Pavel Florenskij e il rumore del suo tempo
Dal “RisVeglio Duemila” N. 22/2017
Ci provò Pavel Florenskij ad andare “oltre il rumore del suo tempo”, a “smontare la macchinazione ideologica” che lo portò e lo uccise in un gulag. E, nonostante il tragico epilogo della sua vita, ci riuscì, secondo Natalino Valentini, filosofo, direttore dell’Issr di Rimini, perché oggi, a 100 anni dalla rivoluzione del 1917 e a 80 dalla sua fucilazione, grazie ai suoi testi a lungo nascosti e sminuiti lo riconosciamo come il gigante del pensiero non solo russo ma religioso, tecnico e filosofico qual è stato anche per noi contemporanei. Una chiara vittoria sul “rumore del tempo” che poi lo uccise. La figura del sacerdote russo della fine dell’800, ridefinito il “Leonardo da Vinci russo”, fucilato nel 1937 nel gulag delle isole Solovki sarà al centro dell’appuntamento del Ravenna Festival organizzato in collaborazione con l’associazione Romagna Camaldoli in programma il 14 giugno alle 17.30 al refettorio del Museo Nazionale. Ad affrontare il tema “Rumori del tempo tra riforma e rivoluzione. Pavel Florenskij, dalla filosofia della bellezza al gulag delle Solovki” appunto il professor Valentini, profondo conoscitore della figura dell’intellettuale russo sin dagli anni ’90 e curatore delle edizioni italiane dei suoi libri. Ci sarà anche l’attrice Elena Bucci a leggere passi dei suoi scritti, dopo un’introduzione dell’architetto Pier Giorgio Gualdrini. Mentre dopo la conferenza è in programma una visita guidata gratuita a una selezione di icone del Museo Nazionale. “Florenskij un martire della verità del XX secolo – sintetizza il professor Valentini –, una figura dalla straordinaria potenza scientifica, culturale e spirituale.
Ha testimoniato la fedeltà a quella verità che ha incessantemente ricercato per tutta la vita. Verità in senso cristiano, una comunione di amore trinitario che ha nell’esperienza dell’amicizia un’anticipazione sulla terra”. Tra le figure più significative e sorprendenti del pensiero religioso russo, Florenskij è stato non solo un filosofo e un teologo ma anche fisico, matematico, ingegnere elettrotecnico, epistemologo, teorico dell’arte e filosofo del linguaggio, studioso di estetica, di simbologia e di semiotica.
Solo negli anni ’80, dopo 50 anni di oblio, sono tornate alla luce parti considerevoli della sua vastissima eredità culturale.
“Dopo il 1917, a differenza di altri intellettuali, Florenskij fece la scelta controcorrente di rimanere in patria perché pensava di avere margini per smontare da dentro la macchinazione ideologica del regime: collaborò con esso in alcuni campi, ad esempio diede un contributo nel piano di elettrificazione della Russia, mai rinunciando alla sua identità. Si presentava sempre in talare a tutte le lezioni. E ovviamente un pope scienziato iniziò a diventare una figura sempre più imbarazzante per un regime che predicava l’ateismo di stato. Di qui l’arresto e l’internamento.
Alla fine rimarrà travolto dal totalitarismo. Ma proprio in questo rese la sua testimonianza di verità”. È una figura, commenta ancora il direttore dell’Issr di Rimini di “straordinaria attualità, anche per la multidisciplinarietà degli studi che ha portato avanti, un’integrazione dei saperi”, che anticipa di diversi decenni i tratti dell’attuale cultura.
Un esempio è quella che forse è la sua opera più famosa “Iconostasi. Saggio sull’icona”: “In essi non c’è l’idea di icona ‘idolo’, né tanto meno quella di ornamento artistico.
Ne parla prima di tutto da uomo di scienza, a partire dalle teorie dello spazio, della prospettiva, come verità antinomica. Ma soprattutto l’icona in Florenskij è una presenza visibile di ciò che è invisibile, una finestra aperta sull’eterno e sull’infinito, capace di far entrare la luce della trasfigurazione”.