Lasciamoci attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri.
Dalla Bolla Spes non confundit di Papa Francesco
Un anno per ritornare a Dio
Carissimi fratelli e sorelle, cari presbiteri e diaconi, cari consacrati e missionari (cari fratelli di altre Chiese e confessioni cristiane),
oggi inizia anche per la nostra Chiesa di Ravenna – Cervia il tempo di Grazia e di conversione del Giubileo. Il rito di oggi “apre la porta” a questo cammino insieme dietro al Signore Gesù e verso il Padre della misericordia. Lo Spirito ci accompagnerà e ci condurrà.
Il Giubileo: un anno santo con Cristo al centro
Nella tradizione cattolica il Giubileo è un grande evento religioso. È l’anno della remissione dei peccati e delle pene per i peccati, è l’anno della riconciliazione tra chi è in conflitto, della conversione e della penitenza sacramentale e, di conseguenza, della giustizia e della pace, della solidarietà coi poveri, dell’impegno al servizio di Dio e dei fratelli, nella gioia. L’anno giubilare è soprattutto anno di Cristo, portatore di vita nuova e di speranza all’umanità.
Le sue origini risalgono all’Antico Testamento. La legge di Mosè aveva fissato per il popolo ebraico un anno particolare: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel Paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo” (Levitico 25,10).
Il fine principale di questo evento era quello di sanare alla radice ogni rapporto di dipendenza, di debito e prestito, che nel corso degli anni poteva essersi instaurato tra i membri del popolo, sia per quanto concerne le proprietà, sia per quanto riguarda il rapporto con le persone. In questo modo Israele riconosceva che non era il padrone della terra nella quale viveva: il vero Sovrano e Re di Israele era Dio, che in modo assolutamente gratuito aveva donato questa terra e che, continuamente, aveva perdonato i peccati del popolo e le sue infedeltà, manifestando la Sua misericordia e benevolenza.
L’anno giubilare era una proposta concreta per ristabilire un clima sociale e religioso di libertà e liberazione da ogni legame di schiavitù e di diseguaglianza economica. Il cinquantesimo anno ogni debito doveva essere condonato, ci si riappropriava della terra che era stata data in pegno e ognuno poteva riacquistare la propria libertà e autonomia. La tromba con cui si annunciava questo anno particolare era un corno d’ariete, che in ebraico si dice “Yobel”, da cui deriva la parola “Giubileo”.
Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come Colui che porta a compimento l’antico Giubileo, essendo venuto a “proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,19; Is 61,2).
Il Giubileo, è “Anno santo”, non solo perché si inizia e si celebra con riti solenni, ma perché è evento di grazia, che vuole santificarci, provocare un incontro vivo con il Signore Gesù “porta” di salvezza, e vuole farci riscoprire la nostra vocazione battesimale e particolare perché la viviamo nella santità, nell’amore di Dio, nella speranza che il Cristo ci dona.
Il Giubileo 2025: Pellegrini di Speranza
Papa Francesco ha desiderato che la Speranza sia il contenuto fondamentale del Giubileo, –come abbiamo sentito nella prima parte della nostra celebrazione– sia per la comunità cristiana, che per il mondo intero, in questo tempo così travagliato da conflitti e guerre che da anni sconvolgono la vita di tanti fratelli e sorelle.
“La Speranza non delude” è l’inizio della Bolla che indice il Giubileo –e che invito tutti a riprendere e a meditare personalmente e in gruppo–. È un’espressione dell’apostolo Paolo nella lettera ai Romani (cf. Rm 5,5). La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore, che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce.
La speranza cristiana non illude e non delude, perché è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8, 35.39).
A questo motivo principale, Papa Francesco associa anche quello della pazienza, una virtù “strettamente imparentata con la speranza”.
La pazienza oggi è messa a prova dalla fretta, dall’insofferenza, dall’ansia del tutto e subito, a volte dalla violenza, cose che generano insoddisfazione e chiusura. Riscoprire la pazienza è un bene per sé e per gli altri.
Ricordiamoci quanto Dio è paziente con noi! Lui che è «il Dio della perseveranza e della consolazione», dice S. Paolo (Rm 15,5). La pazienza è una virtù figlia della speranza che nello stesso tempo la sostiene.
Come si può vivere il Giubileo nel segno della Speranza?
– Mettendo in atto dei segni di speranza.
Oltre ad essere chiamati ad annunciare e testimoniare la speranza, abbiamo un campo largo di azione in cui essere segni concreti, e Papa Francesco porta otto esempi, sui quali tutti noi in questo anno siamo chiamati a interrogarci e a deciderci:
*essere promotori della pace, in un mondo in guerra;
*essere aperti alla vita, con una maternità e paternità responsabile, contro il calo delle nascite;
*essere portatori di speranza per coloro che vivono l’esperienza del carcere;
essere segni di speranza
*per gli ammalati che si trovano in casa o in ospedale;
*per i giovani che vedono spesso crollare i loro sogni;
*per i migranti le cui attese sono sovente vanificate da pregiudizi e chiusure;
*per gli anziani che facilmente sperimentano solitudine e senso di abbandono;
*per i tanti poveri che spesso mancano del necessario per vivere.
- – Vivendo il pellegrinaggio.
Il pellegrinaggio è un elemento fondamentale di ogni evento giubilare. Mettersi in cammino è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita o della felicità. La vita può essere riletta come un pellegrinaggio esistenziale. Il pellegrinaggio, ben fatto, favorisce la riscoperta del valore del silenzio, della fatica per conquistare una meta, dell’essenzialità e della libertà dalle cose, della necessità di avere dei compagni di viaggio.
Saranno organizzati e proposti dalla diocesi, da alcune parrocchie e altri gruppi alcuni pellegrinaggi a Roma per attraversare le Porte Sante delle quattro Basiliche papali.
Le nostre e altre chiese giubilari potranno essere oasi di preghiera dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza, anzitutto accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, insostituibile punto di partenza di un reale cammino di conversione.
- – Con il sacramento della riconciliazione
Il Giubileo deve essere un’occasione da non perdere per promuovere e favorire un cammino di riconciliazione e perdono. Su questo vorrei insistere. Il Sacramento della Penitenza ci assicura che Dio cancella i nostri peccati. Ritornano con la loro carica di consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12). La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da Lui (cfr. 2Cor 5,20), assaporando il suo perdono. Ciò vale prima di tutto per me, per i preti e i diaconi, per i consacrati, poi per tutti i fedeli. Non rinunciamo dunque alla Confessione, periodica, ben preparata, fatta in orari adatti e senza fretta, e riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione, della riconciliazione, la bellezza e la gioia del perdono dei peccati!
L’esperienza del perdono deve però aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, anche se non senza lacrime.
- – Riscoprendo il dono dell’indulgenza.
L’indulgenza permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini. L’indulgenza, dunque è una grazia giubilare. Come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori. Il male compiuto ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo all’amore di Dio. I “residui del peccato” che permangono nella nostra umanità debole e attratta dal male, vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo, il quale, è «la nostra “indulgenza”». In tal senso si comprende anche la necessità di pregare per gli altri fratelli perché il Signore li perdoni, anche quelli che noi non siamo ancora riusciti a perdonare. E perdoni anche quanti hanno concluso il cammino terreno: vivremo così una solidarietà nella preghiera che diventa efficace nella comunione dei santi, poiché tutti siamo uniti in Cristo.
Le condizioni, le abbiamo sentite nel Decreto letto all’inizio della celebrazione.
4 – L’indulgenza nei luoghi giubilari e attraverso le opere di carità
*Si potrà ottenere l’indulgenza giubilare, non solo visitando le nostre cinque chiese giubilari ma anche con le opere di misericordia. Nell’Anno Giubilare siamo chiamati ad essere segni concreti di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di povertà materiale, morale, spirituale.
Ricordiamo “le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti” (Misericordiae vultus, 15) e “le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti”.
Ma anche sostenendo opere di carattere religioso o sociale, in specie a favore della difesa e protezione della vita in ogni sua fase, dei minori abbandonati o non accompagnati, dei giovani disorientati, dei migranti “che abbandonano la loro terra alla ricerca di una vita migliore per sé stessi e per le loro famiglie”, … dedicando una congrua parte del proprio tempo libero ad attività di volontariato. Rilanciando e coinvolgendo nel volontariato soprattutto cattolico anche i più giovani.
Allo stesso modo si può conseguire l’Indulgenza giubilare visitando per un congruo tempo i fratelli che si trovano in condizioni stabili di difficoltà, quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr. Mt 25, 34-36), alle consuete condizioni spirituali, sacramentali e di preghiera.
*… e con opere di penitenza. L’Indulgenza giubilare potrà essere conseguita anche mediante iniziative che attuino in modo concreto e generoso lo spirito penitenziale che è l’anima del Giubileo, riscoprendo in particolare il valore penitenziale del venerdì, o astenendosi da futili distrazioni (reali ma anche virtuali, sciogliendoci dalle dipendenze indotte dai media e dai social network) e da consumi superflui devolvendo una proporzionata somma in denaro ai poveri, attraverso le nostre Caritas parrocchiali o diocesana;
*I fedeli che non potranno partecipare alle celebrazioni eucaristiche, ai pellegrinaggi e alle visite a luoghi giubilari per gravi motivi, conseguiranno l’Indulgenza se reciteranno nella propria casa o là dove l’impedimento li trattiene (ad es. nella cappella dell’ospedale, della casa di cura, del carcere…) il Padre Nostro, la Professione di Fede, e altre preghiere, offrendo le loro sofferenze o i disagi della propria vita.
In particolare, la nostra Chiesa diocesana propone tre opere segno (per suscitarne altre simili!)
Per la nostra Missione a Carabayllo: proponiamo una raccolta straordinaria per dare la possibilità a don Stefano e a otto suoi parrocchiani di venire a Roma e a Ravenna nel mese di settembre per celebrare il Giubileo con noi. Loro non avrebbero le possibilità economiche per il viaggio e la permanenza. Il nostro Centro missionario diocesano, in curia, farà da riferimento per la raccolta delle offerte straordinarie.
Contemporaneamente, su richiesta esplicita del nuovo vescovo Neri Menor Vargas della diocesi di Carabayllo, don Alain, direttore della Caritas diocesana, andrà a sostituire don Stefano ma soprattutto a incontrare i possibili animatori e operatori della futura Caritas di quella diocesi, che sta progettando l’apertura di questo settore della pastorale oggi scoperto.
La seconda opera segno sarà l’apertura del nuovo dormitorio in S Teresa, che chiederà un sostegno materiale, ma soprattutto dei volontari che possano anche stabilmente, a turni, assicurare questo servizio.
Il terzo segno sarà l’espansione della attuale Casa della Carità in S. Teresa, col raddoppio dei posti di accoglienza per i nuovi poveri; non una struttura sanitaria ma di accoglienza caritativa e di promozione sociale. Le richieste di aiuto alla Caritas sono tante e toccano quasi tutte le opere di misericordia corporali e spirituali.
Anche in queste due iniziative l’Opera S. Teresa agirà in collaborazione piena con la Caritas diocesana, con le suore di S. Teresa e in dialogo e aiuto reciproco con le opere caritative della parrocchia di S Rocco. Sarà una sfida e una bella occasione giubilare di solidarietà, aperta a tutti.
Maria e i santuari mariani. In Maria la Madre di Dio vediamo come la speranza sia dono di grazia nella realtà di una vita spesa per il Signore. Maria è Madre nostra, Madre della speranza. La invochiamo anche come Stella Maris, certi che nelle burrascose vicende della vita la Madre di Dio viene in nostro aiuto e ci invita ad avere fiducia e a continuare a sperare.
Specialmente quanti soffrono e sono tribolati, potranno sperimentare la vicinanza della Madre che mai abbandona i suoi figli, lei che per il santo Popolo di Dio è segno di sicura speranza e di consolazione. Alla sua preghiera affidiamo questo Anno santo perché dia frutti numerosi di conversione e di pace per noi e per il mondo intero.
Il Giubileo del 2025, –è detto nella Bolla di Papa Francesco–, è un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio. Ci aiuti a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato. La testimonianza credente possa essere nel mondo lievito di genuina speranza, annuncio di cieli nuovi e terra nuova (cfr. 2Pt 3,13), dove abitare nella giustizia e nella concordia tra i popoli, protesi verso il compimento della promessa del Signore.
Così sia.
L’immagine dell’àncora. «Noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa, infatti, abbiamo come un’àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi» (Eb 6,18-20). È un invito forte a non perdere mai la speranza che ci è stata donata, a tenerla stretta trovando rifugio in Dio. L’immagine dell’àncora è suggestiva per comprendere la stabilità e la sicurezza che, in mezzo alle acque agitate della vita, possediamo se ci affidiamo al Signore Gesù. Le tempeste non potranno mai avere la meglio, perché siamo ancorati alla speranza della grazia, capace di farci vivere in Cristo superando il peccato, la paura e la morte. Questa speranza, ben più grande delle soddisfazioni di ogni giorno e dei miglioramenti delle condizioni di vita, ci trasporta al di là delle prove e ci esorta a camminare senza perdere di vista la grandezza della meta alla quale siamo chiamati, il Cielo.