”Padre, pastore e maestro”

“Padre, pastore e maestro” 
Dal “RisVeglio Duemila” N. 34/2017 

“Sii felice!”, amava ripetere alla fine dei suoi tanti colloqui a giovani, seminaristi e sacerdoti. Usava l’imperativo, forse perché attraverso quei colloqui, un’indicazione su dove trovarla quella felicità la dava a tutti: nel Signore. Ed è per questo che, quando ci parlavi con don Sandro, anche negli ultimi mesi della sua malattia, l’impressione più viva che traevi dal suo essere sacerdote era proprio quella di una vita realizzata, perché spesa per l’Altro e per gli altri. Una vocazione che affascinava. Ed ha affascinato tanti che lunedì 18 settembre hanno affollato la sua San Biagio per salutarlo per l’ultima volta. Don Giansandro Ravagna si è spento venerdì scorso nell’hospice Villa Adalgisa dopo una lunga malattia. Il 21 luglio scorso, assieme all’arcivescovo aveva festeggiato i 60 anni di sacerdozio. E quando gli fu diagnosticata la malattia, come abbiamo raccontato più volte su Risveglio, aveva voluto condividere il suo stato di salute con i parrocchiani, che considerava a tutti gli effetti la sua famiglia. Nato nel 1931 a Cicognolo in provincia di Cremona, don Giansandro Ravagna era stato ordinato sacerdote nel 1957. Era stato inviato a San Biagio prima come vicario parrocchiale, poi come amministratore e infine nel 1963 era diventato parroco della chiesa del borgo San Biagio, seguendone di fatto per mezzo secolo la pastorale, fino al ritiro nel 2012. È stato direttore spirituale di molti, rettore del seminario per due volte: dal 1978 al 1989 e poi dal 2009 al 2013. E anche assistente spirituale del Ravenna Calcio. “E’ stato padre, pastore e maestro per tanti di voi, ma anche per tanti sacerdoti – ha ricordato l’arcivescovo Lorenzo nell’omelia della Messa funebre –. E lo ha dimostrato in tante occasione. La mattina in cui è morto, recitando le preghiere, mi ha detto che offriva le sue sofferenze per la diocesi, per il presbiterio, per i sacerdoti giovani e per le vocazioni”. Da pastore, ha aiutato la sua comunità a prepararsi per l’addio di lunedì scorso. Non ha lasciato parole sue, per “spiegare” la sua vita, i suoi valori, ma “attraverso la scelta delle letture per il suo funerale – ha rivelato l’arcivescovo – ha detto quel che secondo lui dovrebbe essere un prete, un parroco: l’ideale della sua vita”. Seconda lettera a Timoteo, capitolo quarto (1-8), Giovanni 10 (11-18), e il Salmo 70: in questi due brani sta, in particolare, l’eredità spirituale di don Sandro Ravagna. “Il sacerdote è un annunciatore della Parola – ha spiegato l’arcivescovo, commentando in particolare la lettera di San Paolo –, è pastore e padre, che vuol far crescere con fedeltà e magnanimità i suoi figli, annunciando la Verità nella carità. Vigila, come una sentinella (è capace quindi di guardare lontano) e sopporta le sofferenze. Quanti momenti di questo genere hanno segnato la vita e il ministero pastorale di don Sandro? Perché se svolge il suo compito, il pastore trova opposizione. Servire sempre, senza dominare le persone, le loro coscienze, la loro fede, proponendo, educando, insistendo, esortando: questo faceva don Sandro, fino all’ultima preghiera”. Ha vissuto per la Chiesa, per la diocesi, per i seminaristi, per la sua parrocchia, per i giovani i malati, poveri, gli stranieri. “Un pastore che accoglieva tutti. Quali pecore sono rimaste escluse? Nessuno”. E l’assemblea che gremiva San Biagio, fatta di giovani, di adulti, bambini, sacerdoti, laici, parenti ma anche semplici conoscenti, stranieri, era l’esempio più evidente di quel che l’arcivescovo stava dicendo. “Don Sandro conosceva ed era conosciuto da tanti – ha proseguito l’arcivescovo –. Era una scelta: la sua capacità di amicizia e conoscenza, il suo modo di stare in comunità, anche alla fine della sua esistenza, il suo ottimismo cristiano ne hanno fatto un annunciatore del Vangelo della gioia”. In una costante tensione e preoccupazione per l’unità della fede. Anche le ultime parole di Paolo si addicono a don Sandro: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. A voler salutare don Sandro per l’ultima volta, come detto, sono stati in tanti. A prendere la parola, a nome dei tanti laici presenti è stato Stefano Falcinelli, che negli ultimi mesi è stato anche il medico personale di don Sandro: “Don Sandro ci ha accompagnato per tutta la vita– ha detto –. C’era sempre qui, tra la sagrestia e l’altare. Una presenza certa, sicura, ma anche discreta. Negli anni ’70 ha saputo essere punto di riferimento per noi giovani, in un’epoca come quella dopo il Concilio di grandi speranze, ma anche di fughe in avanti. Da paziente, chiedeva di star meglio ma era ottimista, sempre. Considerava un grande dono l’essere rimasto qui nella sua comunità”. Don Sandro amava molto la musica, e ha lavorato perché nella sua parrocchia ci fosse un bel coro, che anche lunedì 18 settembre ha voluto accompagnarlo verso il cielo: “Il giorno di San Biagio – ricorda il direttore Davide Casadio –, mi aveva chiesto alcuni canti per il suo funerale. Io ho glissato, gli ho detto che ne avremmo parlato, ma con la sua precisione lui ha voluto dirmeli. E oggi a un certo punto l’emozione è venuta fuori. Sull’ultimo canto, quando dice ‘Cosa sarà il Paradiso? Ti parlerà il Padre’… Mi è venuto, un po’ strozzato, un ‘ciao’ tutto per lui”.
Daniela Verlicchi