Ravenna, è tempo di servizio

Ravenna, è tempo di servizio 
Dal “RisVeglio Duemila” N. 33/2017  

Foto ricordo di un’estate in missione. Sono tante le esperienze di servizio (all’estero, ma anche accanto ai terremotati o ai carcerati) che hanno vissuto i giovani delle nostre parrocchie e movimenti in quest’estate 2017. C’è chi è andato fino in Bolivia a testimoniare l’amore di Cristo, chi come gli scout di San Vittore ha condiviso ricordi e paure con chi ha vissuto il terremoto dell’anno scorso in centro Italia e infine chi è stato accanto ai carcerati e alle loro famiglie. E c’è anche chi sta per partire, come Pino Farinelli e Teresa Pasi, per la nostra missione diocesana in Perù, come spieghiamo a pagina 2. Esperienze missionarie che hanno in comune il fatto che si riceve sempre più di quel che si dona. E che si torna a casa con un carico di speranza che diventa benzina per la vita di tutti i giorni. Ecco i racconti di chi è appena tornato.”Un signore anziano cercava di far sorridere gli altri raccontando barzellette, ma a un certo punto si è interrotto, ha raccontato che la moglie era morta sotto le macerie e si è messo a piangere”. È l’eredità più preziosa che si porta a casa da questa route 2017 Letizia Focaccia, del gruppo scout Ravenna 1 di San Vittore che insieme ad altri diciotto rovers e scolte dal 5 all’11 agosto ha fatto un’esperienza di servizio nei luoghi devastati dal terremoto del 24 agosto 2016. Cinque le tappe: Norcia, a Cascia e alla cascata delle Marmore. “E La situazione che abbiamo trovato è piuttosto complessa e la ricostruzione procede a rilento”, spiega Lorenzo Melandri, uno dei capi del gruppo scout. La ricostruzione è lenta e ci sono ancora molti sfollati, continua: “Abbiamo visitato un centro gestito da religiose dove ne sono ospitati una ventina. Tra loro ci sono anziani senza alcun parente, stranieri. Abbiamo pulito tutto il centro, per renderlo più ospitale e ci siamo messi in ascolto delle persone”. I loro racconti restano nel cuore di chi è tornato a Ravenna: “Ci sono persone che hanno perso più di un familiare, e che trovano conforto nel fatto che vedono, attorno a loro, uomini e donne che si prodigano per aiutarli e farli ricominciare. È stato importante mettersi a loro disposizione e credo che quest’esperienza abbia aiutato i ragazzi a fare gruppo e a diventare più sensibili ai problemi concreti che le persone vivono”. Partire in missione con l’idea di aiutare gli altri, e, al ritorno, scoprire invece che “siamo proprio noi ad essere stati arricchiti da quanto abbiamo visto e dalle persone che abbiamo conosciuto”. È stata questa l’esperienza di don Mino Gritti, salesiano, che insieme ad altre nove persone – tra adulti e giovani – della parrocchia di San Simone e Giuda, dal 9 al 30 agosto è stato nella missione salesiana di Sagrado, nella zona di Santa Cruz, in Bolivia. Nella missione vivono cinque salesiani (tre boliviani e due italiani), l’area in cui operano è estesa circa novanta chilometri quadrati, e nell’unità pastorale che i salesiani gestiscono vivono oltre quarantamila persone. Gestiscono il plesso scolastico che accoglie i giovanissimi colombiani (dalla materna sino al centro di formazione professionale, solo quest’ultimo ospita circa settecento ragazzi) e un ‘internado’ (collegio) dove i ragazzi che vivono nel villaggi più lontani possono mangiare e dormire. E una delle attività che il gruppo di San Simone ha fatto a Sagrado è stata proprio l’imbiancatura del collegio. Oltre a questo, tanti sono stati i colloqui con le persone nelle loro case (“quattro assi di legno con tetto ricoperto da fogliami, banani, cocco” – dice don Gritti) che hanno permesso di conoscere la realtà economica del territorio.”Là c’è molta povertà poco lavoro – specifica don Gritti – e spesso gli uomini, quando vanno in crisi anche per questo motivo, si consumano dandosi all’alcool o masticando foglie di coca, poi tornano a casa e hanno atteggiamenti violenti nei confronti delle mogli e dei figli”. L’attenzione dei salesiani, che d’altra parte è nel loro dna, è stare vicino a ragazzi che inevitabilmente subiscono questa disgregazione familiare, oltre all’evangelizzazione e all’assistenza nel locale ospedale.”Certo – dice don Gritti – la condizione di vita dei boliviani è difficile, ma non si può dire che abbiano perso la speranza, anzi. Abbiamo visto una partecipazione massiccia e gioiosa non solo alle Messe (anche a quelle feriali), ma anche il desiderio di pregare in altri momenti, perché – come dicono loro – ‘Con Dio c’è tutto, senza Dio non c’è nulla’. Per arrivare a una processione in tempo, un ragazzo ha ricompensato con il suo cellulare il tassista che l’ha portato nel luogo dal quale partiva”. Infine sono tre i giovani di Pinarella, Barbara Buccella, Simone Albani e Mauro Giacoia, che hanno partecipato a luglio a un campo di lavoro nell’isola di Marettimo (arcipelago delle Egadi, Sicilia), che ospita anche un carcere di massima sicurezza.”Abbiamo incontrato 7 persone condannate all’ergastolo – racconta Barbara – Ci hanno raccontato le loro storie di sofferenze e di errori e proprio uno dei sette, in carcere da diciotto anni, ci parlava di speranza. È stato incredibile”.Un “fiore all’occhiello” dell’isola è la casa famiglia della Papa Giovanni XXIII. “Ci vive una coppia di sposi – precisa Buccella – insieme ai loro undici figli, dei quali solo tre naturali. Sono aiutati da una ragazza che sta facendo servizio civile e ci hanno fornito una testimonianza straordinaria di condivisione e solidarietà”. L’isola ha un centinaio di abitanti, che si moltiplicano molto d’estate con l’arrivo dei turisti, ma gli autoctoni sono in gran parte anziani. “Siamo andati – continua Buccella – nelle case a trovarli e a dialogare con loro. Hanno bisogno di compagnia, si sentono abbandonati, ma per fortuna, tra di loro c’è molta solidarietà”. “E’ stata – conclude Buccella – un’esperienza arricchente, anche dal punto di vista spirituale perché ho toccato con mano la sofferenza ma anche la volontà di non arrendersi di fronte alle avversità”.
 Fabrizio Casanova