione civica, o civile, non porta a nulla. Del buon cittadino che rispetta il semaforo o le strisce zebrate non ce ne facciamo niente se, quando di fronte a grandi problemi della vita, questa persona deve prendere atto del vuoto interiore che la rende incapace di qualsiasi scelta, anche la più coraggiosa, anche la più estrema. Pensiamo ai ragazzi, citando solamente quelli di una piccola parrocchia, che hanno paura di affrontare i problemi più semplici, banali, quelli scolastici della verifica, delle relazioni interpersonali, in generale dei rapporti con la famiglia, con le figure parentali, le più immediate.
L’attenzione educativa poi deve essere posta anche sulle nuove tecnologie, che sono una risorsa indiscutibile con l’emanazione di strumenti sempre più sofisticati. Esse possono essere di valido ausilio per l’Educatore. Bisogna però non rimanere analfabeti al loro affacciarsi sulla scena, ormai in modo irruente ed incalzante. Gli adulti, oggi, nell’epoca dell’informatica, se vogliono dialogare in modo efficace con i ragazzi, i giovani, facilmente avvezzi al nuovo che avanza, non possono rimanere insensibili al linguaggio che questo ha determinato e determinerà in prospettiva. I cellulari, gli iPad e quant’altro sono presenze, realtà, anche se discutibili. Internet, facebook sono strumenti che accomunano milioni di persone. Escludere queste presenze non ha senso ne logica. Per l’Educatore trattasi di vigilare, di far discernere con oculatezza e fermezza gli aspetti negativi che questi mezzi di comunicazione, compreso il sistema televisivo con le sue programmazioni, possono generare. Sono molti, subdoli e sempre più in crescita.
Infine, sottolineava Don Desio, nell’impegno educativo è perentorio focalizzare la valenza, come punto di arrivo, della ‘bellezza’, ovviamente proposta a 360 gradi. Uno sforzo che deve coinvolgere tutti, costituzionalmente anche un grande assente, lo Stato con tutte le Istituzioni. Senza l’istituto autentico dell’educazione non possiamo parlare di edificabilità, di una società in cammino. Esso è vitale, va certamente rivisto, contestualizzato e riproposto, ad ogni livello, con la saggezza tipica di chi ama e non vede nell’altro un semplice meccanismo di ingranaggio in una società priva di anima, di quel sale che può e deve dare sapore ai singoli, rendendoli partecipi, senza esclusioni o manomissioni, di una comunità che brama la soglia della porta di Gerico.
Luigi Bressan