L’omelia dell’arcivescovo Lorenzo alla Messa del Crisma

1 ottobre 2020

“Chiediamo al Signore il dono della preghiera: insistente e imprudente come quella dell’amico di notte; o importuna come quella della vedova al giudice; senza diritti come quella della cananea, ma sicura nella fede che la risposta arriverà lL’omelia dell’arcivescovo Lorenzo alla Messa del Crisma, questa sera, in Cattedrale

Pubblicato da Risveglio Duemila su Giovedì 1 ottobre 2020

Messa Crismale

“Signore insegnaci a pregare”

Sembra davvero un po’ strano fermarsi su questa pagina del Vangelo in questa assemblea di presbiteri e diaconi, di laici fedeli collaboratori, che della preghiera hanno una lunga esperienza e per di più in un momento in cui prevalgono preoccupazioni pratiche: sociali, economiche e sanitarie.

Invece mi sembra necessario. Guai a noi se preoccupati della dimensione orizzontale lasciassimo perdere quella verticale! Se perdiamo il rapporto di figli con il nostro Padre dei cieli, non riusciremo a trattarci da fratelli per lungo tempo, l’inimicizia pian piano prevarrebbe sull’amicizia; senza l’amicizia con Dio, Caino si dimentica presto che Abele è suo fratello.

Solo lo Spirito trasforma l’umanità

Stiamo anche solo al fatto della pandemia, visto che ci capita questa disgrazia: da essa possiamo trarre almeno un insegnamento per il futuro, per dare un senso a questo tempo di attesa e di ansia, come ha scritto un noto pensatore laico in questi giorni (Edgar Morin, Cambiamo strada)?

Un minuscolo virus in una città molto lontana della Cina ha scatenato lo sconvolgimento del mondo. Lo shock provocato sarà sufficiente per rendere finalmente tutti gli esseri umani consapevoli che apparteniamo ad un’unica comunità di destino? Papa Francesco direbbe “che stiamo sulla stessa barca”? Sarà sufficiente per rallentare la corsa frenetica allo sviluppo tecnico ed economico che sono gli idoli assoluti, il vitello d’oro dei nostri giorni? Siamo entrati nell’era delle grandi incertezze. Il futuro è ancor più imprevedibile, ma è in gestazione oggi. Potremmo avere una occasione unica  – e ce la dovremmo assicurare – per far sì che questo sia il tempo per iniziare una rigenerazione della politica, per dare finalmente spazio alla protezione del pianeta e per dare una svolta all’umanizzazione della società. Come ha scritto quell’autore, questo può essere un tempo favorevole, se decideremo di “cambiare strada”. Perché cosa fa emergere alla fine di tutto la pandemia? La necessità di un “nuovo umanesimo”.

Noi credenti raccogliamo volentieri questa sfida di un laico, ma crediamo che questi obiettivi così condivisibili, non siano alla nostra portata senza la illuminazione e la forza dello Spirito di Dio che agisce nella storia e nelle nostre vite. E senza la docilità dei cuori degli uomini e delle donne del nostro tempo a entrare in armonia con la sua volontà, con i suoi desideri. Altrimenti continueremo a vedere il bene davanti a noi, ma senza riuscire a metterlo in atto.  E proprio qui diventa necessaria la preghiera.

Una preghiera incarnata

Ovviamente una preghiera incarnata, attenta alla storia quotidiana, pronta ad assumere tutte le lotte e gli impegni nostri e dei nostri contemporanei per cambiare, prima i cuori poi le strutture e le dinamiche delle società.

Una preghiera non fatta solo di ripetizione di antiche formule, belle e consolanti, ma viva, attenta ai fatti, schierata per l’affermazione di tutti i valori evangelici, che non sono negoziabili; che chiede a Dio di intervenire nella storia quotidiana e si allea con Lui per difendere le persone, la loro vita fisica, la loro dignità, il loro diritto a una giustizia e a una pace vera.

Una preghiera che accoglie il suo disegno sulla famiglia, sulla natura, sulla terra nostra casa comune; una preghiera che schiuda i cuori di tutti ai più poveri e ai loro diritti a vivere e a svilupparsi senza essere impoveriti dai potenti e costretti a emigrare.

Una preghiera che dia fiducia nel futuro e apra all’attesa di una vita eterna piena di gioia e di tutti i beni che ora osiamo sperare.

Una preghiera che guardi al Cielo, ma solo dopo aver guardato alla terra e aver condiviso fatiche e attese, lotte e sofferenze di tutti i fratelli e le sorelle, nessuno escluso, e li presenti al Padre. Una continua intercessione che i credenti, soprattutto i ministri ordinati, come Mosè, rivolgono a Dio Padre, che ci farà il suo Dono più grande, il suo Spirito, secondo i suoi disegni.

Da dove ci verrà l’aiuto? Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra, e non dimentica nessuna delle sue creature.

I Maestri di preghiera e il dono della preghiera

Chi ci insegnerà a pregare così?

Cioè a intercedere, ogni giorno, per il nostro popolo, per la Chiesa universale, per Papa Francesco, noi sacerdoti e i diaconi gli uni per gli altri, per la nostra amata Chiesa di Ravenna Cervia, per la sua unità, per la sua santità, la sua missionarietà, per la nostra missione diocesana a Carabayllo e per ognuno dei figli di Dio dispersi su tutta la terra, credenti o non credenti.

Ci insegnerà il Signore Gesù, nostro Maestro interiore. E il suo santo Spirito che prega in noi ogni volta che offriamo il “sacrificio di lode delle nostre labbra” e che celebriamo la liturgia, Lui che rende efficaci le nostre parole.

Nei giorni del lockdown abbiamo pregato da soli, in famiglia, in collegamento online, davanti alla Tv… ora è il tempo di tornare a pregare insieme, in assemblea, con la comunità. Ma non basterà richiamare i fedeli, soprattutto i ragazzi e i giovani, per poi ripetere riti stanchi e abitudinari. Dobbiamo ricreare un clima di preghiera nuovo, più attraente, propositivo, di partecipazione attiva dei fedeli, soprattutto dei giovani e degli adulti

Chiediamo perciò il dono della preghiera per noi presbiteri, diaconi, consacrati, fedeli e per me Vescovo; per i monasteri e le comunità religiose, le associazioni e i movimenti, i gruppi, affinché siano nuove scuole di preghiera.

Chiediamo il dono della preghiera insistente e imprudente come quella dell’amico di notte; o importuna come quella della vedova al giudice; senza diritti come quella della cananea, ma sicura nella fede che la risposta arriverà.

Non diamo per scontato la nostra capacità di pregare, come nelle relazioni d’amore non c’è mai un punto di arrivo, si cresce sempre, perché il desiderio aumenta con la conoscenza e l’esperienza di Dio. S. Teresa del Bambino Gesù e del Volto santo ne è un esempio.

Ma se è vero che a noi, ministri ordinati, viene certamente fatto questo dono, se lo chiediamo al Padre buono dei cieli, per noi c’è però anche un compito. I doni di Dio ci sono sempre consegnati perché li mettiamo a frutto per i nostri fratelli e le nostre sorelle. Noi abbiamo un dovere particolare riguardo a questo insegnamento: siamo chiamati a diventare maestri di preghiera.

L’educazione alla preghiera cristiana

In tanti hanno bisogno della nostra educazione alla preghiera cristiana, che è quella biblica e liturgica, alimentata non solo dalle devozioni degli ultimi secoli, quando non si poteva accedere alla Sacra Scrittura e la Liturgia era incomprensibile. I fedeli di oggi hanno bisogno del cibo solido e dei linguaggi ricchi di bellezza e carichi di spiritualità dei nuovi testi liturgici e della Parola di Dio meditata e pregata.

  • Ne hanno bisogno i bambini e i ragazzi, che oggi in pochi casi hanno famiglie alle spalle che insegnano a pregare, pregando con loro;
  • Ne hanno bisogno gli adolescenti e i giovani che desiderano linguaggi e parabole nuove, nuovi cammini per scoprire dall’immenso tesoro della S. Scrittura come lodare e benedire il Padre nostro dei cieli, come chiamarlo in aiuto nei momenti delle crisi o delle decisioni serie;
  • Ne hanno bisogno gli adulti di oggi sempre immersi nelle fatiche del vivere, nel lavoro, nelle relazioni affettive e sociali vissute sempre più in fretta, nei loro progetti, ma anche nelle disavventure e nelle malattie, per dare un senso a tutto;
  • Ne hanno bisogno quegli anziani che amano la ripetitività dei riti e delle formule e hanno una fede stabile, ma anche quelli che hanno abbandonato da tempo ogni atteggiamento religioso e temono solo le malattie e la morte…

Tutti, proprio tutti, hanno bisogno di noi ministri ordinati e consacrati, per imparare a pregare, per crescere nell’apertura alla Grazia, per diventare adulti nella fede, attraverso una preghiera adulta, incarnata, viva e partecipata, comunitaria e personale, che apra alla conoscenza di Dio Padre, del Signore Gesù e anche alla conoscenza di se stessi alla luce della Parola di Dio.

Scriveva San Giovanni Paolo II che “il ministro ordinato è «educatore di preghiera». Ma solo se è stato formato e continua a formarsi alla scuola di Gesù orante, potrà formare gli altri. I cristiani – diceva– sperano di trovare nel ministro ordinato non solo un uomo che li accoglie, che li ascolta volentieri e con una sincera simpatia, ma soprattutto un uomo che li aiuta a guardare Dio.”

Quando trovare il tempo per la preghiera?

E qui ci viene spontanea una obiezione: con tutte le attività e gli impegni di un prete, di un diacono, di un vescovo… chi ci darà il tempo per l’incontro con il Signore Dio? Un tempo che ha bisogno di confronto profondo con la Parola di Dio, di silenzio, di calma, di ascolto interiore della voce dello Spirito.

Rispondo alla mia e forse anche vostra obiezione con un testo di S. Carlo Borromeo che conosciamo bene: «Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso. Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede, accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta, e mediterò. Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate; e “tutto si faccia tra voi nella carità”. Così potremo superare le difficoltà che incontriamo, e sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare Cristo in noi e negli altri».

È vero che i sacramenti celebrati hanno efficacia di salvezza dall’azione stessa di Cristo, ma la Chiesa ci insegna anche che la maggiore o minore santità del ministro influisce realmente sull’annuncio della Parola, sulla celebrazione dei Sacramenti, sulla guida della comunità nella carità. E la qualità e la costanza della preghiera hanno una ricaduta sicura sulla santità personale.

Una questione di vita… e di amore

E per noi sacerdoti è questione di vita o di morte della nostra vocazione e missione! Come possiamo rendere attivo ed efficace il sacramento che ci ha consacrati a Cristo e assimilati a Lui, senza il dialogo di fiducia e di amore con Colui che ci ha chiamato? Come sarebbe possibile amare l’obbedienza in tutte le sue faticose realizzazioni ecclesiali? O vivere la pienezza della castità nel celibato, impegnativa tanto quanto la fedeltà nel matrimonio? Come stare nella la povertà evangelica che ci toglie confort e sicurezze… …senza un rapporto quotidiano autentico col Signore?

Se “la fede senza le opere è morta”, altrettanto la vocazione, senza la preghiera.

Infine c’è un motivo che sta al centro del nostro cuore e del nostro celibato per cui la preghiera è vitale sia per la realizzazione del nostro desiderio di amare, che per quello di generare (per la nostra “paterna maternità”).  Dice Pastores dabo vobis (22) che “il sacerdote è chiamato ad essere immagine viva di Gesù Cristo Sposo della Chiesa: certamente egli rimane sempre parte della comunità come credente, insieme a tutti gli altri fratelli e sorelle, ma in forza della sua configurazione a Cristo Capo e Pastore si trova in tale posizione sponsale di fronte alla comunità. È chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l’amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa. La sua vita dev’essere illuminata e orientata anche da questo tratto sponsale, che gli chiede di essere testimone dell’amore sponsale di Cristo, di essere quindi capace di amare la gente con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, e insieme con una specie di « gelosia » divina, con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell’affetto materno, capace di farsi carico dei «dolori del parto» finché «Cristo non sia formato» nei fedeli.”

Per realizzare in noi tutto questo, Signore insegnaci a pregare!

+Lorenzo, Arcivescovo