Pellegrini in Terra Santa

Pellegrini in Terra Santa

Dal ‘RisVeglio Duemila’ N. 11/2011
 
Dal 17 al 24 febbraio scorsi si è svolto il Pellegrinaggio Diocesano in Terra Santa, promosso dall’Ufficio Viaggi e Pellegrinaggi dell’Archidiocesi; proponiamo, in merito, alcune testimonianze.
Siamo quarantanove persone, in parte provenienti da Modena e in parte da Ravenna. Mons Giuseppe Verucchi è la nostra guida pastorale, mentre Don Arienzo Colombo ha il compito di organizzare tutti gli aspetti più pratici, impegno non facile per il grande numero di pellegrini incontrati nei vari siti.
A Cesarea Marittima c’è un grandissimo porto costruito da Erode il Grande. Qui si ricorda la chiesa che diventa missionaria, qui Pietro battezza anche i pagani perché nessuno è escluso dalla salvezza di Gesù. Qui Paolo parte per Malta, diretto a Roma.
In Terra Santa il sole sorge prima, così il tramonto.
L’Arcivescovo ci racconta ogni luogo da un punto di vista storico, teologico e biblico, frammentato da letture della Parola e dalla preghiera. In Galilea ci siamo fermati a Cana dove abbiamo visto il Santuario in cui è avvenuto il primo miracolo del Signore Gesù. A Nazareth, ci siamo fermati alla Sinagoga, dove leggendo il testo di Isaia Gesù si manifestò ai suoi concittadini come il Messia. La Grotta dell’Annunciazione, con una scritta appena sotto l’altare: ‘Hic Verbum caro factum est’: è la casa natale della Vergine Maria.
Più in alto, a circa 200 metri, si trova il secondo santuario di Nazareth, l’abitazione di San Giuseppe dove Gesù trascorse gran parte della sua vita.
Arriviamo nella città palestinese di Nablus, in Cisgiordania, per esplorare il pozzo di Sicar.
Justinos da Corfù è l’ultimo Pope cristiano ortodosso dell’antica Sichem e ci accoglie con grande gioia. Questa è una zona molto calda. Qui egli custodisce la chiesa con l’aiuto dei russi, mentre da sempre gli ebrei rivendicano il pozzo di Giacobbe. Ci racconta che un Rabbi nel novembre del 1979 non esitò un attimo a sgozzare il pope ortodosso, padre Filomenos, che la chiesa greca di Gerusalemme aveva mandato come custode del luogo. Padre Justinos è una persona gentile, ha una grande forza negli occhi e dipinge icone. In sette anni ha dipinto con le sole mani le vetrate, gli affreschi della cupola, le iconostasi centrali e laterali. Ci racconta la realtà che vive da unico cristiano in quella zona di grande conflitto, la fatica di fidarsi degli uomini. Ho comperato una sua piccola icona dipinta, ‘la Vergine Hodighìtria’ e raccolto qualche pugno di terra dal suo cortile.
Il pozzo di Sicar si trova nella cripta della Chiesa ortodossa di Nablus, nel cuore della Samaria. Qui Giacobbe acquistò un terreno e vi fece costruire un pozzo per dissetare la sua famiglia e i suoi armenti (Gen. 33, 19-20). Quattro secoli più tardi vi fu seppellito Giuseppe, suo figlio, quando il popolo ebraico ritornò dall’esodo in Egitto.
Qui Gesù riposa, al ritorno dalla Giudea, mentre i discepoli vanno al villaggio in cerca di cibo. Molto noto è il racconto evangelico del dialogo tra il Signore e la donna samaritana che era venuta al pozzo ad attingere acqua (Gv 4, 5-42): “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice ‘dammi da bere’ tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva’.
E’ il pozzo di Sicar sacro agli ebrei legati alla memoria di Giacobbe e santo per i cristiani che vi riconoscono il segno del passaggio di Gesù e la rivelazione del suo messaggio sull’acqua della vita.
E’ molto difficile per me descrivere tutti i paesaggi e le sensazioni suscitate da questi luoghi così antichi e pieni di storia e racconti. Certamente senza lo sguardo appassionato e sapiente di Mons. Giuseppe Verucchi, che non conosce risparmio nel donarsi, sarebbe stato tutto molto diverso. Sono sempre le persone a far la differenza.
Franca Antonelli