SFT: Intervento di Mons. Camisasca sulla ‘Lumen fidei’
Scuola di Formazione Teologica
Appunti per la presentazione dell’enciclica Lumen fidei a Ravenna
Aula don Minzoni del Seminario di Ravenna, 14 novembre 2013
Sono molto felice di essere qui con voi questa sera. Ringrazio di cuore mons. Ghizzoni per avermi invitato. Come sapete, tra le nostre Chiese vi è un legame molto profondo che si esprime nella persona del vostro arcivescovo, figlio della terra reggiana, che all’inizio del mio ministero episcopale ho avuto la possibilità di conoscere e stimare’
Questa sera parlo dell’enciclica di Papa Francesco. Il testo era stato scritto quasi interamente da Benedetto XVI, regalato poi a papa Francesco che l’ha completato e ce l’ha consegnato quasi in chiusura dell’anno della fede.
Naturalmente non dirò tutto ciò che si può trovare in questa enciclica. È un testo da meditare. Non è possibile leggerlo velocemente, cose se fosse un romanzo o un saggio. Sono parole che non possono essere comprese soltanto in modo intellettuale, in una logica astratta, come se fossero un seguito di pensieri. Vi sono alcune pagine profondamente mistiche che nascono non solo dalla riflessione, ma dalla comunione orante che Benedetto XVI ha sempre vissuto e vive con il Signore.
Affido a voi la meditazione del testo. Questa sera intendo sottolineare soltanto alcuni nodi centrali, quelli che più mi hanno fatto riflettere e che ho pensato potessero essere utili anche alla vostra riflessione.
1. La fede come conoscenza intellettuale e come esperienza affettiva
Il titolo stesso dell’enciclica è un portale che ci permette di entrare nel cuore diquan to il Papa intende comunicare alla Chiesa: Lumen fidei, la fede come luce. In questa immagine vi è la sintesi di quanto stasera vorrei dirvi.
Perché l’immagine della luce per parlare della fede? La luce svela la realtà delle cose. Illumina e, nello stesso tempo, riscalda. Dà luce e riempie il cuore.
a. La fede come ‘non conoscenza’
Molti parlano della fede come ‘non conoscenza’. C’è nell’uomo una capacità di conoscere e di approfondire le verità. È la ragione. C’è conoscenza solo di ciò che è pesabile, quantificabile, verificabile. Del resto non c’è conoscenza. Dunque, la fede che si rivolge a ciò che non è pesabile, che è oltre, non è conoscenza. È cieca.
Poiché la grandezza nell’uomo sta proprio nel conoscere, se la fede è una ‘non conoscenza’, ci porta un mondo in cui l’uomo viene condotto ad occhi chiusi, senza che la sua ragione abbia niente da dire, allora il mondo della fede è un mondo diminuito, un mondo disumano. È, questa, una visione assolutamente negativa della fede.
Per molti c’è chi ragiona e chi crede. Per Trilussa, il grande poeta romano, la fede è una cieca, per Pirandello, nel suo dramma Lazzaro, la fede non si tocca, cioè è un patrimonio di verità che non possono essere investigate, né spiegate. La fede riguarda il mistero ed esso è ciò che è inconoscibile. Penso che la Lumen fidei possa aiutarci a sfondare questo equivoco o, per lo meno, precisarne i contorni.
b. La fede come conoscenza di verità particolari
Se noi avessimo interrogato 50 o 60 anni fa una persona credente su che cosa fosse la fede, quasi sicuramente avremmo avuto come risposta che essa è un insieme di verità. Dei dogmi a cui aderire senza che sia possibile comprendere. Effettivamente, se conoscere vuol dire, kantianamente, stabilire i confini della realtà, allora, poiché la fede ha per oggetto Dio, cioè colui che non ha confini, non è possibile alcuna conoscenza.
Sant’Agostino acutamente aveva scritto: Si comprehendis non est Deus, se tu pensi di averlo abbracciato, non è Dio ciò che hai abbracciato, non perché Dio non si possa abbracciare, ma perché non può essere definito esaurientemente dal tuo abbraccio e dalle tue categorie. È sempre altro. Se con la nostra ragione pensiamo di averne scoperto i limiti e i confini, non è Dio che abbiamo conosciuto.
Bisogna capire bene le parole di Agostino. Egli infatti non nega la possibilità di conoscere Dio, ma afferma invece la sua infinita e inesauribile conoscibilità.
c. La fede come conoscenza, ma non solo intellettuale
Contrariamente a quanto si crede e si dice, infatti, la fede è innanzitutto una forma di conoscenza, conoscenza anche intellettuale, ma non solo.
Vi sono infatti diversi tipi di conoscenza, il cui metodo dipende dall’oggetto che si vuole conoscere. Da un po’ di decenni a questa parte abbiamo assistito a una profonda crisi delle capacità conoscitive dell’uomo, soprattutto di fronte ai grandi interrogativi. Sembra che la ragione dell’uomo possa occuparsi soltanto di ciò che può misurare quantitativamente, di ciò che può pesare, verificare con le proprie leggi.
Ma la scienza ‘scientifica’ è veramente l’unico modo di conoscere? Non ci sono altri spazi per la ragione, altre conoscenze? Noi sappiamo che la scienza non può rispondere alle domande fondamentali dell’uomo. Galileo diceva che la scienza sa come è fatto il cielo, ma non come si vada in cielo. Con questo voleva dire che la scienza esatta ci dà una conoscenza delle cose che si possono misurare, quantificare, ma non ha la possibilità di cogliere le risposte per le domande più importanti della vita dell’uomo.
L’uomo è dunque abbandonato proprio lì dove avrebbe bisogno di maggiore aiuto? Non è così. La fede, infatti, permette di addentrarci proprio in queste domande, allargando gli orizzonti della ragione umana, donando all’uomo una intelligenza nuova della realtà. Ma di che tipo di conoscenza si tratta?
2. L’intelligenza della fede
La fede ci fa entrare in una realtà in parte già conosciuta attraverso le esperienze di tutti i giorni, in parte nuova. Non può essere perciò assolutamente paragonata o identificata con l’irrazionalismo. Il credo quia absurdum di Tertulliano è un paradosso, non una verità. L’affermazione di Dostoevskij nei Fratelli Karamazov, «crederei a Cristo, anche se non fosse la verità», è anch’essa un paradosso che vuole affermare il valore affettivo della fede e combattere una riduzione intellettualistica di essa (in cui la tradizione orientale ha identificato al teologia occidentale).
Quale tipo di conoscenza è la fede? È una conoscenza attraverso testimoni. Questo metodo di conoscenza è frequentissimo nella vita quotidiana. Non riguarda perciò soltanto la fede religiosa. Su di essa si basa il rapporto tra genitori e figli, tra amici, la stessa ricerca storica, la cultura, il passaggio di generazioni. Se non ci fosse questa fede ‘naturale’ non esisterebbe l’umano. Ognuno sarebbe costretto a ripercorrere tutte le tappe della storia che lo ha preceduto e non potendo appoggiarsi sulle acquisizioni precedenti, non potrebbe nemmeno impegnarsi verso il futuro.
Si tratta naturalmente di valutare se i testimoni sono credibili, cioè non mentono, non ci vogliono ingannare e sanno ciò che dicono. Tutta quanta la struttura dei vangeli, in particolare di quello di san Giovanni, si basa su questa dinamica: Gesù è il testimone fedele che ci porta a conoscere realtà che senza di lui non potremmo mai vedere e assaporare. L’eccezionalità della sua testimonianza in mezzo a tutte le altre testimonianze degli uomini (uno che ci dice ‘vieni a vedere l’America che io ho visto: è bellissima’; uno che ci dice ‘leggi questo libro: è essenziale’; uno che ci dice ‘fai questa cosa io l’ho provata: dà la felicità’; ecc’) sta nell’eccezionalità di ciò che Cristo testimonia. La sua testimonianza tocca ciò che è essenziale per vivere. Egli ci parla di un Padre che noi non vediamo direttamente, ma di cui tutte le esperienze della vita e le cose che ci circondano sembrano parlarci. Egli si pone come la strada per condurci dalle cose al Padre. Ci porta a vedere cose che noi non saremmo capaci di vedere da soli, ma di cui abbiamo dentro di noi il presentimento. La fede è dunque una conoscenza di cose che la ragione non può vedere direttamente, ma di cui presente l’esistenza. Per questo la fede è il livello più alto della ragione.
La conoscenza attraverso il testimone mette in azione tutte le dimensioni della personalità: occorre stare con lui per capire se è veramente veritiero, occorre verificare le sue parole. Cosa che Gesù ha fatto con gli apostoli e verso gli apostoli. La sintesi di questa posizione si chiama purità di cuore o amore alla verità più grande ancora dell’amore a se stessi. Per questo, misteriosamente, la fede è rifiutata da chi non riesce ad aprirsi alla verità del proprio essere creatura, peccatore, fragile, bisognoso di salvezza.
3. I testimoni della fede
La fede è ricevere la mano che ci conduce nella vita da una persona di cui ci fidiamo. Il Papa in questa enciclica ci mostra i testimoni della fede, coloro a cui possiamo guardare e da cui possiamo ricevere le indicazioni sulla strada che ci conduce alle verità, che parlano delle cose fondamentali.
Abramo
Il primo testimone è Abramo. Con lui comincia a manifestarsi un Dio che parla ed emerge così una dimensione fondamentale della fede: l’ascolto. Dio in Abramo ha parlato. Fino ad Abramo il cammino verso Dio andava dall’uomo a Dio, ‘a tentoni’ dirà san Paolo. Con Abramo il cammino è mutato, discende da Dio all’uomo. Nell’uomo risuona una parola di Dio che ‘ dice il papa ‘ è nello stesso tempo chiamata e promessa. Abramo viene chiamato per nome. Dio gli chiede qualcosa e gli promette qualcosa di infinitamente più grande; gli chiede di uscire dalla sua terra e gli promette una generazione senza fine.
Capiamo allora in che modo la fede sia conoscenza: Abramo conosce chi è: Dio gli dà un nuovo nome; conosce il cammino della vita che deve compiere, qual è il suo posto nella storia. Conosce che non è solo, che all’inizio del mondo non c’è il nulla, non c’è il caso, ma una persona volente ed amante e che questa persona è Colui che lo ha chiamato. Si stabilisce un rapporto personale: la fede non è solo un rapporto intellettuale con una verità, ma un rapporto personale con qualcuno che ci parla, che chiede l’adesione della nostra vita, che ci mobilita e ci fa camminare, che crea una nuova storia attraverso le nostre persone che sono state chiamate.
Fede come conoscenza e fede come rapporto non si escludono, anzi, si implicano a vicenda. Noi possiamo conoscere oltre noi stessi qualcosa che riguarda l’origine, il senso, il fine della nostra esistenza, perciò il peso di ogni momento che viviamo; possiamo trovare luce su tutte le situazioni della nostra esistenza, una luce che viene da oltre, ma che penetra dentro la nostra esistenza.
Nella fede ‘ scrive il Papa in questa enciclica ‘ si capisce che la parola pronunciata dal Dio fedele diventa quanto di più sicuro e di più incrollabile possa esistere. La fede in Dio illumina le radici dell’essere. Nella voce di Dio Abramo riconosce un appello profondo, iscritto da sempre nel cuore del suo essere.
Gesù
L’altro grande testimone, il testimone fedele, dal quale anche l’esperienza di Abramo è illuminata, è Gesù che è il centro della nostra fede. Il vangelo di Giovanni ci dice che Cristo è venuto per rendere testimonianza alla luce. Nessun vangelo come quello di Giovanni parla di Gesù come del testimone, anzi, il quarto vangelo è costruito interamente su questa categoria della testimonianza. Preparato dalla testimonianza del Battista si manifesta pienamente il testimone ultimo e definitivo, colui che è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla luce e al Padre. Lo scopo della vita di Gesù è questo. Nella sua esistenza ‘ in particolar modo nella sua passione, morte e resurrezione ‘ noi abbiamo la testimonianza suprema non solo di chi sia il Padre, ma anche di chi sia l’uomo. Seguendo Lui conosciamo chi siamo e nello stesso tempo ci realizziamo come persone, diventiamo santi. Tutte le dimensioni della nostra personalità sono realizzate secondo il disegno del Padre, quindi diventiamo trasparenti della carità, per quanto è possibile sulla terra. Solo in Gesù, in modo supremo, verità e carità coincidono.
Proprio nel rapporto con Cristo comprendiamo che la fede non è mai semplicemente rapporto con una verità astratta ma è sempre rapporto con una persona e iniziamo a intuire quale sia il tessuto profondo che guida la storia dell’uomo e che tiene unito l’universo.
4. Il valore veritativo della fede
Parlare della fede come incontro, rapporto personale ed esperienza, non è negare il valore veritativo di essa. Attraverso il rapporto con Dio, stabilito nel rapporto che noi viviamo con i suoi testimoni, noi veniamo a conoscere veramente qualcosa di decisivo sulla nostra esistenza. Fede come incontro e fede come verità si implicano a vicenda.
L’enciclica, che parla della fede come implicazione personale con Colui che chiama e che fa le promesse, ci dice anche che la fede senza verità non salva, non rende sicuri i nostri passi. L’uomo ha bisogno di conoscenze perché senza di esse non si sostiene. Non possiamo, allora, escludere queste due dimensioni della fede: la fede come verità ‘ che ci porta a conoscere chi siamo, qual è il senso e il metodo delle nostre relazioni con gli altri, a conoscere da dove veniamo e dove andiamo, le leggi fondamentali dell’esistenza ‘ e il fatto che questa verità diventa un rapporto personale con Colui che ci ha voluti, che ci salva e con gli altri che Dio ha messo assieme a noi per camminare verso di Lui.
La fede è un atto personale, ma non isolato. Nessuno può credere da solo, nessuno può darsi la fede da sé. È innanzitutto la Chiesa che crede e così regge, sostiene e nutre la mia fede.
In questa enciclica ritorna l’asse fondamentale del pensiero che Benedetto XVI ha sviluppato negli anni del suo pontificato e che ha consegnato in questo modo a papa Francesco: non solo non c’è esclusione tra verità e amore, ma il contenuto della verità è l’amore.
Quello che Dio ci insegna stabilendo un rapporto con Lui, ciò che ci insegna a riguardo della nostra vita e del nostro destino, è che noi non siamo soli ma, fin dall’inizio, ogni nostra persona è immagine della Trinità ed è destinata a realizzarsi soltanto nella misura in cui si apre al rapporto con gli altri e scopre che la carità è l’asse fondamentale della storia del mondo e di ogni storia personale. Questa è la verità.
Ecco perché il Papa, in apertura dell’enciclica, dice che la fede ci permette di vedere, «chi crede vede». Che cosa vede? Vede in profondità quello che è il tessuto connettivo profondo di tutta quanta la realtà, di tutto l’universo: la Trinità.
5. La circolarità di conoscenza e amore
Quando non esisteva nulla ed esisteva solo Dio, non esisteva la solitudine, ma la comunione. Dio è da sempre comunione e tutto ciò che ha fatto e voluto porta impresso questo sigillo, questa vocazione e questo destino. Siamo chiamati alla comunione, per questo il contenuto della verità è l’amore, questo è ciò che la fede svela all’uomo che entra in rapporto con Dio.
La conoscenza intellettuale non è mai soltanto penetrazione di una verità astratta, ma è sempre scoperta della legge profonda che governa l’universo per cui noi, aderendo a una verità, cominciamo ad amarla e amando una verità cominciamo a conoscerla. Il legame inestirpabile tra verità e amore rivela il destino profondo della vita dell’uomo e anche l’unità nell’uomo di tutte le sue facoltà.
Commentando il capitolo decimo della Lettera ai Romani di san Paolo ‘ con il cuore si crede ‘ l’enciclica afferma: «Il cuore è intelletto, è volontà, è affettività. Il cuore dunque, per il mondo ebraico cristiano è il centro di tutto l’universo costituito dalla persona, il luogo dove ci apriamo alla verità e all’amore».
È proprio questa circolarità fra conoscenza ed amore il tema più prezioso di tutta l’enciclica. La fede non è mai semplicemente riducibile a un sentimento o ad una conoscenza astratta. Essa, proprio perché implica un rapporto totale dell’uomo con Dio attraverso dei testimoni, coinvolge sempre tutte le nostre dimensioni personali, intelletto, volontà e affettività.
C’è una frase bellissima e quasi riassuntiva dell’enciclica che dice: «La fede conosce in quanto è legata all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce». Ecco perché iniziando a parlare dicevo che questo testo va meditato e non semplicemente letto secondo una logica astratta. Le parole vanno guardate.
6. La fede: vedere o ascoltare?
Un altro tema che mi ha molto colpito in questa enciclica è se la fede sia soprattutto un vedere o un ascoltare. Sappiamo che la fede nasce dall’ascolto, fides ex audito, scriveva san Paolo: la fede nasce nel momento in cui uno sente il proprio nome pronunciato da Colui che lo ha chiamato alla luce. Dio continua a pronunciare il mio nome, continua a chiamarmi, a stabilire con me un rapporto. Così la fede diventa anche un vedere, una visione piena del percorso della vita nella fede.
Come è possibile una sintesi tra vedere e udire? Taluni hanno detto che l’espressione massima del rapporto tra l’uomo e Dio sta nell’ascoltare la sua parola e nel rispondergli. Tal altri hanno detto che non è fede compiuta se non quella che diventa visione. Nell’enciclica, al numero 30, leggiamo: «La sintesi tra vedere e udire diventa possibile a partire dalla persona concreta di Gesù». Gesù lo puoi ascoltare e lo puoi vedere. Seguendolo tutte le dimensioni della persona umana, tutte le sue potenzialità, tutte le strade del suo rapporto con le cose e con gli altri si unificano.
Voglio citare una frase del numero 31 perché ciascuno di voi vi torni sopra quando può; è una frase molto intensa che rivela una lunga meditazione e una lunga consuetudine silenziosa con Dio da parte di chi ha scritto queste parole: «La luce dell’amore nasce quando siamo toccati nel cuore. Ricevendo così in noi la presenza interiore dell’amato che ci permette di riconoscere il suo mistero».
San Paolo afferma in una sua lettera che la luce brillata all’inizio del mondo e da cui sono venute tutte le cose, adesso brilla nel cuore dell’uomo perché possa trasmettersi agli altri uomini. Noi siamo toccati nel cuore dalla luce di Dio e riceviamo così in noi la presenza interiore dell’amato. Quindi la fede è un rapporto di amore, è la scoperta di essere amati ed è risposta dell’amore all’amore ricevuto. Non è un rapporto cieco, ma un legame che ci permette di penetrare la realtà dell’altro, il suo mistero. Mistero è ciò che è nascosto e si rivela, è ciò che si dà continuamente in forme nuove alla nostra vita essendo infinito ma non lontano.
